L'analisi

Un altro Mondiale controverso e quell'oasi che nemmeno esiste

Domani il Congresso della FIFA attribuirà la Coppa del Mondo del 2030 al trio Spagna-Portogallo-Marocco e quella del 2034 all’Arabia Saudita - Il dossier del regno mediorientale, in cui spicca il NEOM Stadium nella futuristica città The Line, suscita timori e critiche sulla questione dei diritti umani
Il presidente della FIFA Gianni Infantino è il primo sponsor del Mondiale saudita. ©Epa/Manu Fernandez
Massimo Solari
10.12.2024 21:00

Ai prossimi Mondiali, programmati in Stati Uniti, Canada e Messico, manca un anno e mezzo. Ma non c’è tempo da perdere e domani il Congresso straordinario della FIFA attribuirà le edizioni del 2030 e del 2034. La seconda, destinata all’Arabia Saudita, non smette di far discutere. Ecco perché.

Premessa doverosa. Su che cosa si vota, chi si esprime e secondo quale procedura?

«Come detto, in gioco vi sono la Coppa del Mondo del 2030 e quella del 2034. E le candidature al voto sono due, una per ciascun torneo: da un lato il terzetto formato da Spagna-Portogallo e Marocco, dall’altra l’Arabia Saudita. Sì, avete capito bene: le 211 associazioni membro della FIFA non avranno sostanzialmente scelta. Al Congresso - che si terrà online... - l’assegnazione avverrà in blocco e per acclamazione. Non ci si conterà, insomma.

Dunque non c’è stata alcuna concorrenza per ospitare i Mondiali in questione?

Non esattamente. L’iter che ha portato alla candidatura congiunta per il 2030, per esempio, è stato abbastanza tortuoso. Inizialmente Spagna e Portogallo intendevano correre da sole. Poi si è pensato di integrare l’Ucraina. Sul fronte opposto si erano invece iniziate a muovere Marocco (in solitaria), il trio Egitto-Grecia-Arabia Saudita Arabia Saudita e - in un unico pacchetto - Uruguay, Argentina, Paraguay e Cile. Gli sforzi diplomatici profusi dal Consiglio della FIFA e le analisi interne dei singoli Paesi hanno infine partorito un compromesso: Spagna, Portogallo e Marocco avranno la leadership del torneo, mentre tre match saranno offerti a Montevideo, Buenos Aires e Asunción per commemorare il centenario della prima edizione.

E il 2034? Non si era fatta avanti pure l’Australia?

È così. Anche perché a fare stato, per le attribuzioni dei Mondiali, è il principio della rotazione dei continenti. Di fatto, però, la soluzione caldeggiata dai vertici della FIFA per il 2030 ha spianato la strada alla sola Arabia Saudita. Il 6 ottobre dello scorso anno, infatti, era stato aperto senza preavviso il processo di candidatura e ai potenziali ospitanti erano stati concessi appena 25 giorni di tempo per formalizzare una proposta completa. Va da sé, Riad era già pronta, mentre l’Australia ha preferito rinunciare a una battaglia contro i mulini a vento.

Il dossier saudita, comunque, ha appena ottenuto un’ottima valutazione da parte della FIFA...

Vero. L’organizzazione presieduta da Gianni Infantino ha definito «molto solida» la candidatura del Paese arabo. Le 110 pagine del rapporto tecnico stilato dalla FIFA sono addirittura confluite nel punteggio record di 4,2 su 5.

Sosterremo il dossier dell’Arabia Saudita, ma sui diritti umani abbiamo delle richieste e delle proposte per la FIFA
Dominique Blanc, presidente ASF

Okay, ma su quali basi è stato formulato questo giudizio?

Gli stadi, per esempio, «pesano» sul punteggio finale nella misura più importante: il 35%. E a incuriosire, al proposito, è il fatto che gli impianti sauditi abbiano ottenuto lo stesso score di quelli valutati per il prossimo Mondiale. Perché incuriosisce? Perché le 23 arene proposte per il 2026 erano tutte già costruite, mentre sui 15 stadi avanzati dall’Arabia Saudita, ben 8 non esistono ancora e 3 impianti sono tutt’ora in fase di realizzazione. Di qui il «rischio medio» affiancato a questo capitolo. «La configurazione e la posizione proposte - leggiamo dal rapporto FIFA - richiederanno una riprogettazione delle operazioni, con alcune incognite o sfide associate al momento. Per dire: in questo quadro spicca senza dubbio il NEOM Stadium, previsto nella città futuristica denominata The Line. Parliamo di un’oasi nel deserto a zero emissioni, lunga 170 chilometri e con sbocco sul Mar Rosso. Il progetto, in larga parte finanziato dal fondo sovrano (PIF), avrebbe dovuto vedere la luce nel 2030, ma un’indagine di Bloomberg aveva ravvisato ritardi e il probabile ridimensionamento delle ambizioni di Mohammed bin Salman.

