Chiusi i XXIV Giochi olimpici invernali

Con la cerimonia di chiusura delle 13.00 ora svizzera è definitivamente calato il sipario sui XXIV Giochi olimpici invernali di Pechino. Per la Svizzera, statisticamente parlando, la manifestazione appena messa in archivio è la più vincente della storia: con 14 medaglie all’attivo di cui sette ori, la delegazione rossocrociata occupa infatti l’ottavo posto nel medagliere.
Grazie alla doppietta nello skicross con Ryan Regez - portabandiera in occasione della cerimonia di chiusura - che è salito sul gradino più alto del podio e Alex Fiva che ha chiuso alle spalle del connazionale, la conta delle medaglie in casa elvetica recita: sette ori, due argenti e cinque bronzi. La Svizzera ha così uguagliato il bilancio di ori e argenti del 2014 a Sochi, ma, rispetto a otto anni fa, ha più bronzi (cinque contro i due dell’Olimpiade russa).
Per quanto concerne invece il totale delle medaglie, Calgary 1988 e Pyeongchang 2018 si piazzano ancora davanti all’edizione di quest’anno con 15 medaglie ciascuna. Va però sottolineato che in Canada si disputarono solo 46 competizioni, mentre in Cina se ne sono tenute 109, ovvero più del doppio.
La Norvegia ha chiuso l’Olimpiade invernale in testa al medagliere per la seconda volta consecutiva. Le sedici medaglie d’oro degli scandinavi costituiscono un record per i Giochi invernali. In precedenza, il record era detenuto dalla coppia Norvegia-Germania che a Pyeongchang avevano chiuso con 14 ori a testa.
Proprio i tedeschi con dodici ori e ventisette medaglie totali seguono gli scandinavi nel medagliere. Al terzo posto, infine, la Cina, Paese ospitante, che ha all’attivo nove ori e quindici medaglie in totale.

Grande entusiasmo da parte del capo della delegazione rossocrociata Ralph Stöckli
È un Ralph Stöckli sorridente quello che si presenta davanti ai media per trarre un bilancio delle due settimane di competizione in terra cinese. Con sette ori in cassaforte, il capo della delegazione elvetica può infatti rientrare in patria sereno. L’obiettivo annunciato alla vigilia dei giochi era di provare a vincere quindici medaglie come a Pyeongchang: al conteggio finale ne manca solo una.
«A mio modo di vedere abbiamo fatto bene esattamente come in Corea del Sud se si conta il bronzo tolto a Fanny Smith», ha esordito Stöckli. Il capo delegazione ha quindi spiegato che Swiss-Ski ha immediatamente depositato ricorso contro la decisione che aveva privato la vodese del terzo posto nello skicross. Cercando di evitare di cadere sugli sci di Marielle Thompson, la Smith aveva aperto il suo sci sinistro disturbando la tedesca Daniela Maier alla quale è poi stato assegnato il bronzo. La federazione è ancora in attesa di una risposta della FIS riguardo al ricorso.
L’ombra di questo ricorso non oscura comunque un bilancio più che positivo al quale ha contribuito in modo rilevante lo sci alpino con le sue nove medaglie; cinque titoli vinti da cinque atleti differenti. Un simile record alle Olimpiadi invernali rende ovviamente felice il capo delegazione. «Tutto è cominciato con i fuochi d’artificio in occasione della discesa maschile in cui ha trionfato Beat Feuz. Lo sci alpino è uno sport di tradizione e una delle discipline faro dei Giochi olimpici invernali. La situazione odierna è molto simile a quella di Calgary dove avevamo ottenuto quindici medaglie di cui undici proprio grazie allo sci alpino».
Ralph Stöckli ha anche apprezzato la reazione dello skicross maschile a seguito della disillusione di Fanny Smith. «È stata la migliore risposta che avremmo potuto fornire. È anche per questa ragione che abbiamo voluto Ryan Regez come portabandiera in occasione della cerimonia di chiusura».
Come già a Tokyo, sono state le donne a trascinare in alto la delegazione svizzera con Lara Gut-Behrami, Michelle Gisin, Wendy Holdener, Corinne Suter e Mathilde Gremaud. Un «girl power» che fa piacere a Stöckli che però non sa darne una spiegazione.
Alla voce «delusioni» il capo delegazione annovera lo slopestyle maschile e gli aerials con due quarti posti. A ciò si può poi aggiungere l’uscita di Marco Odermatt in Super-G e l’assenza di medaglie nella combinata maschile. In qualità di vecchio specialista del curling, a Stöckli dispiace anche per le sorti di Tirinzoni e compagne nella finale per il bronzo, andata alle svedesi.
