L’iniziativa

Dal Ticino un «Colpo di Testa» verso il mondo

Federico Mari, cresciuto a Lugano, da anni vive a Ginevra e coltiva la passione per lo sport: da Matias Vecino a Luis Scola passando per tanti altri, ecco perché ha deciso di intervistare atlete e atleti
© Colpo di Testa
Marcello Pelizzari
21.08.2021 10:12

Federico Mari ha una passione. Grande, grandissima: lo sport. O, meglio, i racconti sportivi. Colpo di Testa è nato per soddisfare questa passione. Per darle un contorno. Una cornice. Ticinese con un occhio aperto sul mondo, Federico vanta un curriculum accademico impressionante fra Losanna, Barcellona, Milano e Harvard. Oggi lavora a Ginevra, dove ha messo su famiglia. «E chissà, un giorno forse la mia passione per lo sport coinciderà con il mio impiego» ripete spesso. Federico, in questo senso, può vantare il titolo di Athlete Development Specialist ottenuto presso l’Università della Florida. A interessarlo sono soprattutto due componenti: il business che regge l’industria sportiva e la vita dei atleti professionisti. Di qui l’idea di creare un podcast, Colpo di Testa appunto, che ha superato oramai le 30 puntate. E dire che il 26% di chi lancia un podcast smette dopo un espisodio. Niente male, insomma.

I tempi del Teletext
«Mi sono chiesto più volte come e dove sia nata la mia passione per lo sport» ci racconta Federico. «Non ho ancora trovato una risposta. Penso sia una cosa di sangue. Ricordo, tuttavia, due aneddoti legati alla mia infanzia. Il primo: la scoperta del Teletext, a casa di mio zio. Era un po’ l’Internet di allora, diventai un fanatico al punto da guardare notizie e risultati una ventina di volte al giorno. Il secondo: le Olimpiadi. Divoravo ogni sport, dallo slittino al curling passando per il canottaggio. Durante i Giochi invernali, fingevo di essere malato per poter stare a casa e guardare le competizioni. Ho praticato tanti sport in vita mia, mai però con la passione e l’energia che mettevo nel cercar di capire com’era la vita dell’atleta e la gestione della sua carriera come tifoso o semplice osservatore. Crescendo, mi sono interessato sempre più al funzionamento di questo mondo e alla vita di sportivi e manager. Allargando il discorso, trovo che lo sport sia una rappresentazione della vita. Spesso mi sorprende come, ad esempio con il calcio, si possano fare paragoni con situazioni della nostra quotidianità. Allo stesso tempo la maggior parte delle persone non potrà mai fare la vita di uno sportivo. E allora, forse, è proprio questo che rende così affascinante la vita degli atleti».

Mi sono trovato a condividere la classe con personaggi del calibro di Kevin Love, Oliver Kahn, Tim Cahill e Julius Randle

Federico, lungo il suo percorso di studi, ha potuto affinare l’arte dello sport business. In particolare negli Stati Uniti, ad Harvard. «Mi sono trovato a condividere la classe con personaggi del calibro di Kevin Love, Oliver Kahn, Tim Cahill e Julius Randle. Ho avuto modo di conoscere il business dello sport a stelle e strisce parlando direttamente con gli atleti e i manager sportivi che ci lavorano e in seguito paragonarlo con quanto succede in Europa. Ho capito, dai diretti interessati, che lo sport negli USA mette l’accento sullo sviluppo personale degli atleti attraverso una miriade di corsi che le squadre o le leghe forniscono agli atleti e quindi quanta differenza ci sia nella gestione degli atleti tra Stati Uniti ed Europa o America Latina. Gli americani sono avanti almeno vent’anni. Sia nella gestione del prodotto sia nel ridurre la distanza fra tifoso e giocatori». Il podcast, in questo senso, si pone quale obiettivo proprio l’abbattimento di un muro. «Il progetto è nato con estrema naturalezza davanti a una birra Estrella su una spiagga di Minorca. L’idea, in fondo, è semplice: chiacchierare con un personaggio del mondo dello sport per scoprire quali sono le sue routine, quali strategia adotta, quali e quanti sacrifici ha fatto per arrivare in cima, le emozioni che ha vissuto. Mi affascina tantissimo far emergere il lato umano dell’ospite». Il primo ospite di Colpo di Testa è stato Deni Fiorentini, ragazzone di Lugano laureatosi campione del mondo con l’Italia di pallanuoto. Poi si sono succeduti vari personaggi: da Filippo Galli a Giacomo Raspadori, fresco di titolo europeo con l’Italia di Mancini. E ancora Corinna Dentoni, Marta Maggetti, Matias Vecino e Luis Scola. «Vorrei anche abbattere alcuni luoghi comuni» prosegue Federico. «Spesso l’immagine associata a uno sportivo è falsata: auto di lusso, vizi e via discorrendo. Ma in pochi ricordano che, per arrivare a occupare una certa posizione, questi atleti hanno battuto una concorrenza spietata. Che, magari, non avevano una famiglia alle spalle o hanno dovuto lasciare la scuola per dedicarsi anima e corpo allo sport. La ricchezza di alcuni è solo un lato della medaglia. Si parla molto di meno dell’impegno sociale e dei progetti di beneficenza, ad esempio».

