Colin Kaepernick, la star che si inginocchiò facendo infuriare Trump

Quattro anni fa era stato il primo sportivo americano a mettere un ginocchio a terra durante l’esecuzione dell’inno nazionale. Lo fece come segno di protesta contro le violenze della polizia sugli afroamericani. Oggi Colin Kaepernick, ex quarterback finito sulla «lista nera» dalla NFL, vede il suo gesto e la sua immagine riabilitati dopo la morte di George Floyd, ucciso il 25 maggio scorso durante un arresto a Minneapolis. Ciò nonostante, l’ex stella dei San Francisco 49.ers ha ben poche speranze di poter tornare a giocare.
C’è insomma voluta un’altra tragedia, un’altra morte assurda, perché Kaepernick venisse finalmente compreso (e addirittura imitato) da una grande fetta dell’opinione pubblica. Poche ore dopo il dramma di Minneapolis, era stato LeBron James, la superstar del basket NBA, a divulgare una doppia immagine sui suoi canali social: da una parte c’era appunto Colin Kaepernick, inginocchiato su un campo da football; dall’altra, invece, l’agente Derek Chauvin inginocchiato sul collo di George Floyd, poi morto soffocato. «Avete capito adesso?», ha scritto il fenomeno dei Los Angeles Lakers.

Da allora, come noto, la protesta è montata in tutti gli Stati Uniti, arrivando davanti alla Casa Bianca, per poi diffondersi in tutto il mondo. Nel cuore di questa grande mobilitazione, laddove i manifestanti hanno deciso di agire pacificamente, altre ginocchia si sono posate a terra al grido di «Black lives matter». «Le vite dei neri contano». Anche alcuni agenti di polizia hanno offerto la loro solidarietà, imitando il celebre gesto di Kaepernick. Un gesto simbolico, che nel 2017 costò critiche, insulti e minacce all’ex quarterback. Il presidente Donald Trump, ad esempio, affermò che il giocatore aveva mancato di rispetto nei confronti della bandiera americana.
Negli scorsi giorni Pete Carroll, allenatore dei Seattle Seahawks, ha reso omaggio a Colin, affermando che la società deve moltissimo al suo coraggio. «Ha difeso ciò in cui credeva, facendo un grosso sacrificio». Altre voci si sono alzate affinché il mondo della NFL si decida a chiedere scusa a Kaepernick, restituendogli la possibilità di tornare protagonista in campo come nel 2013, quando condusse i 49.ers fino al Super Bowl.

«Non credo che la NFL abbia davvero capito. Finché non si scuseranno con lui o non gli troveranno una nuova squadra, non finiranno di certo dalla parte dei buoni», ha dichiarato Malcom Jenkins, giocatore dei New Orleans Saints e cofondatore della NFL Player’s Coalition, un’associazione che lotta contro le ingiustizie sociali e razziali negli Stati Uniti. «La NFL ha ascoltato i giocatori, ha donato dei soldi, ha creato la piattaforma Inspire Change con dei programmi di lotta al razzismo. Fino ad oggi non è rimasta con le mani in mano. Allo stesso tempo, però, ha ignorato un giocatore in particolare, Colin Kaepernick, non riconoscendolo più come uno dei suoi. Se non si pone rimedio a questa situazione, tutto il resto non ha alcun senso».
Venerdì, reagendo a un video nel quale alcuni giocatori della NFL condannano le violenze razziste e sostengono le proteste, il commissario della lega Roger Goodell aveva ammesso che la NFL si era sbagliata, promettendo di voler agire diversamente in futuro. Il tutto senza mai menzionare Kaepernick. Non confermato dai San Francisco 49.ers nel 2017, il quarterback, oggi 32.enne, era in seguito entrato in conflitto con la NFL, accusandola di volergli rifiutare ingiustamente un impiego, prima di trovare un accordo amichevole nel febbraio del 2019. In seguito, la lega ha organizzato un campo d’allenamento speciale affinché Kaepernick potesse convincere qualche squadra ad ingaggiarlo. Invano.
Martedì il nome di Colin Kaepernick è riecheggiato anche ai funerali di George Floyd, tenutisi a Houston. «È bello vedere che alcune persone hanno cambiato idea», ha affermato nel suo elogio funebre Al Sharpton, leader per i diritti civili. «Il patron della NFL ha detto che sì, forse si sono sbagliati con Colin. Ebbene, ridategli il suo lavoro e tenetevi le vostre scuse vuote. Avete preso un uomo, lo avete privato del suo talento e quattro anni dopo, quando il mondo intero vi sta guardando, vi mostrate su Facetime per dire che siete dispiaciuti? Se lo siete davvero, allora riparate i danni che avete causato alla carriera di colui che avete lasciato cadere», ha martellato Al Sharpton, per nulla convinto che i proprietari delle franchigie NFL, molti dei quali sono sostenitori di Trump, decidano di posare simbolicamente un ginocchio a terra.