Il personaggio

Gavranovic: «Le incomprensioni tra Yakin e i giocatori? Non mi stupiscono»

L'ex attaccante rossocrociato torna sull'eliminazione della Svizzera ed elogia la Croazia: «Ha smentito, di nuovo, l'idea di piccola Nazione»
Non c'è mai stata particolare sintonia tra l'attuale ct e Mario Gavranovic. © KEYSTONE/Laurent Gilliéron
Massimo Solari
11.12.2022 07:00

Mario Gavranovic è in ritiro ad Antalya con il suo Kayserispor. Il campionato turco, d’altronde, riprenderà già sotto Natale. «Malgrado ciò sto seguendo assiduamente il Mondiale» ci racconta al telefono. Un torneo, quello in Qatar, che il 33.enne cresciuto a Vezia avrebbe potuto vivere in prima linea, con la maglia della Svizzera. A causa di visioni contrastanti con lo staff rossocrociato, tuttavia, qualche mese fa Super Mario ha preferito togliere il disturbo. «Perciò vivo serenamente la competizione. Anzi, mi sto proprio divertendo». Merito anche della Croazia, della quale è originario. Meno della Nazionale elvetica, «che purtroppo mi ha fatto fare una figuraccia con alcuni compagni di squadra portoghesi. Per fortuna - afferma ridendo - ho il cuore che batte per due selezioni».

Partiamo proprio dall’impresa della Croazia. In pochi credevano possibile l’eliminazione del Brasile. Mario Gavranovic, forse, non figurava fra loro. È così?

«È vero, nel resto del mondo nessuno avrebbe scommesso sugli uomini di Dalic. In Croazia, al contrario, le aspettative erano comunque importanti. Sono sempre importanti. A maggior ragione dopo lo splendido percorso del 2018, arenatosi solo all’ultimo atto con la Francia. Ebbene, contro i grandi favoriti per il titolo si sono visti di nuovo i valori di questa squadra: un gruppo che non muore mai, capace per l’appunto di raggiungere due semifinali mondiali consecutive. Sì, considerata la natura del Paese - gli abitanti sono meno di 4 milioni - credo che la Croazia debba essere un esempio per molti».

E ci arriveremo. Il successo sui verdeoro, intanto, ha molti volti. Alcuni dei quali di tua conoscenza, avendoli affiancati per anni in carriera.

«È vero, la Croazia è composta da grandi campioni. Ma non è solo Modric, Brozovic, Perisic e Kovacic. Nel finale, la differenza l’hanno fatta Petkovic, Orsic, oltre naturalmente al portiere Livakovic. Tutti e tre militano nella Dinamo Zagabria e fa un certo effetto se si pensa ai club dei giocatori brasiliani. In generale mi piace sottolineare la mentalità pazzesca della selezione. Sotto di una rete, con le spalle al muro al 118’, i croati sono riusciti a piazzare un contropiede letale con cinque giocatori. E solo chi possiede un carattere e una forza di volontà enormi poteva riuscirci».

I quarti di finale Croazia-Brasile e Paesi Bassi-Argentina sono stati folli. Con delle rimonte, in parte riuscite, che hanno ricordato l’incredibile ottavo di finale di Euro 2020 vinto dalla Svizzera contro la Francia. Hai avuto la stessa sensazione osservando le partite?

«In effetti l’indecifrabilità e le emozioni hanno segnato tutte e tre le gare. Al netto del risultato finale, il clamoroso ritorno in partita degli olandesi mi ha fatto davvero piacere. Ci si lamenta degli interminabili recuperi, eppure di tempo l’Argentina ne ha perso un sacco. Spesso con furbizia. Il pareggio in extremis di Weghorst, insomma, è stato più che meritato».

Petkovic ha portato avanti un’idea di gioco, dall’inizio alla fine. Indipendentemente dall'avversario. A Yakin piace cambiare e adattarsi. A Doha non ha funzionato

In queste ore si discute molto delle reazioni e provocazioni che hanno infiammato la sfida del Lusail Stadium. Mario Gavranovic da che parte sta?

«A mio avviso, bisogna essere grandi nelle sconfitte e però anche nelle vittorie. Gli argentini hanno scelto di comportarsi in un determinato modo. Vedremo se, presto o tardi, saranno costretti a subire lo stesso trattamento».

L’Albiceleste rimane Messi-dipendente. Altre grandi nazionali, come Francia e Portogallo, hanno per contro saputo «sfruttare» le assenze o esclusioni dei loro elementi di punta: Benzema e Cristiano Ronaldo. Da attaccante, che idea ti sei fatto?

«Sinceramente ho un’opinione diversa. Benzema rimane il centravanti più forte del pianeta e, dunque, costituisce una grossa perdita per i Bleus. Piuttosto, allora, evidenzierei la profondità e la qualità della rosa di Didier Deschamps. Senza il Pallone d’oro, banalmente, il ct ha potuto schierare Giroud. E cioè colui che in Qatar è diventato il miglior marcatore della storia della nazionale. Il discorso non cambia in casa Portogallo: la prestazione di spessore offerta contro la Svizzera ha confermato come la maggior parte delle migliori selezioni non dipenda da una sola stella. La ruota gira e certi cicli si avviano verso la chiusura».

La chiusura del Mondiale rossocrociato, al proposito, è stata terribile. Quanto ti ha sorpreso la débâcle della Svizzera negli ottavi di finale?

