Quando Walker sconfisse l’Inter dei «cafoni»

Basta chiudere gli occhi. E Philipp Walker riappare come per magia. Inginocchiato sul prato di San Siro. Con gli occhi lucidi e un sorriso grande così. Felice, ecco. Come un ventottenne che ha appena eliminato l’Inter dalla Coppa UEFA. Oggi l’ex portiere del Lugano ha 52 anni e lavora come rappresentante. Su e giù per il Ticino, con alcune puntate nella Svizzera interna. Il pallone è solo un ricordo. Sì, ma che ricordo.
Battere i nerazzurri non capita a tutti. Succede a quel Lugano, re per una notte alla Scala del calcio. Ricordate? È il 26 settembre del 1995 e una ciabattata di Edo Carrasco ad un niente dal termine regala l’incredibile 1-0 ai ragazzi del compianto Roberto Morinini. Uno a zero. Sommato all’uno a uno dell’andata, il risultato proietta i ticinesi al turno successivo fra lo stupore generale.
Cioccolato, benzina e miliardari
Chiudiamo gli occhi, ancora. Walker ha davanti a sé un microfono. Sarà l’emozione, sarà l’adrenalina del match, sarà tutta la pressione accumulata. Fatto sta che «Johnny» sbotta e non le manda a dire: «Vincere contro questi cafoni è il massimo» esclama riferendosi ovviamente all’Inter. «Sono miliardari e pensano di essere i migliori, ma anche noi siamo capaci di giocare». E ancora: «Avrebbero dovuto vincere 10-0 per mettere tutto nelle dimensioni giuste». E invece a trionfare sono quelli della «provincia», dove trovi solo «cioccolato e benzina».
Torniamo al 2019. Dall’altra parte del telefono Philipp risponde con entusiasmo alla chiamata. La sua parlata è molto più ticinese. Addio sfumature svizzero-tedesche. «Quello sfogo? Certo che me lo ricordo» esordisce. «Ne ho dette di ogni, ma è normale quando dall’altra parte vedi che mancano rispetto e umiltà. Forse sbagliai a reagire in quel modo, tuttavia io e i miei compagni fummo provocati. In campo fra andata e ritorno, dalla stampa. Lo sfogo alla fine era giustificato. Il Lugano infatti non fu minimamente considerato. Nessuno in Italia prese in considerazione l’ipotesi che potessimo vincere. Andò proprio così. E potete immaginare la soddisfazione, soprattutto per me: sono sempre stato molto vicino ai più deboli».
Gli incroci con Zanetti e Carlos
L’impresa del Lugano a distanza di anni mette ancora i brividi. «Il segreto? La squadra. Unita, compatta, solidale» se la ride Walker. «Già all’andata avevamo capito di avere uno spiraglio. Al ritorno fummo bravi a crederci fino in fondo». Dall’altra parte invece l’Inter. All’epoca una formazione pazzerella e, come accennato prima, altezzosa. «Loro erano supponenti, eccome. Ci mancarono di rispetto a più riprese. Quando pratichi uno sport il rispetto dovrebbe essere alla base di ogni cosa. Lo stesso fecero i giornalisti italiani».
Di fronte campioni assoluti come Javier Zanetti e Roberto Carlos. «Zanetti era agli albori della sua grande avventura con l’Inter, Carlos segnò nella gara di andata ma riuscii comunque a deviare una sua punizione. Le due sfide con i nerazzurri rappresentano l’apice della mia carriera in bianconero assieme alla Coppa Svizzera conquistata nel ‘93. Vincere a San Siro poi fu veramente storico».
Bisogna fare spazio al nuovo
San Siro è al centro di molti discorsi negli ultimi tempi. Milan e Inter hanno appena presentato un piano congiunto per riqualificare l’area. È prevista anche la costruzione di un nuovo impianto da 60 mila posti al posto dell’attuale. A Walker dispiacerebbe perdere un teatro simile? «No, alla fine anche il vecchio Wankdorf dove vincemmo la Coppa Svizzera non esiste più. Il tempo passa, le strutture si evolvono ed è giusto che il nuovo trovi spazio. Il ricordo di quella notte magica in ogni caso resta. Non saranno le ruspe, se caso, a togliermelo».
Bene, ma domenica Philipp Walker sarà allo stadio per l’amichevole di lusso contro i nerazzurri? «Potrei presentarmi senza problemi dal momento che i tifosi dell’Inter difficilmente mi riconoscerebbero. Ma nessuno mi ha invitato e un po’ ad essere sincero mi dispiace. Noi vecchi vorremmo essere più coinvolti. La dirigenza attuale comunque sta lavorando benissimo. Sono contento che il Lugano abbia conquistato ancora l’accesso all’Europa League. Peccato solo doverla giocare a San Gallo. Speriamo in un sorteggio fortunato: pescare squadre prestigiose significherebbe accrescere la possibilità di riempire il Kybunpark».
Una tribuna è troppo poco
Da uno stadio all’altro. Un domani anche il Lugano dovrebbe giocare nel nuovo Cornaredo. «Ah, quanto avrei voluto già ai miei tempi un catino moderno» sottolinea l’ex portiere dei bianconeri e della nazionale rossocrociata. «Senza pista di atletica. Il calcio ticinese ha bisogno di uno stadio vero. Arrivai a Lugano nel 1989, trent’anni fa. L’unica differenza rispetto ad allora è la Monte Brè, che non c’era. Qualcosa è stato fatto, ma è troppo poco».
Walker continua a muoversi fra presente e passato, come un portiere chiamato a compiere interventi in serie. Ecco, il ruolo di estremo difensore è cambiato tanto? «Una prima rivoluzione fu la regola del retropassaggio, che vietava a noi portieri di raccogliere il pallone con le mani. È un cambiamento che ho vissuto sulla mia pelle. Oggi vedo estremi difensori molto alti, quasi mai sotto il metro e novanta. Eppure tendono ad uscire poco. Stanno così tanto sulla linea di porta che le loro scarpe sono bianche. Scherzi a parte, li vedo poco oltre i cinque metri e in generale all’interno dell’area. Forse è perché i palloni sono imprevedibili».
Una vita lontano dal pallone
L’ultima avventura di Walker nel calcio risale alla stagione 2007-08. Allenatore dei portieri a Bellinzona. E poi? «E poi ho capito che non faceva per me, nel senso che non riuscivo a far combaciare la mia attività professionale con quella calcistica. Ora faccio il rappresentante e sono contento. Come calciatore ho conosciuto gli albori del professionismo in Svizzera, gli anni Ottanta e Novanta. Non giravano certo cifre esagerate. Sono pochi quelli della mia generazione che hanno potuto vivere di rendita».
Il cammino lungo il viale della memoria è terminato. A Philipp scappa un altro sorriso. «Mi fa sempre molto piacere ricordare quella serata» afferma con una certa soddisfazione. Provateci anche voi. Basta chiudere gli occhi. E «Johnny» riappare come per magia. Inginocchiato sul prato di San Siro. Felice.