Calcio

Roman Macek, l’allievo di Pirlo e Grosso con un debole per l’hockey

Il centrocampista ceco del Lugano si confida in una lunga intervista: il periodo buio dell’infortunio, il rinnovo del contratto sino al 2025, il passato alla Juventus e una nuova stagione da vivere tra Super League e Cornèr Arena
Roman Macek, classe 1997, è tornato ad allenarsi a pieno regime dopo essere stato fermo per quasi un anno e mezzo. ©CdT/Chiara Zocchetti
Massimo Solari
02.09.2020 06:00

Nel FC Lugano nessun giocatore può vantare un contratto lungo quanto il suo. Addirittura sino al 2025. Eppure, complici dei cronici problemi fisici Roman Macek ha sin qui rappresentato solo una promessa. Appena sussurrata. «Ma ora sto finalmente bene e voglio ripagare la fiducia del club» promette il centrocampista ceco.

Domanda scontata per iniziare: dopo un lungo, lunghissimo periodo sfortunato, come sta oggi Roman Macek?

«Sto bene. Finalmente riesco ad allenarmi senza dolori. Dando così continuità al percorso intrapreso nella parte finale della scorsa stagione. Condivido dunque la preparazione a pieno regime con il resto del gruppo. E dopo questi giorni di grande lavoro spero di poter essere già in forma quando scatterà il campionato».

Lei è tornato a calcare il campo in una partita ufficiale a inizio estate. Non vogliamo infierire: ma prima, esattamente, cosa è successo?

«In effetti ripensare a quel periodo fa male. Non lo nego. Tutto nasce da un piccolo problema al piede emerso due anni fa, dopo essere sbarcato a Cornaredo a margine del ritiro svolto con la Juventus. Probabilmente ai tempi avevo cercato di risolvere il fastidio con troppa fretta e, infatti, la ricaduta si era presentata come una sentenza. Ho sbagliato io e poi qualcosa è andato storto anche sul piano delle cure scelte. Tanto che si è reso necessario uno stop davvero lungo. Troppo lungo. Inizialmente il mio rientro era previsto per la nuova stagione, ma complice il lockdown e un progresso impressionante della riabilitazione le cose si sono sistemate in anticipo. Per questo devo ringraziare chi mi è stato vicino in questi mesi e lo staff bianconero. Se ora sto così bene è altresì merito loro».

Paradossalmente il lockdown e la conseguente interruzione della Super League hanno quindi fatto il suo gioco. È corretto?

«Vista in questi termini la pandemia mi ha effettivamente favorito. Senza lo stop del torneo non avrei potuto disputare i match di luglio e agosto. Va però detto che il ciclo di cure completato a dicembre a Torino mi avrebbe forse permesso di rientrare già a marzo. Ma poi è subentrato il coronavirus, che mi ha obbligato all’ennesima pausa. Sono tornato a casa, in Repubblica Ceca, dove purtroppo non ho potuto beneficiare del materiale e del supporto medico necessari. Insomma, la crisi sanitaria mi ha aiutato sì e no».

Per molti giocatori l’isolamento dovuto alla pandemia è stato una mazzata psicologica. Dopo quasi un anno e mezzo di riabilitazione in solitaria Roman Macek ha magari accusato meno il colpo rispetto ai compagni?

«Venivo comunque da un periodo duro, durante il quale ho sofferto parecchio. Nel 2018 avevo voluto fortemente il Lugano, così come il presidente Angelo Renzetti e l’allora ds Giovanni Manna avevano voluto fortemente il sottoscritto. Ecco: non poter confermare le grandi aspettative nei miei confronti è stato frustrante. In questo senso il lockdown mi ha riavvicinato agli affetti che avevo messo un po’ da parte per concentrarmi unicamente sul calcio. Persone care che non hanno mai smesso di credere in me e che hanno saputo rassicurarmi circa il mio ritorno in campo».

A fronte di così tante peripezie e complicazioni, molti giocatori sarebbero stati messi alla porta. A lei, invece, è stato sottoposto un rinnovo contrattuale. Nessuno, nemmeno sua maestà Mattia Bottani, si è legato ai colori bianconeri così a lungo. Come si spiega una simile fiducia del club?

«Sono stato fermo un anno e mezzo, è vero. Ma in questo lasso di tempo ho anche investito energie e un impegno non indifferenti. Credo che la società abbia voluto premiarli, confermando quanto tiene a me. Tuttavia un contratto sino al 2025 significa una sola cosa: è arrivato il momento di fare bene e dimostrare il mio valore. E, di riflesso, di ripagare la grande fiducia accordatami dalla dirigenza. Pressione? Senza non ci sarebbe gusto».