Un idolo da intervistare
Federico non è partito con l’idea di intervistare un idolo della sua infanzia o altro. Non aveva, insomma, sogni nel cassetto in questo senso. «Mi sono detto: registriamo sei, sette episodi e vediamo come va. Vediamo, soprattutto, la reazione degli intervistati e di chi ascolta. Io non avevo mai intervistato qualcuno in vita mia, era ed è tutto nuovo. Ho capito, però, che l’ospite era contento di fermarsi un attimo e riflettere sulla sua carriera. È un esercizio che viene fatto poche volte, considerando il turbinio del quotidiano. I primi riscontri positivi mi hanno spinto a proseguire, ma non ho mai avuto il pallino di intervistare, per dire, Ronaldo. È vero, però, che leggo tante storie interessanti e mi dico spesso che vorrei approfondirle. La lista di persone sul mio taccuino è lunghissima».

Naomi Osaka ha mostrato un disagio che va al di là del discorso conferenze stampa. E questo tipo di problematiche è poco affrontato in Europa

Il podcast è una forma di racconto che si distanzia parecchio dalle tradizionali conferenze stampa post partita. Quelle, per intenderci, criticate apertamente dalla tennista Naomi Osaka. «Innanzitutto – dice Federico – Naomi Osaka ha mostrato un disagio che va al di là del discorso conferenze stampa. E questo tipo di problematiche è poco affrontato in Europa. In America, grazie ad atleti come Kevin Love e ad altri, che hanno fatto una sorta di coming out sui problemi di salute mentale, è un tema più presente. Detto ciò, ne convengo: le conferenze stampa non sono più l’ideale. Anche perché l’atleta vi arriva poco dopo una partita, magari in condizioni psico-fisiche non ottimali. E il rischio di deludere a livello di risposte è alto. Credo ne beneficerebbero tutti se l’atleta parlasse quando se la sente, quando è in uno stato emotivo positivo. La piattaforma multimediale The Players’ Tribune, fondata tra gli altri dal mio compagno di classe a Harvard Mark French in America, è nata proprio per permettere agli atleti di esprimersi. Come vogliono loro, con i toni che preferiscono. Ed è un po’, con i dovuti paragoni va da sé, quello che ho in testa io».

L’esempio di Guardiola
I media tradizionali, in questo senso, sembrano perdere terreno. Un esempio su tutti: Pep Guardiola che, a una settimana dalla finale di Champions League, sceglie BoboTV e, quindi, una diretta social per mettersi a nudo come mai aveva fatto nella sua carriera di allenatore. Parlando, fra l’altro, anche di tattica in maniera approfondita. «Lo ha fatto perché ha deciso lui di farlo. Perché, in quel momento, sentiva di essere il padrone del suo destino e della conversazione. Perché con Adani, pure lui ex calciatore, la chimica era diversa rispetto a una conferenza stampa. Anche in un podcast si può ricreare quella dinamica. Perché è una conversazione più intima e, come dicevo, perché non ci sono obblighi stabiliti dall’UEFA di turno».

Federico Mari.
Federico Mari.