Calcio

Yao e gli artisti dell’autorete: quando il gol è alla rovescia

La doppietta al contrario firmata dall’ivoriano del Lugano ci permette di scavare negli archivi e nei ricordi – Dal mitico Niccolai protagonista a Cagliari all’interista Ferri, passando per le «imprese» svizzere di Städelin e Lüdi
Eloge Yao, 24 anni, difensore del Lugano. © Keystone/Peter Klaunzer
Marcello Pelizzari
07.07.2020 06:00

Erroraccio. Gaffe. Sfortuna. L’autorete è un po’ l’antitesi del calcio. Una meraviglia al contrario, volendo adoperare un’espressione cara alla «Gazzetta dello Sport». Le imprese di Eloge Yao, 24 anni, scalognato difensore del Football Club Lugano, hanno riportato alla mente altri infortuni: i sei gioielli di Comunardo Niccolai, lo stopper del Cagliari che esattamente cinquant’anni fa vinse lo scudetto. Arrivò a quota sei (cinque in Serie A). Con il passare del tempo, «Niccolai» è diventato perfino un’unità di misura. Sinonimo, appunto, di sfiga nera.

Quel grazie a Kaladze

Tre autogol in due settimane fra Ginevra e Berna, Yao può comunque abbozzare un timido sorriso. Di più, non è il primo nella storia della Super League ad aver infilato due volte nella stessa partita il proprio portiere. Successe a Raymond Städelin nel 1960. Il Losanna perse 3-1 contro lo Young Fellows di Zurigo e lui, malauguratamente, diede una mano all’avversario firmando una doppietta. Nel 1985, l’onore toccò al leggendario Heinz Lüdi dello Zurigo: segnò il 2-0 e il 3-2 per i rivali del Wettingen. A livello internazionale, invece, memorabile il doppio regalo di Kakhaber Kaladze all’Italia. Sì, l’uomo simbolo della Georgia decise la sfida di Tbilisi con due reti nella sua porta. Niccolai, proprio lui, commosso ringraziò a distanza: «Grazie Kaladze, adesso non si parlerà più solo di me quando c’è un’autorete».

Attenti a quei due

Proprio così, lo sciagurato Yao non è il primo come Niccolai non è il recordman di autogol in Serie A. Il primato spetta ad una coppia insospettabile: Riccardo Ferri dell’Inter e Franco Baresi del Milan, in una sorta di derby della Madonnina alla rovescia. Entrambi hanno chiuso la carriera con 8 autoreti. «Ma con i criteri di oggi non sarebbero mica state otto» ebbe a dire Ferri, citato da un altro interista doc – Luciano Ligabue – in A che ora è la fine del mondo?, rivisitazione di un notissimo brano dei REM. «La borsa sale, i maroni no / Ferri batte il record di autogol» i versi incriminati.

Quel record, dicevamo, risale al 1994 e più tardi sarebbe stato eguagliato dal Kaiser Franco Baresi. Sulla citazione, Ferri tagliò corto: «Ligabue avrebbe almeno potuto chiedermelo in maniera delicata». Un po’ come Yao, Ferri colpì sempre lo stesso portiere (tranne una volta, la prima). Ovvero Walter Zenga. Il rapporto fra i due, rivisitato oggi, è un vero e proprio manuale di autolesionismo sportivo. Nel 1987, in un derby, il difensore interista – temendo l’arrivo di Gullit alle sue spalle – appoggiò di testa verso l’Uomo Ragno. Peccato che Ferri non si accorse della posizione di Zenga, decisamente lontana dalla linea di porta. Patatrac. Contro l’Avellino, due anni prima, deviò in acrobazia un normalissimo tiro di De Napoli che Zenga avrebbe parato senza problemi. Palla all’incrocio dei pali e incredulità generale.

Il Mondiale del 2006

Non tutti i mali vengono per nuocere, ad ogni modo. Christian Zaccardo entrò, ahilui, nel club degli autogoleador. Successe sul palcoscenico più importante di tutti, quello dei Mondiali. Un suo intervento maldestro, nel 2006, regalò il pareggio agli Stati Uniti nella seconda partita della fase a gironi. Così, il commissario tecnico dell’Italia Marcello Lippi decise di relegare il difensore del Palermo in panchina. Spostando Zambrotta a destra e inserendo Grosso sulla corsia di sinistra. Lo stesso Grosso che decise la semifinale con la Germania con un tiro a girare da cineteca e, in seguito, segnò il rigore decisivo all’ultimo atto contro la Francia.

Alla fine, dunque, conta entrarci nella storia. Pazienza se dalla porta sbagliata oppure favorendo l’ingresso di altri eroi. Allargando il discorso, in Europa c’è chi ne ha combinate di ogni. Altro che Eloge Yao, per dire. Parliamo di Richard Dunne, arrivato in doppia cifra con dieci autoreti sparse fra Manchester City, Everton, Aston Villa e QPR. Sempre in Inghilterra, Chris Nicholl segnò tutte e quattro le reti in un rocambolesco 2-2 fra Leicester e Aston Villa, nel 1976: due, ovviamente, le segnò al portiere amico. Negli anni Novanta, in Belgio, Stan van den Buys diventò una sorta di eroe nazionale grazie a tre (avete capito bene: tre) autogol nella stessa partita. Giocava nel Germinal Ekeren e con le sue prodezze aiutò l’Anderlecht.

Un fischio sbagliato

Niccolai, ancora lui, firmò uno degli autogol più belli e clamorosi a Torino, contro la Juventus. Nell’anno dello scudetto. Anticipo di testa su Albertosi che attendeva con le braccia aperte l’arrivo del pallone. «Ma l’autogol più bello – disse più volte il difensore del Cagliari – resta quello che non realizzai. Successe a Catanzaro nel 1972, arbitro Lo Bello. Al 90’ sentii un fischio e pensai: è un fallo oppure la partita è finita. Calciai forte con l’intenzione di scaraventare il pallone in curva». Ne venne fuori un tiro, parato da Brugnera che in quel momento si trovava sulla linea di porta. Tutto normale, tolto un particolare: Brugnera era un uomo di movimento. «Lo Bello decretò il rigore e noi subimmo il 2-2». Erroraccio. Gaffe. Sfortuna. Sì, l’autorete è l’antitesi del calcio. O se preferite una meraviglia al contrario.