«Con alcuni grandi colpi entri nella storia del golf»
Primo italiano a giocare la Ryder Cup, Costantino Rocca è rimasto nel cuore di molti appassionati di golf. Anche di quelli elvetici, che aveva deliziato nel 1997 quando si aggiudicò lo European Masters di Crans-Montana. Abbiamo incontrato il campione bergamasco negli scorsi giorni a Magliaso in occasione dello Skins Game dello Swiss Hickory Open 2023.
Cinque anni fa, a Castelconturbia (Novara), Rocca aveva iniziato a prendere dimestichezza con i bastoni d’epoca, coinvolto in una competizione da Paolo Quirici. Si può dire che in quell’occasione ha scoperto una passione per un gioco d’altri tempi? Il 67.enne di Bergamo sorride e confessa che l’esperienza gli era piaciuta. «Giocare con materiale antecedente agli anni Trenta dello scorso secolo non è così semplice come sembra. Ci vuole una particolare sensibilità. Molti campioni di oggi potrebbero trovarsi in difficoltà. Sarebbe un po’ come mettere in mano agli attuali fenomeni del tennis le racchette di legno. Qualcuno potrebbe trovarsi a suo agio. Altri, la stragrande maggioranza, rischierebbero di steccare i colpi. Questa sensibilità, lo ammetto, non è nelle mie corde. Ma ho apprezzato l’invito che mi è stato rivolto. Poi con Paolo, che da anni insegna al Golf Club Lugano e che ho conosciuto bene soprattutto quando eravamo entrambi regolarmente impegnati sul circuito europeo, c’è un rapporto di stima e di amicizia che non è mai venuto meno. Paolo, ancora prima di lasciare il mondo dell’alta competizione, ha sempre subito il fascino della storia del golf. Per hobby ha anche ripristinato vecchi bastoni. Se ricordo bene, una decina di anni fa si è pure concesso il lusso di conquistare in Scozia il titolo mondiale dell’Hickory, vincendo tra l’altro anche importanti trofei negli Stati Uniti».
Il playoff perso con Daly
In Scozia, più precisamente a St. Andrews, la mecca del golf, Rocca aveva invece scritto una delle pagine memorabili del golf moderno. «Del British Open del 1995 conservo un ricordo indelebile - sottolinea il campione italiano -. Inutile dire che ancora oggi rivivo quel torneo con sentimenti a dir poco contraddittori. E, mi dicono, che non sono l’unico». Normalmente tutti ricordano i vincitori dei tornei, soprattutto se si tratta di prove del Grande Slam. I secondi classificati vengono spesso dimenticati, se non proprio cancellati dalla storia. «A me - prosegue Costantino - in quell’occasione è capitato proprio il contrario. Fui sconfitto al playoff dallo statunitense John Daly. E ti lascio immaginare la mia delusione. A chi non sarebbe piaciuto firmare un Open Championship sull’Old Course e aggiungere questo torneo ai 5 successi ottenuti sullo European Tour fra il 1993 e il 1999? Oggi mi consolo se ripenso che gli appassionati di tutto il mondo tifavano per me. E ancora si ricordano di qualche mio colpo straordinario che mi ha fatto entrare nella storia del gioco. Di Daly, poco amato anche nel suo Paese, si parla poco. Il mio colpo sulla strada alla 71.esima buca di St. Andrews ed il lunghissimo put imbucato alla 72.esima ed ultima buca dei giri regolamentari hanno invece fatto il giro del mondo. Questo è l’aspetto consolatorio. Un aspetto che però convive con l’amarezza di aver perso il trofeo più importante in assoluto. Devo riconoscerlo con un innegabile rimpianto».
Tre Ryder Cup
Quando si parla di Rocca, tornano in mente anche tre edizioni della Ryder Cup giocate negli anni Novanta. «La Ryder - dice il nostro interlocutore - è davvero qualcosa di straordinario. Ogni professionista, statunitense o europeo che sia, la sogna fin da ragazzino. Io ho avuto l’onore di giocarla tre volte. Nel 1993 vinsero gli Stati Uniti, nel 1995 e nel 1997 trionfammo noi europei. Nella mia ultima partecipazione, giocata in Spagna, realizzai un hole-in-one (ndr, buca in un colpo) e, soprattutto, riuscii a battere Tiger Woods. La Tigre che già era il fenomeno del golf che tutti abbiamo conosciuto. Certo, anche questi sono stati momenti indimenticabili».
Un successo per Roma
L’atmosfera della Ryder, si dice, è unica. Niente a che vedere con i tornei che i professionisti affrontano di settimana in settimana sui circuiti principali. «Questo evento biennale è speciale - ribadisce Rocca - . Da quando ai britannici e agli irlandesi si sono aggiunti i migliori giocatori dell’Europa continentale, qualcosa è sicuramente cambiato. Si sono innanzitutto rese le squadre più equilibrate e questo ha fatto sì che l’interesse sia cresciuto in modo esponenziale».
La recente edizione giocata sul campo Marco Simone di Roma, è la testimonianza di quanto ha affermato Costantino Rocca. A parte qualche intemperanza tra i protagonisti, cose che raramente si vedono sui campi di golf, la Ryder è stata apprezzatissima. «Direi, anzi - precisa l’azzurro - che è stata una enorme pubblicità per il golf, per Roma e per l’Italia, che ha accolto l’evento per la prima volta nella sua storia. E poi ha vinto l’Europa».
Quali sono le impressioni di Rocca sulla nuova generazione dei golfisti italiani? Dopo i fratelli Molinari, sembrano esserci nuovi alfieri della disciplina. «Di ottimi e promettenti giocatori ce ne sono diversi. Edoardo e Francesco Molinari, che per la Ryder a Roma stati scelti come vicecapitani di Donald Luke - hanno vinto insieme una coppa del mondo e loro stessi hanno giocato in Ryder. Mi auguro che tra la nuova generazione vi siano le stelle del futuro. Quasi tutti hanno una tecnica eccellente. Quello che serve però è la testa. La mia impressione è che riuscire oggi a restare ai vertici per diversi anni è più difficile. Con poche eccezioni, c’è un continuo rimescolamento dei valori. Forse fa eccezione Rory McIlroy, che ai miei tempi era il ragazzino emergente e che adesso è il punto di riferimento della squadra europea. Vorrei però vederlo più costante nel gioco».
L’evoluzione del gioco
Un gioco che, d’altra parte, vuoi per l’evoluzione dei materiali, vuoi per la preparazione quasi scientifica dei giocatori, si è trasformato parecchio. Senza pensare al golf d’epoca, a partire dagli anni Settanta e Ottanta il gioco ha vissuto un’altra evoluzione. «È vero - conclude Rocca - allora c’erano diversi professionisti carismatici al di qua e al di là dell’Oceano. Prima dell’epoca dominata da Woods, spiccavano campioni come Gary Player, Arnold Palmer e soprattutto Jack Nicklaus. Poco dopo il golf moderno è stato caratterizzato anche dall’ascesa degli spagnoli. Penso all’importanza avuta da campioni come Severiano Ballesteros, José Maria Olazabal e Miguel Angel Jimenez. Tutta gente che più volte ho affrontato anche allo European Masters di Crans-Montana».