Ecco, a proposito del principe ereditario. In che modo il suo regime autoritario e le leggi saudite sono valutate dagli esperti della FIFA?

«Si tratta della questione più controversa della candidatura. Come lo era stato per Qatar 2022. Per il mancato rispetto dei diritti umani la FIFA ha ponderato un «rischio medio». Il motivo? «Nel complesso - indica il rapporto - gli impegni assunti per l’applicazione delle varie misure implicano uno sforzo significativo in termini di tempo ed energia, in particolare in alcuni settori. La valutazione del rischio riflette queste considerazioni». E ancora: la candidatura ha presentato impegni «per il rispetto, la protezione e l’adempimento dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale». Una sfera che include «la sicurezza e la protezione, i diritti dei lavoratori migranti, i diritti dei bambini, l’uguaglianza di genere e la non discriminazione, così come la libertà di espressione (compresa la libertà di stampa». Stando alla Federcalcio mondiale, comunque, «è molto probabile che la competizione funga da catalizzatore per le riforme in corso e future, e che contribuisca a generare benefici positivi in materia di diritti umani per la popolazione dell’Arabia Saudita e dei Paesi circostanti che vadano oltre la competizione». Com’era stato assicurato per il Qatar, di nuovo.

Ed è andata così?

Beh, il torneo organizzato a Doha era stato travolto dalle critiche di media, ONG e società civile occidentali. In particolar modo per quanto concerne lo sfruttamento dei lavoratori migranti nella costruzione degli stadi. Con tempismo perfetto, il 27 novembre, tre giorni prima di divulgare il rapporto a sostegno del dossier saudita, la FIFA ha annunciato che «il fondo di eredità per il Mondiale del 2022 in Qatar distribuirà 50 milioni di dollari a OMS, OMC e Agenzia ONU per i Rifugiati (HRC) per dei programmi sociali» in più regioni del mondo.

E ora, come hanno reagito le principali ONG in merito alla candidatura dell’Arabia Saudita?

«Con critiche altrettanto veementi. Amnesty International, affiancata da altre dieci organizzazioni tra le quali FairSquare e Human Rights Watch, ha sentenziato e chiesto (invano) di fermare il processo di attribuzione del torneo: «L’assegnazione dei Mondiali di calcio del 2034 all’Arabia Saudita senza ottenere garanzie credibili di riforma avrà un costo umano reale e prevedibile. I tifosi saranno discriminati, i residenti saranno sfrattati con la forza, i lavoratori migranti saranno sfruttati e molti moriranno». Molti osservatori, per esempio, hanno sottolineato come il rapporto FIFA faccia riferimento a una generalizzata «non discriminazione», senza menzionare i diritti Lgbt. Non solo. Amnesty ha puntato il dito contro la «valutazione indipendente sulla situazione dei diritti umani» in Arabia Saudita realizzata dalla società AS&H Clifford Chance - che ha sede a Riad... - per conto della FIFA e in vista dell’elaborazione del rapporto sulla candidatura. «La valutazione non contiene alcuna sostanziale analisi delle gravi e diffuse violazioni dei diritti umani denunciate dalle organizzazioni per i diritti umani e dalle Nazioni Unite. Di fatto, è la base della strategia sui diritti umani adottata dalle autorità saudite per farsi assegnare il torneo: sportwashing, come l’ha da tempo definita Amnesty International».

E l’ASF, in qualità di associazione membro della FIFA, da che parte sta?

La Federcalcio svizzera si è schierata proprio nelle scorse ore per bocca del suo presidente Dominique Blanc. «Approveremo le candidature per il 2030 e il 2034, ma ci pronunceremo sul dossier dell’Arabia Saudita. Abbiamo formulato alcuni punti concreti nell’ambito dei diritti dei lavoratori e dei diritti umani in una lettera alla FIFA, avanzando anche richieste e proposte». Un appoggio con la condizionale, insomma. «La domanda dell’Arabia Saudita - precisa Blanc - contiene una strategia molto ampia per la protezione dei lavoratori e dei diritti umani, che ci ha spinto ad approvarla. Ma ci sono delle imprecisioni su alcuni punti. In particolare, chiediamo alla FIFA e agli organizzatori di istituire organi di controllo e di appello indipendenti, oltre all’Organizzazione internazionale del lavoro». E ancora: «Per noi sono fondamentali anche il diritto alla libertà di espressione e alla libertà di stampa, nonché la piena tutela contro le discriminazioni legate alla Coppa del Mondo, in particolare per motivi di genere, orientamento sessuale e religione». Ad adottare la stessa linea, prudente, sono state le federazioni nordiche, spesso critiche verso la FIFA e quella tedesca.

In questo articolo:
Correlati