Euro 2024

Di nuovo Colonia, ma tanto è cambiato

In vista dell'esordio contro l'Ungheria, torna alla mente l'ottavo di finale perso ai Mondiali del 2006, nella stessa città, contro l'Ucraina: da allora la Nazionale svizzera ha cambiato dimensione e ambizioni
Massimo Solari
15.06.2024 06:00

Ancora Colonia. Teatro di speranze tradite e lacrime amare, di linguacce e rigori falliti. Questa volta si tratta della prima curva del nostro torneo. Ma sapete una cosa? Firmeremmo per riabbracciare gli ottavi di finale con l’entusiasmo del 2006, quando d’improvviso tutto ci parve possibile. Un po’ sognatori, un po’ ingenui. Allora la Svizzera non aveva poi molto da dimostrare. E ai tifosi andava bene così, felici di assaporare il momento e il crescendo dei rossocrociati durante il Mondiale tedesco. Una simile leggerezza, oggi, non possiamo permettercela. Uff. E il cancan che ha accompagnato le fragili qualificazioni a Euro 2024 è lì a dimostrarlo.

Da una decina d’anni la Nazionale ha cambiato dimensione. Più volte e, se osserviamo la tendenza, con una parabola ascendente. Basta leggere qua e là, sui principali portali e quotidiani: siamo la selezione che al grande evento non manca mai. Dei routiniert, sì, volendo restare in Germania. Di più: un interessante articolo di The Athletic, emanazione sportiva del NY Times, ha ravvisato come la squadra di Murat Yakin si presenti all’Europeo con uno spessore internazionale secondo a pochi. La rosa plasmata dal ct, infatti, presenta una media di 42,7 gettoni. Solo Croazia (45) e Portogallo (43,5) dispongono di un collettivo più esperto. Sul fronte opposto, sul fondo della graduatoria, si situano per contro Italia (21) e Spagna (21,2). Che cosa significa? Beh, che alcuni hanno consumato un importante ricambio generazionale. Accettando di tornare nell’ombra, dopo i fasti del passato e al netto di alcuni squilli isolati. Altri – è il caso degli elvetici – no. Stando a Remo Freuler, 32 anni, la Svizzera, questa Svizzera, «non ha ancora raggiunto lo zenit». Se le augurano tutti. Poiché lì, davanti a noi, s’intravede la discesa. I prestigiosi successi a livello di club di Granit Xhaka, Manuel Akanji e Yann Sommer, come pure quelli del citato Freuler, certificano l’importanza e la delicatezza del frangente. È come se ci apprestassimo a scendere in campo con la saggezza in una mano e un timer nell’altra. E, certo, i risvolti di questa duplice condizione sfuggono. Ancora per qualche ora, perlomeno.

La sfida di questo pomeriggio con l’Ungheria, detto altrimenti, ci aiuterà a capire. A maggior ragione a fronte dei balbettii, delle frizioni e delle tregue conosciute dagli ottavi di finale di Qatar 2022 in poi. La prudenza predicata dall’ambiente rossocrociato non contribuisce a rendere il quadro nitido, ma è benvenuta. È il 15 giugno e, sin qui, nessun giocatore, tecnico o dirigente, ha parlato di storia da fare o riscrivere. Benissimo così, appunto. Attendiamo l’esordio nel gruppo A, la sua consistenza e i punti che porterà in dote. La consapevolezza e le qualità dei nostri leader non si discutono. Alcune incognite, però, sono innegabili: dal rendimento di un attacco orfano, alla gestione di Xherdan Shaqiri, passando per l’impatto di Dan Ndoye sul palcoscenico più importante.

Il nostro Euro non verrà determinato dal primo incontro. No. Basterebbe ricordare quanto accaduto in occasione dell’ultima, inebriante edizione. In questa fase particolare, stiracchiata dalle enormi attese verso i singoli da un lato e dai dubbi circa la resa di collettivo e panchina dall’altro, inciampare potrebbe tuttavia innescare pericolosi e immediati cortocircuiti. E poi c’è un pubblico, c’è un Paese, che a due passi da casa vuole essere riconquistato. Che vuole emozionarsi e, senza la necessità di sognare o cedere all’ingenuità, tornare a credere che tutto è possibile. Come nel 2006. Ancora Colonia.

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