Due leggerezze, altrettante perle e un grido strozzato
Bisogna partire dalla fine. È inevitabile. Perché in quei cinque minuti che accarezzano il novantesimo si mischiano tutte le sensazioni possibili. Incredulità, costernazione, speranza, rassegnazione. Il brivido che corre lungo la schiena dei bernesi, in campo e sulle tribune, è un attimo. Il cuore si ferma e l’urlo - macché, il boato - indietreggia, prendendosi tutto lo spazio dei polmoni bianconeri. Dodicimila tifosi pronti a esplodere, a impazzire, per quella che sarebbe stata una rimonta clamorosa. Inaudita, anche. Già... Maledetto condizionale. E maledetto destino, che lì, tutto solo di fronte al giovane Keller, ci spinge Jhon Espinoza. Ha sangue latino, caldo, il laterale ecuadoriano. Peccato che al Lugano serviva la freddezza, solo quella. Per dare un altro senso a un match che alla pausa sembrava una sentenza. Di condanna.
Da anello debole a eroe
L’ex Chicago Fire, va da sé, esita - destro, sinistro, mah... - e finisce per farsi ipnotizzare da un 20.enne di belle speranze. Da colui che avrebbe potuto rivelarsi l’anello debole dello Young Boys. Maledetto condizionale, di nuovo. L’azione prosegue e manda in orbita Elia: 3-1 e addio ai sogni di gloria. Forse. Perché Renato Steffen, da classico ex, non vuole arrendersi e in un amen riporta sotto i suoi. Il suo sinistro è un arcobaleno, un messaggio di disperazione sportiva. «Crediamoci, crediamoci». Ma di tempo e di forza per mandare la finale ai supplementari non ce n’è proprio più. Per gli dei del calcio è tempo di tirare le somme. Di versare lacrime. Di gioia e tristezza. Sì, ai padroni di casa e a Raphaël Wicky riesce - per la quarta volta - la storica doppietta «coppa+campionato». Al Lugano rimane invece in canna il bis. Poco dopo, il sintetico del Wankdorf si colorerà di giallo e di nero. E a rimpiazzare Jonathan Sabbatini e Mijat Maric sulla balconata dello stadio saranno Fabian Lustenberger e Christian Fassnacht.
Maltrattati fisicamente
Il Lugano, suggerivamo, piange. E mastica pure amaro, sì. Al netto di un secondo tempo da libro Cuore, i rimpianti non mancano. Eccome. L’intraprendenza e la lucidità ripescate dai borsoni alla pausa non possono essere solo motivo d’orgoglio. Troppo, infatti, è stato concesso allo Young Boys affinché gettasse le basi per esultare al triplice fischio finale. Oddio, i primi 45 minuti dei gialloneri sono impeccabili, per prevaricazione fisica, dominio in mediana e attenzione difensiva. La rabbia, piuttosto, nasce dalle leggerezze che scatenano l’istinto esiziale di Jean-Pierre Nsame. Le reti che fanno scappare lo Young Boys, mannaggia, sono viziate dagli erroracci ticinesi. Di Uran Bislimi, che smarrisce ragione e sfera, dando il là all’azione da cui nasce il calcio d’angolo vincente dell’YB. E poi di Amir Saipi, disturbato quanto si vuole dal gigante camerunense, ma superficiale e finanche supponente in uscita. Quel gol, con Fähndrich pronto a mandare tutti a rinfrescarsi le idee, il Lugano non avrebbe mai dovuto prenderlo. Vien per altro da chiedersi come mai Hajdari non riesca a evitare il patatrac: le differenti scarpette indossate dopo il 46’ non sono una scusa abbastanza solida. Solidissima e commovente è per contro la ripresa degli uomini di Croci-Torti.
Un’ammissione di colpa
Il tecnico momò si affida al genio e alla personalità di Mattia Bottani, inserendo pure Kreshnik Hajrizi. È la scelta giusta, ma pure un’ammissione di colpa. No, l’undici iniziale (con la sua strategia) non è stato all’altezza. Okay, va bene, l’infortunio di Roman Macek non ha facilitato il compito dello staff tecnico bianconero. La scommessa Belhadj viene tuttavia persa malamente. Così come il citato Bislimi - sostituito alla pausa - è travolto dagli eventi sull’out di destra. Non aveva «un briciolo di paura» il Lugano, la promessa delCrus alla vigilia. Possibile. Per una fetta troppo consistente di match gli sono però mancati mezzi e acume per contenere l’onda d’urto giallonera. Zan Celar che impreca, sbattendo di qua e di là, Allan Airgoni che sbanda volentieri, Steffen e Jonathan Sabbatini che corrono a vuoto. Di «Renacho» rimane solo Aliseda, inizialmente unico bianconero in grado di fare la differenza. E, non a caso, miccia anche per la prima perla di Bottani. Se solo ci fosse stato uno di loro a guardare dritto negli occhi Keller e a sondare l’indecifrabilità di un atto conclusivo. Di colpo ci vengono in mente Kolo Muani e il «Dibu» Martinez. Forse la Francia avrebbe vinto il Mondiale. Forse il Lugano un’altra Coppa. Maledetto condizionale.