Calcio

Sbaglia un rigore e viene minacciato di morte

È capitato a Patrick Cutrone, attaccante in forza al Como
Silvano Pulga
03.09.2024 07:03

Oltreconfine ha destato un certo clamore mediatico (la notizia è stata ripresa, tra gli altri, dal sito Dagospia, tra i più influenti per ciò che riguarda la stampa della vicina Penisola) la vicenda degli insulti social all'attaccante del Como Patrick Cutrone, calciatore conosciuto per aver militato anche nel Milan (lo ricordiamo protagonista, diversi anni fa, in un'amichevole estiva contro il Lugano allo stadio di Cornaredo). Come noto, nei minuti di recupero, il centravanti dei lariani ha fallito, a Udine, un calcio di rigore, che avrebbe regalato il pareggio alla squadra della città di confine: nonostante il portiere fosse stato nettamente spiazzato, la sfera è finita a lato. Logico che siano episodi che generano delusione e frustrazione e che, nel nostro mondo dominato dai social, accada sovente che ci si precipiti sugli account dei protagonisti, per apostrofarli in modo spesso becero. Nel caso di Patrick Cutrone, però, i soliti leoni da tastiera sono andati decisamente oltre: nella fotografia apparsa a corredo del post su Dagospia, che a suo volta riprendeva un articolo pubblicato su sport.virgilio.it, a firma di Matteo Morace, un utente ha addirittura augurato al giocatore lariano la morte dei figli. La denuncia l'ha fatta lo stesso attaccante del Como, facendo uno screenshot del messaggio ricevuto e scrivendo sotto "Accetto le critiche come è giusto che sia, ma queste cose non le lascio passare. Questo (il messaggio sopra citato, ndr) è un esempio tra tanti”. Al netto che capita anche a chi fa informazione di ricevere epiteti non sempre lusinghieri (nessuno però è mai arrivato ad augurarci di vedere nostra figlia morire, va detto), si tratta di un fenomeno ormai (purtroppo) talmente consueto e generalizzato da far pensare all'opinione pubblica che possa essere considerato di livello trascurabile e, soprattutto, privo di conseguenze. Lo scrittore Umberto Eco, parlando dei social, aveva avuto un'intuizione geniale, come molti ricordano: "I social media danno diritto di parola e una visibilità pubblica a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, ma senza danneggiare la collettività, e che venivano subito messi a tacere dagli altri avventori." Al di là di tutto, esistono limiti che non vanno superati, per non sconfinare nel penale. Se è vero, infatti, che è difficile ottenere la cancellazione di alcuni post per questioni territoriali (i server della maggioranza dei social si trovano, come molti sanno, negli Stati Uniti, con tutte le problematiche che ciò comporta), forse non tutti sanno che, per gli uffici del Ministero pubblico e per la Polizia, risalire all'intestatario di un indirizzo IP è abbastanza semplice, anche se ci si si mascherasse dietro una VPN. Insomma, Ganassa67 che dovesse andare lungo, per noi che scriviamo sarebbe anonimo, ma non per chi lavora in via Pretorio a Lugano, o in via Franscini a Bellinzona. Dovrebbero essere cose ovvie: tuttavia, visto che il fenomeno esiste, anche alle nostre latitudini, è forse utile ricordare alcuni concetti. Come abbiamo sentito dire una volta per radio "Tutti hanno il diritto di esprimersi, ma non si può dire tutto." Che non vuol dire censurare, ma rispettare la buona creanza e, magari, il codice penale federale.

(Foto Keystone)