La lingua dell'Europeo

«Schadenfreude» o anche l'arte di cingere la vita in una parola

Sono diversi i vocaboli tedeschi in grado di sintetizzare stati d'animo complessi o frangenti particolari della storia – E il mondo del calcio è un terreno fertile
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Massimo Solari
21.06.2024 06:00

Non esiste, in italiano, una parola in grado di spiegare il gol realizzato da Xherdan Shaqiri contro la Scozia. Di spiegarlo nella sua ideazione, nella sua bellezza, nei suoi risvolti emozionali e sportivi. Una magia? Certo, ma non solo. Una follia? Una meraviglia? Non sarebbe comunque abbastanza. Il genio, d’altronde, è una condizione complessa. Figuriamoci se applicata al calcio. E contenerla è complicato. In qualsiasi lingua. Anche se ve n’è una, più di altre, capace di sintetizzare concetti articolati. Di cingere gli istanti e gli istinti della vita umana, per poi restituirli in un vocabolo. Un solo vocabolo.

Tornando alla Sommermärchen

Tanto bistrattato, il tedesco ha trovato la chiave per riassumere sensazioni meritevoli di una frase. Di un paragrafo. Persino di un capitolo di un libro di storia. Prendiamo il leitmotiv di Euro 2024, un torneo grazie al quale qui si sogna di rivivere la leggerezza e l’euforia del 2006. Si scrive Sommermärchen, ma dentro lì è possibile leggere tante cose, tante sfumature personali. Tante piccole favole estive. Come quella di Silvia Natale, professoressa straordinaria e co-direttrice dell’Istituto di lingua e letteratura all’Università di Berna. Nata da genitori italiani e cresciuta vicino a Darmstadt, diciotto anni fa ha vissuto il suo Mondiale speciale. «Ero in attesa di mia figlia, e da grande tifosa azzurra ricordo di aver azzardato una scommessa con i miei cari. Se fosse nata il 9 giugno, data dell’avvio della competizione, a imporsi in finale sarebbe stata l’Italia». Beh, la linguista ha vinto due volte. E, appunto, ha declinato e riempito il concetto di Sömmermarchen in modo intimo. «Capisco la necessità del popolo tedesco di voler ritrovare la spensieratezza dell’epoca, a maggior ragione in questo periodo» osserva Natale. Per poi precisare: «Come accennato ho trascorso la mia giovinezza tra Germania e Italia. E in questa fase della vita ricordo di aver concepito il tricolore senza qualsivoglia retroscena di natura politica. Con quel sano patriottismo che a un Mondiale o un Europeo emerge prepotentemente e unisce. In Germania era diverso. La bandiera nazionale veniva maneggiata con molta più prudenza. Come se rimandasse a un determinato ambiente. Ecco, il 2006 permise alla gente di sprigionare l’amore per la patria senza venire giudicati o avvicinati a un pensiero politico di destra. L’avvento e la crescita dell’AfD, ora, sembrano invece aver riportato le lancette dell’orologio indietro nel tempo. Perciò ritengo meno semplice, in questa fase e con questo clima, esprimere pienamente la propria appartenenza».

La Schadenfreude? Nasce dal confronto, con altri gruppi, altre nazionalità, altri tifosi, e vuole aumentare la nostra autostima
Silvia Natale, co-direttrice dell'Istituto di lingua italiana all'Uni di Berna

Un concetto drammatizzato

La lingua, suggerivamo, aiuta però ad abbattere le barriere più alte. Ad addolcirle, anche. «A livello di significato possiamo trasmettere tutto, in ogni lingua, perché in fondo si tratta di sensazioni universali» rileva Natale. «Il tedesco, per questa sua capacità di creare composti senza preposizioni, vi riesce forse con maggiore facilità e immediatezza». E con una terminologia che talvolta finisce per rivelarsi intraducibile. La nostra interlocutrice cita per esempio la Gemütlichkeit, opponendole «la serenità». «Come la intendiamo in italiano e non totalmente sovrapponibile alla Heiterkeit». E poi ci sono la Weltanschauung, lo Zeitgeist, il Teamgeist, la Spielpraxis.

L’esempio più clamoroso, tuttavia, è quella Schadenfreude che il mondo del calcio ha per certi versi istituzionalizzato e altresì drammatizzato. A maggior ragione quando di mezzo c’era la Germania. In questo modo, infatti, si vuole cristallizzare una gioia maligna di fronte all’insuccesso altrui. Compreso quello sportivo, sì. «La Schadenfreude - spiega la professoressa Natale - svela molte cose anche su di noi. Non vogliamo ammetterlo, ma tutto nasce da un confronto. Con le persone che ci stanno attorno, con altri gruppi, con altre nazionalità e - tornando a Euro 2024 - con i tifosi avversari. E se diamo vita a questo confronto è per valutare la nostra posizione e, idealmente, aumentare la nostra autostima. La dimensione è di tipo psicologico e non comporta solamente risvolti negativi. In questo processo è possibile la ricerca di informazioni o di stimoli per migliorarsi. È però indubbia l’esistenza di sentimenti negativi, su tutti l’invidia e il disprezzo. La Schadenfreude richiama entrambi gli aspetti. È ambivalente. Perché è figlia dell’ammirazione e al contempo del risentimento».

Perché la proviamo

Il confronto quotidiano, di nuovo, può solo trovare terreno fertile nel quadro di una competizione. Nel bene e nel male. «D’altronde quando avvertiamo l’invidia?» interroga Natale: «Uno studio del 2012 ha certificato che questo stato d’animo si accompagna alla presenza di figure o altri gruppi sociali che percepiamo più competenti di noi». O più forti, rimanendo sul rettangolo verde. «E il meccanismo può anche scattare al cospetto di risultati che non riteniamo meritati» prosegue l’esperta, tifosissima del Darmstadt e pure della Juventus. «Nello studio citato poc’anzi, è stato condotto anche un esperimento concreto. Ai partecipanti sono stati sottoposti i casi di persone a cui erano accadute delle disavventure. E, osservando i muscoli facciali degli intervistati, ci si è accorti che il dispiacere era minore quando la disgrazia colpiva le persone appartenenti a un target concorrente». Un assist perfetto, già, riflettendo sulla delicatezza di match come Svizzera-Italia, Svizzera-Germania o Svizzera-Francia. A seconda del gruppo d’appartenenza - ticinese, svizzerotedesco o romando - la gioia maligna andrebbe ad acuirsi o affievolirsi. «E ogni grande evento, sportivo ma non solo, contribuisce a mantenere vive sensazioni, ricordi, speranze» conclude Silvia Natale. Come una Sommermärchen. E con l’inevitabile dose di Schadenfreude.

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