Che stagione sogna, dunque, per sé e per il suo Lugano?

«Ripeto: mi piacerebbe farmi trovare pronto già per il primo turno di campionato. Riabituarsi completamente al ritmo gara potrebbe però richiedere un po’ più di tempo. Una cosa è comunque certa: voglio vivere una stagione da protagonista insieme alla squadra. Se guardo al collettivo reputo che le premesse per fare un campionato importante ci siano tutte. Il gruppo è forte e il rush finale della scorsa stagione è lì a dimostrarlo. Sarà fondamentale partire bene, ma a mio avviso il Lugano non deve nascondersi. A Natale, poi, vedremo dove siamo».

Sul vostro cammino incrocerete pure il Sion di Fabio Grosso, un mister che lei conosce bene avendo condiviso l’esperienza nell’U19 della Juventus. Il mister italiano può fare bene o rischia di essere l’ennesima vittima di Christian Constantin?

«Conosco molto bene Fabio. Anche se, da un punto di vista tecnico, posso parlare unicamente della guida di una squadra giovanile. La sua, a Torino, era stata senz’altro positiva. La rosa era forte e lui era stato in grado di gestirla bene. D’altronde parliamo di un campione del mondo, per il quale era difficile non nutrire rispetto. Oltre a questo però Grosso è anche un allenatore con molte idee, amante del gioco offensivo. Sion è sicuramente una piazza complicata, per di più reduce da un campionato deludente. Non so, quindi, come andranno le cose. Anche perché la differenza tra il calcio italiano e quello svizzero è tanta. Il fatto però che qui si predilige un gioco votato all’attacco e che le individualità con doti tecniche importanti non mancano, potrebbe facilitare il suo adattamento alla nuova realtà».

Un contratto sino al 2025 significa solo una cosa: è arrivato il momento di dimostrare il mio valore

Torniamo alla Vecchia Signora e alla società che l’ha lanciato nel calcio che conta, con tanto di 25 gettoni in Serie B a soli 20 anni. Alla Juve ha potuto allenarsi anche con Andrea Pirlo, nuovo allenatore della prima squadra. Che tipo è?

«Posso dire solo cose positive sul suo conto. Forse non è la persona più espansiva, ma ogni parola che pronuncia ha un peso e un senso. Per non parlare della qualità e dell’intelligenza che era in grado di portare in campo. Allenarmi al suo fianco è stato un privilegio. E se la società bianconera ha voluto puntare su di lui avrà avuto le sue buone ragioni. La pressione non mancherà, ovvio. Ma come è stato scritto a più riprese nelle ultime settimane - e io mi aggiungo al coro - stiamo parlando di un predestinato».

A proposito di predestinati. Anche Roman Macek, quando approdò alla Juventus, venne definito l’erede di Pavel Nedved. Un’etichetta, quella riferita all’attuale vicepresidente del club, rivelatasi forse scomoda?

«Invero essere accostato al calciatore più forte della storia ceca è un piacere e un onore. Si è spesso detto che il mio approdo a Torino era da ricondurre anche ai buoni uffici di Pavel. La realtà però è un’altra: a convincere gli scout bianconeri erano state le mie prestazioni con la nazionale. Di più: nei primi anni alla Juve me la sono cavata piuttosto bene senza avere particolari contatti con Nedved. Diciamo che le nostre strade si sono incrociate dopo un po’ e di consigli, da parte sua, ne ho ricevuti parecchi».

La Repubblica Ceca non è solo terra di calciatori, ma - anzi - forse lo è più di pattinatori. Lei è nato e cresciuto a Zlin, dove l’hockey su ghiaccio è una religione. Qual è il suo rapporto con questo sport?

«Sono nato in una famiglia di pallavolisti, faccio il calciatore, ma amo e seguo pure l’hockey, soprattutto la NHL. Più che a una franchigia m’interesso però alle gesta dei giocatori cechi. Il mio idolo? Beh, David Pastrnak dei Boston Bruins: nel nostro Paese è un idolo. Anche in Svizzera comunque si gioca un hockey di alto livello. E, sì, nei prossimi mesi vorrei riuscire finalmente a fare una capatina alla Cornèr Arena per ammirare il Lugano. Purtroppo gli ultimi 2 anni li ho trascorsi più all’estero, a curarmi tra Praga e Torino, che in Ticino. Tuttavia se come spero le cose andranno per il verso giusto presto avrò modo di rifarmi e, perché no, di scoprire le bellezze della Svizzera».