Il personaggio

Un sogno chiamato Stephan Lichtsteiner

L’oramai ex capitano della Nazionale sull’addio al calcio: «Sono sempre rimasto fedele a me stesso, questo vale più di un titolo»
Stephan Lichtsteiner, 36 anni. © Keystone/Laurent Gilliéron
Marcello Pelizzari
13.08.2020 06:00

Addio. E grazie di tutto. Dopo un’attenta riflessione, Stephan Lichtsteiner ha deciso: non giocherà più a pallone. Logico, considerando l’età – 36 anni – e la conclusione del suo rapporto con l’Augsburg. L’ultimo di tanti, tantissimi club. Ha giocato dappertutto, l’oramai ex capitano della Nazionale. In Svizzera, in Francia, in Italia, in Inghilterra e appunto in Germania. Togliendosi parecchie soddisfazioni, almeno alla Juventus. Per dire: nessuno straniero ha vinto quanto lui, a livello di scudetti. Non male per un ragazzo nato e cresciuto nella periferia del calcio, nell’Adligenswil allenato da suo papà. «Con due compagni di quella squadra sono ancora in ottimi rapporti» ricorda. «Siamo amici». Gli è mancato l’acuto in rossocrociato, d’accordo. Tuttavia, ha giocato tanto (108 presenze, dietro solo a due mostri sacri come Heinz Hermann e Alain Geiger) e, soprattutto, ha partecipato a ben cinque fasi finali. Voilà, tre Mondiali e due Europei non sono roba per tutti.

«Ho vissuto il mio sogno da bambino» racconta lui, visibilmente emozionato durante la conferenza stampa d’addio indetta a Muri, presso la Casa del calcio. «Ho raggiunto svariati traguardi e mi sono divertito. Enormemente». Quindi i ringraziamenti, di rito, a famiglia e compagni di viaggio. Il tutto mentre Vladimir Petkovic, il commissario tecnico che ad un certo punto sembrava sul punto di congedarlo, tramite un videomessaggio gli riserva parole al miele. «Chapeau» dice il mister. «E grazie per la tua passione».

È mancato il grande addio

Certo, concludere così una carriera del genere fa male. Malissimo, se pensiamo che l’addio – in tempi normali – sarebbe dovuto coincidere con la conclusione di Euro 2020. «Il rinvio degli Europei mi ha lasciato molto amaro in bocca» ribatte non a caso Stephan. «Detto ciò, mi sento in pace con la decisione presa». Di una cosa, in particolare, il vecchio Lichtsteiner è fiero. «Sono sempre rimasto fedele a me stesso e alla mia persona» la frase ad effetto del laterale. «Una cosa, questa, che vale più di un titolo». Bene, ma quale eredità lascia un giocatore-icona come lui? «Credo di essere riuscito a trasmettere la mia passione. Per questo, non sono affatto preoccupato circa il futuro della Nazionale. Tanti possono assumere il mio ruolo. Xhaka, Schär, Sommer, Akanji. Sì, spero tanto che la Svizzera raggiunga finalmente i quarti di finale».

«Lichti» il sopravvissuto

Per certi versi, Lichtsteiner è un sopravvissuto. Se è arrivato fino a qui, ovvero ad una conferenza stampa d’addio concertata con l’Associazione svizzera di football, è perché il «capitano su chiamata» (così era stato ribattezzato quando era sceso nelle gerarchie del commissario tecnico) non ha mai mollato la presa. Non lo ha fatto dopo i Mondiali del 2018 e l’incredibile polverone di polemiche sollevatosi durante e dopo la kermesse russa. Valon Behrami, il guerriero di mille battaglie e oltre, scelse la via più dura per manifestare il suo dissenso nei confronti di Vladimir Petkovic, con quel «me ne vado» ancora oggi mai del tutto chiarito. «Lichti» invece ingoiò l’amaro boccone e, «bon gré mal gré» direbbero i francesi, accettò la decisione del commissario tecnico. Il quale optò per un ringiovanimento della squadra in ottica Nations League. «Io e Vlado abbiamo un buon rapporto».