Addio Pechino, buongiorno Milano e Cortina
Chiusa l’edizione cinese, nel 2026, vent’anni dopo Torino, l’Olimpiade invernale torna in Italia e, più precisamente, a Milano e Cortina d’Ampezzo. L’edizione alle porte sarà caratterizzata per l’ampiezza, a livello geografico, del territorio coinvolto dalla manifestazione. Tale peculiarità risponde ad un preciso intento economico-ambientale: evitare di costruire troppe infrastrutture.
«Partire non basta mai / è all’arrivo che scopri chi sei», recita una delle canzoni in lizza quale inno ufficiale dei XXV Giochi olimpici invernali. Insomma, le incognite non mancano sulla prima edizione ufficialmente co-organizzata da due città.
Ricordiamo che Milano e Cortina erano state preferite, nel 2019, al duo svedese Stoccolma-Are.
Dopo delle tappe inedite in Russia (Sochi 2014) e in Asia (Pyeongchang e Pechino), i Giochi olimpici invernali ritornano nel Vecchio Continente, esattamente come faranno quelli estivi di Parigi nel 2024, e lo fanno in un luogo storico per lo sci. L’Italia, del resto, ha già accolto la manifestazione a due riprese: nel 1956 proprio a Cortina e nel 2006 a Torino.
Le sfide logistiche non mancheranno di certo visto che le due città ospitanti, situate in due Regioni differenti: la Lombardia e il Veneto, distano tra loro più di 400 km (ci vogliono circa cinque ore per passare da una località all’altra).
San Siro per l’apertura
Come scritto sopra, la volontà degli organizzatori è di approfittare al massimo delle infrastrutture sportive già esistenti per limitare l’impatto economico e ambientale-paesaggistico, due aspetti che sono sempre degli osservati speciali nelle Olimpiadi invernali.
L’edizione di quest’anno ha infatti aperto nuovamente il dibattito intorno a queste tematiche visto il ricorso massiccio alla neve artificiale e a delle installazioni sviluppate apposta per lo sci alpino in una regione arida/semi-arida.
Come simbolo della scelta italiana di puntare su ciò che già esiste, la cerimonia d’apertura è prevista in uno stadio che per l’occasione festeggerà i suoi cento anni: San Siro. Sarà il canto del cigno per il tempio del calcio che, in un futuro prossimo, potrebbe venire distrutto per lasciare posto ad una nuova «cattedrale del calcio» voluta da Inter e Milan.
La realizzazione delle poche infrastrutture nuove, assicurano gli organizzatori, era prevista indipendentemente dal fatto che l’Italia fosse Paese organizzatore o meno. Nel dettaglio, ad essere costruiti saranno la pista di hockey Arena PalaItalia e il villaggio olimpico di Milano che, in seguito, sarà riconvertito in cittadella universitaria. I villaggi olimpici di Cortina e Livigno saranno invece provvisori.
Un’altra promessa è di organizzare un’Olimpiade neutra dal punto di vista climatico. Per raggiungere tale obiettivo si prevede di utilizzare unicamente energia che proviene da fonti rinnovabili durante l’evento, di mettere in atto delle misure di compensazione del carbonio e di assicurare un’attenzione particolare alla gestione delle acque.
Una delegazione italiana, inoltre, ha fatto un viaggio in Cina per studiare «le tematiche centrali dei trasporti, delle infrastrutture e delle attrezzature per gli atleti», spiega il presidente del comitato olimpico italiano Giovanni Malago.
Una superficie più vasta della Slovenia
Alcuni aspetti, ad ogni modo, non hanno mancato di sollevare delle critiche, a cominciare dalla pista di bob di Cortina. La Regione Veneto si è impegnata a rimettere in funzione la pista situata sul sito storico di Eugenio Monti utilizzata in occasione dei Giochi del 1956 ed abbandonata nel 2008.
Il costo dei lavori, attorno ai 60 milioni di euro, e la mancanza di un futuro per tale struttura sono denunciati dalla Cipra, un collettivo internazionale di ONG che difende le Alpi. Nel dettaglio, la Cipra chiede «un’alternativa meno costosa e più rispettosa dell’ambiente» come potrebbe essere, per esempio, delocalizzare le gare di bob a Innsbruck-Igls, in Austria.
La sciatrice italiana Federica Brignone teme invece che l’ambiente di festa tipico dei Giochi non potrà sopravvivere alla dispersione delle competizioni su un’area di 22’000 km2, una superficie superiore a quella della vicina Slovenia. «Da un punto di vista ecologico la scelta sarà anche vincente, ma per lo spirito olimpico essa non sarà l’ideale», ha dichiarato la vice-campionessa olimpica di gigante alla stampa italiana. La Brignone ha comunque rassicurato sul fatto che non si perderà l’Olimpiade, indipendentemente dal fatto che vi parteciperà o meno.
La scelta italiana «è un modello a cui ci si deve abituare in quanto è il solo modello che rende possibile la durabilità» dei Giochi invernali ha assicurato Vincenzo Novari, direttore generale di Milano-Cortina 2026.