A scuola di spagnolo
È un Europeo normale, ordinario. Il calcio moderno è uniformato, i dettami tattici sono scolastici. Prevale la tattica e i giocatori sono considerati prima di tutto degli atleti. Manca la fantasia, manca il dribbling, mancano le geometrie fuori dalla norma. Non esiste più la scuola italiana, quella tedesca, quella inglese, tutto si è standardizzato. Ma un'eccezione si aggira per l'Europa: è la Spagna. Gli spagnoli rinnovano la tradizione, rispettano lo spirito del gioco, lo esaltano. Che vincano o perdano il torneo è un mero dettaglio. Hanno un'idea, hanno una filosofia che riconcilia. Non si tratta di un semplice esercizio estetico, l'impressione è che si tratti di una visione del mondo. Le Furie rosse attuali sono una formazione giovane e forte. C'è una precisa identità, ma che è sovrastata dal multiculturalismo. Stranieri e autoctoni si sono inseriti perfettamente nel contesto calcistico spagnolo, si aggiunga che ben 7 sono i giocatori provenienti dalle squadre basche. Il miscuglio è solo apparente, ha una sua coerenza. I giocatori spagnoli pensano calcio e lo eseguono, sono tecnici, sanno stoppare il pallone e lo sanno passare al compagno. La Spagna sa evolversi, l'ossessione tattica di Luis Enrique è un ricordo, l'orizzonte di De la Fuente è la verticalità. I suoi calciatori sono lasciati liberi di esprimere il loro talento, ma con una logica. E non manca il coraggio, ieri sera erano in campo contemporaneamente: Yamal; Williams; Olmo; Morata. Eppure la partita è stata dominata. Quella spagnola è indiscutibilmente una scuola. Si inserisce in una filosofia. Rappresenta nel panorama calcistico un'eccezione bella e compiuta.
(Foto Keystone)