Calcio

Sabbatini: «Spronato da sogni e zainetti arriverò fino al nuovo stadio»

Almeno fino al 2024 continuerà a essere un giocatore, ma il capitano bianconero - che domani sfiderà il Basilea con il suo Lugano - guarda già più in là, verso un traguardo più significativo e un cerchio da chiudere simbolicamente
Le buone prestazioni del 35.enne uruguaiano hanno convinto la dirigenza a continuare a puntare su di lui. © Keystone/Laurent Gillieron
Nicola Martinetti
20.05.2023 06:00

Jonathan, alla vigilia di una trasferta a Basilea, ti riporto con la mente a quanto accaduto nove mesi fa. A metà agosto, sempre al St. Jakob-Park, avevate battuto i renani, rilanciando una stagione iniziata con 5 sconfitte in 6 incontri. Allora, in un’intervista uscita sulle nostre pagine, avevi dichiarato che questo Lugano era da Europa. E non ti sbagliavi. Avevi già intravisto qualcosa che ai più sfuggiva?

«Allenandomi con i ragazzi, avevo intuito il potenziale di questo gruppo. Quindi sì, in un certo senso si può dire così (ride, ndr). Ma non ero ovviamente l’unico a pensarla in quel modo. La dirigenza, che la squadra l’ha assemblata, nutriva la medesima convinzione. Così come il mister. Poi è chiaro, i primi a dover muovere un passo nella giusta direzione siamo comunque noi giocatori. Per capirci vi faccio un esempio: Aliseda, non è un segreto, all’epoca era in difficoltà. Noi - compagni, staff e dirigenza - gli siamo stati vicini, dentro e fuori dal campo. Ma alla fine è stato lui a fare quel clic, vitale, che gli ha permesso di cambiare marcia. E non è stato l’unico. La crescita dei singoli ha aiutato il gruppo, permettendoci - quantomeno fin qui - di essere in linea con gli obiettivi prefissati».

Sempre nell’intervista citata in precedenza, avevi parlato di una «ricerca della coesione» che avrebbe potuto richiedere tempo. Persino anni, come ai protagonisti del ciclo precedente. L’attesa, invece, si è rivelata ben più breve. Come mai?

«Per una combinazione di più fattori. Ho già citato l’operato della dirigenza e quello di noi giocatori, ma sottolineerei anche il lavoro portato avanti dal mister e il suo staff, che è davvero ottimo. Quando il “Crus” ha svestito i panni del vice diventando allenatore capo, ha finalmente potuto fare quel passo in più, che la precedente carica gli precludeva. È libero, prende lui l’ultima decisione. E i risultati sono lì da vedere. A mio avviso la sua abilità migliore è quella di esaltare le qualità dei singoli. I giocatori hanno acquisito maggiore consapevolezza nei loro mezzi. Una potente miccia, che nel nostro caso ha portato a un’esplosione. Anche perché rispetto al passato, in rosa annoveriamo più elementi di grande spessore. Gente che oltre al talento, vanta anche esperienze importanti in altri club o in nazionale».

Prima ho citato il Basilea. Alla luce del discorso che stiamo facendo, e della straordinaria cavalcata europea dei renani, che conclusioni trai? Un giorno il Lugano potrebbe ritrovarsi lì, a flirtare con la storia?

«Tutti noi nutriamo il sogno di vedere questo club diventare una realtà sempre più importante, anche al di fuori dei confini nazionali. Nei suoi ranghi la società annovera tantissime persone competenti, che altrove hanno accumulato esperienza a tanti livelli, anche quelli più elevati. Questo fa ben sperare, però il nostro deve essere un percorso, non un’ossessione. Ripenso alle parole del cestista greco Giannīs Antetokounmpo, pronunciatosi qualche settimana fa sul concetto di “fallimento sportivo”, e mi ci ritrovo. Applicandole alla recente esperienza europea del Basilea, mi viene da dire che nessuno in quello spogliatoio pensa - o dovrebbe pensare - di aver fatto fiasco. Alla fine qualcuno deve passare il turno, e qualcun altro deve rimanere escluso. Sono convinto che domani i rossoblù scenderanno in campo con il fuoco nelle vene, per guadagnarsi il diritto di riprovarci fra pochi mesi».

A proposito di tentativi, tu non hai mai nascosto la volontà di giocare la Champions League. Vorrebbe dire terminare il campionato al secondo posto, ma anche con maggiori incertezze...

