La partita

Dalla sofferenza alla speranza, sino al caos finale

I bianconeri iniziano malissimo, poi i cambi sembrano funzionare, in particolare grazie allo scatenato Aliseda - I rigori? Un teatro dell’assurdo
© CdT/Gabriele Putzu
Massimo Solari
02.06.2024 19:00

Ma che cosa diavolo è successo? Se lo chiedono tutti. Una volta terminato l’incontro. Ve lo starete domandando anche ora. E, no, la musica non cambierà nelle prossime ore, né domani. Chissà per quanto. È stata una finale folle. Assurda, anche, considerato il suo epilogo. Non è invece stata una finale spettacolare. Perché il Lugano ha sofferto per almeno un’ora, mentre il Servette di questa supremazia - soprattutto in mediana - se ne è fatto poco o nulla. I novanta minuti regolamentari, insomma, sono scivolati via con pochi sussulti: il salvataggio di Steffen sulla riga di porta, dopo la solita esitazione di Saipi; il cambio frettoloso ma non inconcepibile di Celar; la redenzione del portiere bianconero su Kutesa; l’impatto devastante di Aliseda sul match. E poi, certo, quel doppio mani in area di Tsunemoto che grida vendetta al cielo. Il rigore, signor Dudic e colleghi, poteva starci.

Okay, ma quindi? Che cosa diavolo è successo in seguito? Far calare il sipario al tramonto dei tempi supplementari, forse, avrebbe costituito una punizione severa per i granata. La doppia occasione capitata a «Nacho», tuttavia, ha fatto tremare il Wankdorf. Proprio l’argentino, protagonista di una stagione tribolata, avrebbe potuto saldare i conti con la sfortuna e la fama. Proprio lui, proprio sul più bello. L’assist così così di Mahou, scappato a un impressionante Tsunemoto al 104’, e soprattutto il volo di Mall, hanno tuttavia plasmato il caos conclusivo. Mall, già: eccolo il primo colpo di scena al crepuscolo del match, con René Weiler che ha gettato nella mischia il secondo portiere in ottica rigori. Ma, appunto, è stato salvato in anticipo sul destino.

Ai tiri dal dischetto, Mall ha neutralizzato il bis di Mai, mandando in estasi l’intero popolo ginevrino. Di match point, in precedenza, il Lugano ne aveva però avuti addirittura tre. Che cosa diavolo è successo, dunque? L’inaudito. Perché dopo l’errore di Bolla, diversi registi e documentaristi avevano già iniziato a immaginare la pellicola dell’anno. Forse del secolo. La storia di Jonathan Sabbatini, capitano dei record che saluta tutti con il rigore decisivo e la seconda Coppa, prima sollevata nel cielo di Berna, poi in piazza Riforma. E invece no, il numero 14 ha fallito. E come lui, poco dopo, Renato Steffen e Albian Hajdari. La pressione, al netto della storia che oramai si concedeva sinuosa, doveva essere paradossalmente minore per tutti e tre. Non è stato così. Ha vinto il Servette. Follia. Il teatro dell’assurdo. Ma come diavolo è potuto accadere?