«Beh, è stata una delusione. Un po’ per tutti, credo. Dopo il traguardo raggiunto a Euro 2020 e a fronte della qualificazione diretta a danno dell’Italia, le aspettative erano alte. E altre. Le ambizioni e le parole sbandierate alla vigilia del Mondiale, però, non si sono proprio viste con il Portogallo. Da spettatore - e dunque senza conoscere i dettagli interni - osservo che al Lusail Stadium ha funzionato davvero poco. Per immaginare di poter ripetere un altro exploit, tutti i 16 giocatori scesi in campo avrebbero dovuto dare il 100%. Anzi, in queste partite è necessario superare i limiti. Non è stato il caso ed è un peccato. Nel periodo trascorso in rossocrociato non mi era mai capitato di vivere una batosta del genere. In un modo o nell’altro, la Svizzera se l’è sempre giocata dignitosamente. A questo giro, per contro, non c’è stata storia dal primo all’ultimo minuto».

Di nuovo, parlo da osservatore esterno. Il cambio di sistema, probabilmente, ha influito. Lo suggerisce l’andamento dell’incontro: gli spazi a disposizione dei portoghesi erano davvero eccessivi

Ecco: in merito si è dibattuto molto sulle scelte tattiche di Murat Yakin. Quanto hanno pesato sulla controprestazione elvetica? E quanto, pensando anche alla Croazia, a costare caro è invece stato l’atteggiamento sbagliato dei giocatori?

«Di nuovo, parlo da osservatore esterno. Il cambio di sistema, probabilmente, ha influito. Lo suggerisce l’andamento dell’incontro: gli spazi a disposizione dei portoghesi erano davvero eccessivi. Troppe volte, i nostri avversari sono arrivati facilmente dalle parti di Sommer. Puntare il dito solo sul modulo, tuttavia, sarebbe poco corretto. Non alla luce di una prestazione del genere».

Tu hai vissuto sia la gestione Petkovic, sia quella di Yakin. È giusto affermare che «Vlado», nella sua idea di gioco e impostazione tattica, ha mostrato maggiore linearità rispetto al suo successore? L’integralismo del passato - non sempre pagante, va detto - ha lasciato spazio al concetto di flessibilità tanto caro a Murat?

«Sì, credo che la differente filosofia dei due ct sia sotto gli occhi di tutti. Petkovic ha promosso un sistema e, con coerenza, l’ha portato avanti sino alla fine. Indipendentemente dall’avversario. A Yakin, al contrario, piace cambiare. Adattarsi, anche, a chi ha di fronte. Lo scarto, tra le due visioni, è sostanziale. E in entrambi i casi vi sono vantaggi e svantaggi. Purtroppo a Doha non ha pagato».

E a Mario Gavranovic sorprendono le versioni discordanti, tra staff e giocatori, e persino tra singoli e singoli, emerse a margine della sconfitta con il Portogallo? Le contraddizioni non sono mancate: Elvedi che sostiene di essere pronto a differenza del ct, Sommer che parla di cambio di sistema concordato con Yakin e Xhaka che fa intendere altro. Insomma, bene, ma non benissimo.

«Mi limito ad affermare due cose. Da un lato, queste reazioni non fanno del bene all’ambiente e anzi forniscono materiale non necessario alla stampa. Dall’altro, e parlo per esperienza personale, non sono sinceramente sorpreso di determinate incomprensioni. Se così vogliamo definirle… E nemmeno che i diretti interessati le abbiano portate alla luce».

Sarebbe tuttavia un errore, e parlo sempre della Nazionale rossocrociata, aggrapparsi a un presunto complesso d’inferiorità

Si è parlato anche dei limiti oggettivi della Svizzera. Una nazionale, tradotto, che forse non dispone dei numeri e di un ventaglio di giocatori di qualità tali da poter ambire concretamente a un quarto o a una semifinale di un Mondiale. Poi, però, a più riprese spunta la Croazia...

«Mentre guardavo il match contro il Brasile ho fatto personalmente questa riflessione. Ripeto, parliamo di un Paese con la metà degli abitanti della Svizzera, capace però di cogliere un terzo posto nel 1998, il secondo nel 2018 e ora un’altra semifinale. Ciò non significa che un’eliminazione per mano del Portogallo vada condannata. Ci mancherebbe. Al contempo sarebbe tuttavia un errore, e parlo sempre della Nazionale rossocrociata, aggrapparsi a un presunto complesso d’inferiorità. No, i risultati degli ultimi anni hanno comunque dimostrato il valore di questa generazione di calciatori. Calciatori forti, e lo sottolineo con decisione».

Eppure c’è chi teme che l’ultimo treno, per i vari Sommer, Xhaka, Shaqiri, Rodriguez, Seferovic e Freuler, sia oramai passato. Gavranovic è altrettanto disfattista?

«No, al contrario. Credo che il gruppo attuale ed eventualmente la sua componente più giovane abbiano i mezzi per centrare il classico risultato importante. Fuori dal normale, per intenderci. A Euro 2020 è successo e, addirittura, è mancato poco alle semifinali. In Qatar parlerei di occasione persa. Tanti leader, ad ogni modo, saranno ancora in campo al prossimo Europeo. È il mio auspicio, perlomeno. Quello che mi spinge ad affermare che l’ultimo treno - almeno per un paio d’anni - potrebbe ancora aspettare».

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