Si scrive Palumbo, si legge Diabolik
Giuseppe Palumbo è uno dei maestri del fumetto italiano contemporaneo. Originario di Matera, vive a Bologna. Alla sua professione associa anche il lavoro di docente di disegno. Invitato dalla Marco Lucchetti Art Gallery, lo abbiamo avvicinato a Lugano.
Cominciamo dall'inizio.
"Sono laureato in lettere. Volevo diventare un archeologo. Sono stato sempre interessato al passato. Sono cresciuto a Matera, la città dei sassi, un museo a cielo aperto".
Era però un appassionato delle arti figurative.
"Mi hanno sempre affascinato. Da piccolo ero un accanito lettore di Alan Ford, dei supereroi Marvel e di Sturmtruppen, leggevo sempre il Corriere dei ragazzi".
Ci racconti il suo debutto nell'ambiente.
"Ho partecipato a dei concorsi ed è aumentata la consapevolezza di poter fare della mia passione una professione. La svolta è avvenuta quando ho pubblicato le avventure di Ramarro eroe bizzarro".
Cos'era Frigidaire?
"Più di una rivista culturale, una rottura rispetto ai tempi. C'erano fumetti, rubriche e inchieste giornalistiche. Proponevamo un punto di vista non convenzionale, uno sguardo diverso dell'Italia, un paese che tende alla conservazione".
Il Nuovo Male?
"Un esercizio satirico, ossia ridere della verità per esorcizzare i pregiudizi e le convenzioni. Ma i tempi erano decisamente cambiati".
Martin Mystère?
"Ci sono arrivato in maniera naturale per via della mia passione nei confronti dell'archeologia. Era un personaggio del quale apprezzavo le avventure, disegnarlo è divenuta una logica conseguenza".
Diabolik?
"Con Tex rappresenta uno dei fumetti più longevi. Un successo che dura nel tempo: la struttura è semplice, è tutto misurato. Affascina perché desidera, ha una forte pulsione, accetta le sfide ed è dedito al crimine senza nessuna vena materiale".
"Il Cavo e il Pieno" cosa rappresenta?
"È un progetto editoriale che rilegge la vita dello scultore Vincenzo Vela. Si tratta di una narrazione piena di significati, un approfondimento che fa riflettere. Si racconta di una battaglia per l'idea di libertà e di giustizia sociale".
Un'opera a cui è affezionato?
"Direi senz'altro "Pasolini 1964". Era un poeta, uno scrittore, un regista. Un autentico gigante nell'ambito della cultura italiana. Un visionario realista. Penso alla sua poesia "Profezia": sarebbe da leggere e da rileggere. Scritta nel 1964, è di un'attualità disarmante".
(Nella foto Carlo Scolozzi, Giuseppe Palumbo e Angelo Lungo)