Tanti auguri a Ernesto Indemini, pilastro dell’FC Lugano

Quando si parla del «favoloso» Lugano degli anni Sessanta, la squadra che il 15 aprile del 1968 conquistò la Coppa svizzera contro il Winterthur - compagine che militava in DNB (2-1) - il suo nome non è tra i primi che i tifosi bianconeri ricordano, ma tra i titolari della finale del Wankdorf, Ernesto Indemini c’era, come c’era in quasi tutte le partite giocate dal Lugano gestito dall’allenatore Louis Maurer (1966-1970).
Oggi Ernesto Indemini festeggia, in splendide condizioni di forma, 80 anni e quando ripensa al periodo vissuto con la maglia bianconera incollata sulla pelle, stranamente non rievoca la vittoriosa finale di Coppa come il momento più bello della sua carriera calcistica. Più del risultato, per lui sono importanti i legami di amicizia che ha intessuto in quegli anni e che ha portato avanti fino ai nostri giorni, coordinando i ritrovi di quel gruppo di calciatori, che un venerdì ogni mese si ritrovano per un pranzo in comune.
A Ernesto Indemini l’allenatore Maurer aveva affidato il ruolo di terzino sinistro, nel quale il nostro si calava con grande volontà e umiltà, badando all’essenziale, che a quei tempi significava neutralizzare l’ala avversaria. Di Indemini non si ricordano discese travolgenti lungo la fascia, né incursioni in area avversaria con velleità da goleador. Vincenzo Brenna, attaccante imprevedibile che giocò con Indemini, ricorda ridendo un solo gol del difensore «fatto addirittura da metà campo, in una partita contro il Berna, ma credo in modo tutto sommato involontario». Un rinvio lungo, che colse fuori dai pali il portiere della squadra ospite. «Lo chiamavamo «taca mosc» (acchiappa mosche, ndr) per la sua abnegazione nello stare appiccicato all’avversario. Era uno che non mollava mai e ci davamo del ‘‘rantic’’ (rompiscatole, ndr) a vicenda» ricorda ancora Brenna. Quando stava in campo, insomma, Indemini era un terzino classico, all’italiana, un po’ legnoso nei movimenti, ma coriaceo e quasi insuperabile per l’avversario.
Era cresciuto nel vivaio giovanile del FC Lugano e ricorda che una volta conclusa l’avventura nella categoria degli «Interregionali» (l’ultimo stadio delle giovanili prima del salto fra i grandi) gli si erano aperte del porte per un trasferimento nel Losanna. «Mi avrebbero pagato gli studi ed ero praticamente già sulle rive del Lemano, ma il trasferimento saltò per ragioni che mi sono ancora sconosciute adesso. Così tornai a Lugano e disputai una stagione col Rapid, prima di essere richiamato in bianconero» ricorda l’interessato. Come detto, il suo più bel ricordo calcistico non è legato alla finale di Coppa vinta nel 1968. Paradossalmente, è una sconfitta che gli è rimasta nel cuore. «La Coppa c’entra, ma il ricordo più bello è legato alla ripetizione della semifinale del 1967 contro il Basilea, giocata in un San Giacomo stracolmo, con 54 mila spettatori. Perdemmo 2-1, ma fu un’emozione indimenticabile» ricorda Indemini, che quella sera, mandato in campo come terzino destro, cancellò Moscatelli e che dopo aver lasciato il calcio si è dato alla bicicletta, macinando infiniti chilometri.