Se il Toro diventa «Bull»
Il toro rosso che compra il toro granata. Titolo a cui è difficile resistere, con una base di verità: da mesi la Red Bull vuole un club di Serie A e il Torino è uno di quelli nel mirino. Situazione che si salda alle sempre più dure contestazioni della tifoseria nei confronti di Urbano Cairo, da quasi vent’anni proprietario con poca ambizione e ora alle prese con l’ennesima stagione da centroclassifica: il passaggio da Juric a Vanoli ha entusiasmato soltanto i media della casa. Di sicuro lo sbarco nel calcio italiano della multinazionale, che dal 2025 sarà gestita per la parte calcistica da Jürgen Klopp, avrebbe un impatto enorme.
L’arrivo di Cairo
Nel 2005 Cairo, già editore ma non ancora del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, che avrebbe rilevato nel 2016, ebbe il Torino quasi in regalo. Il club di Cimminelli era infatti fallito e gli fu rifiutata l’iscrizione alla Serie A. Si salvò dalla scomparsa grazie al Lodo Petrucci, escamotage che permetteva di separare il titolo sportivo dalla vecchia gestione, conferendolo a una nuova società della stessa città su richiesta del sindaco. Una società ripulita dai debiti, con ripartenza dalla categoria inferiore (in quel caso la B), e che la politica cittadina, e in certi casi nazionale, poteva affidare a chiunque.
La scelta del sindaco Sergio Chiamparino (DS, l’attuale Partito Democratico di Elly Schlein) cadde su Cairo, che da ex assistente di Berlusconi vedeva nel calcio un mezzo per avere successo anche in altri campi. Nemmeno era tifoso del Torino, né lo è diventato: nato a Milano nel 1957, con tutti i suoi interessi a Milano coordinati dall’ufficio in Corso Magenta, tifoso del Milan che è sempre stato il suo sogno. Adesso proibito, ma alla fine dell’era Berlusconi, fra Yonghong Li e tutto il resto, quasi alla portata.
Poca ambizione
Quanto è costato il Torino a Cairo? Guardando alle varie ricapitalizzazioni, circa 80 milioni di euro in 19 anni, una media di 4 milioni di euro a stagione, una miseria in un contesto in cui con poche eccezioni proprietari italiani e stranieri buttano via centinaia di milioni. Il problema è che diversamente da Napoli e Lazio, altre squadre risorte da fallimenti o quasi, il Torino mai ha avuto un guizzo: al massimo un settimo posto con una sola presenza in Europa League. Questo in un’epoca in cui è esistita quasi soltanto la Juventus di Agnelli e inserirsi subito dietro non sembrava impresa proibitiva. Per farla breve, i tifosi granata non sono mai stati grati a Cairo perché il Torino gli è stato regalato e perché lui non ha mai avuto programmi diversi da un’onesta permanenza in Serie A, vendendo i pezzi migliori (Buongiorno al Napoli e Bellanova all’Atalanta, per stare sul presente), provinciale senza nemmeno l’orgoglio di esserlo visto il tragico bilancio dei derby con la Juventus: uno solo vinto in due decenni.
Gli altri progetti
In questo quadro chiunque abbia nel corso degli anni espresso interesse per il Torino è stato ben considerato dai tifosi, figurarsi la Red Bull. Il cui impegno nel calcio è iniziato proprio nel 2005, poche settimane prima che Cairo prendesse il Torino. In quell’anno la divisione sportiva dell’azienda comprò l’Austria Salisburgo, ribattezzato Red Bull, il Liefering e poi i New York Metrostars, diventati Red Bulls. Le acquisizioni sarebbero proseguite in Brasile (Campinas e Bragantino) e in Germania nel 2009 con il Lipsia, diventata la squadra principale. Senza stare a contare quote di minoranza e operazioni fallite come Red Bull Ghana, il progetto Red Bull nel calcio non è mai stato la vittoria che genera immagine, come in Formula 1 con Vettel e Verstappen, ma una gestione sana basata su scouting, valorizzazione dei giovani e cessioni al momento giusto, senza porsi grandi obiettivi. Una gestione alla Cairo, viene da dire, visto che le squadre Red Bull non hanno mai vinto la Bundesliga, il campionato brasiliano o la MLS americana. Certo i titoli nazionali con il Salisburgo sono stati 14, ma nessuno paragona la Serie A al campionato austriaco.
Una figura illustre
È però sbagliato dire che il calcio in questo impero sia marginale, lo dimostra la stessa recente nomina di Klopp a responsabile del settore, dal prossimo 1. gennaio. L’ex tecnico di Mainz, Borussia Dortmund e Liverpool ha detto che non allenerà più, ma la sua nomina è un chiaro gesto di sfida al calcio che conta, in attesa di un grande club. Intanto in Italia si va avanti con realtà medie: il Genoa ha il settimo pubblico della Serie A ed è ufficialmente in vendita, il Torino ha il dodicesimo e lo è ufficiosamente, per una cifra intorno ai 180 milioni giudicata esagerata da tutti. Il terzo club sul mercato è un po’ al di sotto delle ambizioni Red Bull ma è quello meglio organizzato, l’Empoli. Qualcosa accadrà di sicuro e già ci si domanda cosa cambierà nel calcio italiano con l’entrata in scena di Red Bull, così diversa dai proprietari stranieri tipo, quelli che subito parlano di stadio di proprietà, entertainment, merchandising eccetera, affidando la gestione sportiva a manager generici o scelti con gli algoritmi (la Roma un esempio clamoroso in questo senso). Per la Red Bull l’aspetto sportivo è invece centrale, vincere non è l’unica cosa che conta ma farsi rispettare sì. I tifosi del Torino, non soltanto le migliaia che civilmente scendono in piazza con i cartelli «Cairo vattene», chiedono questo.