Il caso

Da Mbappé a De Niro: quando «l’appello VIP» cade nel vuoto

Negli ultimi mesi molti VIP, dai calciatori agli attori, sono divenuti promotori di un certo messaggio politico
© Frank Augstein
Matteo Generali
01.07.2024 21:45

Negli ultimi mesi molti VIP, dai calciatori agli attori, sono divenuti promotori di un certo messaggio politico. I casi più recenti quelli di Robert De Niro e di alcuni calciatori della nazionale francese, su tutti Kylian Mbappé. Le loro prese di posizione spostano davvero l’opinione pubblica?

Ma andiamo con ordine. È il 28 maggio 2024 e all’interno del tribunale di New York l’avvocato Todd Blanche sta per concludere l’arringa finale del processo a Donald Trump per i pagamenti a Stormy Daniels, quando a pochi isolati dal tribunale lo staff della campagna elettorale di Biden convoca una conferenza stampa a sorpresa con Robert De Niro. La leggenda cinematografica si scaglia duramente contro l’ex presidente.

Il vero Good fella è Trump

«Donald Trump non appartiene alla mia città – dice DeNiro –. I newyorkesi lo tollerano da quando era solo uno sporco immobiliarista imbroglione travestito da pezzo grosso. Un playboy da quattro soldi che mentiva per farsi seguire dai tabloid. Un clown. Ma questo individuo non può guidare il Paese. Non funziona, lo sappiamo tutti». E ancora: «Donald Trump non vuole distruggere solo questa città, ma il Paese e alla fine il mondo». Per poi concludere: «La gente pensava di poter controllare Hitler, di poter controllare Mussolini, non è stato così».

Di tutta risposta, i sostenitori trumpiani sommergono di insulti l’attore, De Niro non ci sta e risponde per le rime mentre lascia la conferenza stampa. «Dovrebbe dire ai suoi sostenitori di non fare queste cose», e poi tuona: «Se Trump entra (alla Casa Bianca ndr), non se ne andrà. Non se ne andrà mai, mai».

Jason Miller, portavoce di Trump, commenta così la presenza dell’attore: «Quelli di Biden lo hanno fatto alla fine. Dopo aver detto per mesi che la politica non aveva nulla a che fare con questo processo, si sono presentati e l'hanno fatta con un evento elettorale... E il meglio che riescono a fare è tirare fuori questo attore scaduto».

Thuram e Mbappé: «Non votate il razzismo»

Certo, De Niro non è il primo attore a schierarsi pubblicamente contro un politico, anche se difficilmente ricordiamo una presa di posizione così forte da parte di una personalità del suo calibro. A sfatare un mito, quello del calciatore che della politica segue poco o nulla, è Dembelé. Il numero 10 del Paris Saint Germain e ala destra della nazionale francese, in una conferenza stampe pre-Europeo, esorta infatti la popolazione francese ad andare a votare. Più decisivi e incisivi di Dembelé, come nel rettangolo verde, sono a stretto giro di posta Thuram e Mbappé. «Siamo in un momento cruciale per il nostro Paese. Bisogna sistemare le cose e avere il senso delle priorità – dice Mbappé –. Prima di tutto siamo cittadini e non dobbiamo essere disconnessi dalla realtà del nostro Paese. Voglio rivolgermi a tutte le persone e alle giovani generazioni: possiamo vedere chiaramente come gli estremisti siano alle porte del potere. Invito la gente a votare». Markus Thuram, figlio di Lilian, figura emblematica della lotta al razzismo, a sua volta chiede una forte presa di posizione contro «gli estremisti e contro coloro che dividono. Voglio rappresentare un Paese che corrisponda ai miei valori. Abbiamo l’opportunità di scegliere il futuro della Francia. Non dobbiamo nasconderci. Diciamo spesso che non bisogna mischiare politica e calcio, ma quello che sta succedendo in Francia è importante».

NBA: l’anti Trump

Le raccomandazioni dei giocatori francesi, come detto, sono una novità per il mondo del calcio del Vecchio Continente. Già, perché negli Stati Uniti, dove la figura dello sportivo ha un’accezione sociale maggiormente marcata rispetto alle nostre latitudini, le dichiarazioni politiche abbondano. Un esempio? Al centro della polemica sempre Donald Trump, ma questa volta attaccato dall’intera Lega di basket a stelle e strisce, l’NBA. Proprio così, fin dall’insediamento di Trump nello studio ovale, allenatori di punta come Gregg Popovich dei San Antonio Spurs e Steve Kerr, alla guida dei Golden State Warriors, leggende del basket come Kareem Abdul-Jabbar e Bill Russell e ancora giocatori come Kevin Durant, LeBron James e Steph Curry, hanno tutti più volte preso posizioni forti contro le sue politiche.

I rapporti già tesi con la precedente amministrazione hanno raggiunto un punto di rottura definitivo il 26 agosto 2020, quando, in seguito all’ennesimo episodio di razzismo della polizia, l’intera NBA aveva deciso di sospendere le partite. Questa scelta ha avuto un impatto così forte sull’opinione pubblica da spingere Donald Trump a definire la Lega di basket «un’organizzazione politica».

In quell’occasione, il presidente dell’NBPA, Chris Paul, aveva pronunciato parole incisive riguardo agli ultimi eventi di cronaca: «Il razzismo sistemico e la brutalità della polizia nel nostro paese devono finire e, come rappresentanti dei giocatori NBA e come sistema complessivo, abbiamo il dovere di usare la nostra capacità comunicativa per mettere in luce questi problemi e lavorare per il cambiamento».

Quattro anni più tardi la situazione francese è parecchio simile a quella americana, eppure Donald Trump nonostante il boicottaggio di atleti amatissimi è nuovamente in corsa per la presidenza. Per tacere del risultato al primo turno delle legislative francesi. La domanda sorge spontanea: quando queste celebrità lanciano un grido d’allarme si pensa abbiano un impatto monstre, ma è davvero così?

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