«È l’unica competizione che ancora mi manca (altra risata, ndr). Scherzi a parte, è il torneo per club più bello del mondo. Perché non giocarsi le proprie carte, allora? Lo Zurigo qualche mese fa ha sfiorato la fase a gironi. Magari con un Doumbia in più, che noi adesso abbiamo, ce l’avrebbero pure fatta. Non reputo questo Lugano inferiore al club di Ancillo Canepa. Se il gruppo attuale dovesse rimanere intatto, o addirittura rinforzarsi, sono convinto che potremmo realizzare qualcosa di importante. Sognare, insomma. Prima però dobbiamo conquistarci questa opportunità sul campo. E non sarà semplice».

Hai citato Doumbia. L’anno prossimo, ora è ufficiale, sarai ancora al suo fianco nel cuore del campo. La tua conferma quale giocatore è parsa una formalità. Concordi se affermo che lo è stata, perché tu l’hai resa tale?

«Sicuramente non era scontata. L’ultimo accordo firmato con la società - biennale, con una doppia opzione per la seconda stagione - mi garantiva un po’ di certezza in ogni caso. Ma nella mia testa ho sempre ambito a continuare a giocare, e ho lavorato sodo per assicurarmi questo privilegio. Se avevo una scimmia sulla schiena? Direi più uno zainetto (ride, ndr), che peraltro continuerò a indossare anche nei prossimi mesi. Fino a quando giocherò, dimostrare il mio valore rimarrà la mia missione. Mi piace motivare i compagni, ma il primo a cui parlo in quei frangenti, in fondo, sono io».

In passato tra i tuoi obiettivi hai inserito la volontà di calcare da giocatore il manto erboso del nuovo stadio. Nella tua testa resta un traguardo raggiungibile?

«Assolutamente sì, ai miei occhi rimane un obiettivo realistico. Per anni sono rimasto a Lugano non per soldi, bensì per ambizione e la volontà di entrare nella storia di un club in costante crescita. È dunque naturale desiderare di vivere da protagonista un simile momento storico. Poi sono conscio che non tutto dipenderà da me e dalle mie prestazioni. Bisognerà vedere come evolverà la società, ma il desiderio non si è mai estinto. Mi piacerebbe chiudere il cerchio in maniera simbolica, realizzando un sogno. Sarei disposto a firmare rinnovi annuali come Kroos e Modric, pur di riuscirci (altra risata, ndr)».

E il tuo futuro da scout? Vista la previsione sul vostro ritorno in Europa, sembri tagliato per un ruolo simile...

«Con la conferma in qualità di giocatore, per ora quell’opzione è venuta a cadere. Ma quando appenderò gli scarpini al chiodo, mi piacerebbe davvero intraprendere un cammino simile. Ho già seguito i corsi e continuerò ad aggiornarmi. Anzi, a giugno inizierò pure il percorso per diventare allenatore. Ad oggi, tuttavia, mi vedrei meglio nel ruolo di scout».

Giugno fa rima con la finalissima di Coppa Svizzera. Voi ci arriverete dopo una serie di match importanti, l’YB è invece privo di stimoli da settimane. Come leggi questa situazione?

«Al netto del discorso concernente la freschezza fisica, la costellazione attuale potrebbe fornirci un piccolo vantaggio. Da quando hanno vinto il titolo, infatti, i gialloneri sono focalizzati sulla finale di Coppa. Come quando si è impazienti di partire per un bel viaggio, ma poi il tempo non passa mai. La cosa può logorarti mentalmente. Noi, al contrario, avremo modo di mantenere alta la tensione affrontando tre grandi club. Ci farà bene».

Per voi un anno fa l’ultimo atto di Coppa aveva assunto un’accezione epica, diventando una sorta di grande epilogo per il ciclo precedente. Stavolta invece, detto che i parametri sono diversi, che significato gli state attribuendo?

«Il Lugano non ha mai vinto due Coppe consecutive, e questo ci stimola tantissimo. Poi ci sono diverse motivazioni personali. Io, ad esempio, voglio diventare il primo capitano bianconero ad averla sollevata per due edizioni di fila. Altri giocatori, che l’anno scorso hanno vissuto il successo da comparse, vogliono invece vincerla da protagonisti. Infine, non va dimenticato che un anno fa non tutti i miei attuali compagni erano già con noi. Insomma, avrà un’aura speciale in ogni caso. E a dargliela saranno anche i nostri tifosi, che saranno nuovamente presenti in massa».