Giulia Rigon: «La mia vita sotto rete e l’esempio di nonno Damiano»

Più che una semifinale di playoff, la serie con il NUC Neuchâtel è una montagna da scalare. «Ma l’affrontiamo senza pressione», ci dice Giulia Rigon, centrale italiana del Volley Lugano. L’abbiamo raggiunta in vista di gara-2, in programma questa sera al Palamondo di Cadempino (ore 20.00).
Sui pedali con Eddy Merckx
Una montagna da scalare, dicevamo. La metafora non è scelta a caso. Il nonno di Giulia Rigon, Damiano Capodivento, è stato infatti un ciclista di valore internazionale. Se oggi il NUC è il cannibale della pallavolo femminile elvetica, alla fine degli anni Sessanta nonno Damiano doveva vedersela con il Cannibale originale, Eddy Merckx. «Lui mi ha trasmesso tutto», ci racconta la numero 12 delle rosanero. «Ha appena compiuto 81 anni ed è ancora il mio più grande tifoso. Ricordo che alle scuole medie, prima di dedicarmi totalmente alla pallavolo, mi ero appassionata alla corsa campestre e all’atletica. Nonno Damiano mi faceva da allenatore: io a corsa, lui in bicicletta. Casa sua è piena di coppe, medaglie, targhe. Ma i valori che mi ha trasmesso sono ben altri: il sacrificio e il rispetto. Per i più grandi, sì, ma soprattutto per i più giovani. Un insegnamento, quest’ultimo, che mi impegno a mettere in pratica quotidianamente nel Volley Lugano. Ho 28 anni e alcune mie compagne ne hanno 10 in meno. Scherzando, me lo ricordano continuamente. Cerco di aiutarle, di stimolarle. A quell’età il corpo è al massimo della forza, ma si ha ancora tantissimo potenziale inespresso. È utile avere qualcuno che te lo faccia capire e che ti mostri la strada da seguire. Io questa responsabilità nei confronti delle più piccole la sento tutta. Anche perché, in passato, altre giocatrici hanno fatto lo stesso per aiutare me».
Frontaliera del volley
«Sono stata fortunata», continua Giulia. «I miei genitori mi hanno sempre scorrazzata ovunque, a qualsiasi ora, per permettermi di giocare a pallavolo. A una sola condizione: la scuola prima di tutto». Oggi Rigon si sposta da sola, ma i chilometri non sono affatto diminuiti: «Vivo a Castellanza, in provincia di Varese. Fare la frontaliera del volley non è una passeggiata. Ogni giorno trascorro dalle 3 alle 4 ore in macchina. Mi sveglio alle 5.00 e torno a casa alle 21.30. A volte la stanchezza si fa sentire, ma posso sempre contare sull’appoggio del club e dello staff. Abbiamo un coach esigente, come è giusto che sia, ma tutti mi vengono incontro per agevolarmi il più possibile. Lo apprezzo molto, so che non è scontato. Il Volley Lugano è il mio datore di lavoro e in quanto tale avrebbe tutto il diritto di non transigere».
La chiusura del cerchio
Il rapporto tra Rigon e la società ticinese, del resto, ha radici profonde. Storia del 2014. Infatti oggi Giulia può giocare con una licenza svizzera. «Ero una ragazzina. Dopo due stagioni in B, nel 2016 abbiamo conquistato la promozione. A quel punto, sono partita per una nuova avventura a Sciaffusa. L’anno trascorso nella Svizzera tedesca è stato importante per la mia crescita, ma sentivo che la mia storia con il Lugano era rimasta incompiuta. Ottenere la promozione e andare via è stato come vincere un’automobile e non poterla guidare. Nel 2020 sono tornata in Ticino, ma ho giocato solo 5 partite a causa della COVID-19. La scorsa estate, quando il direttore sportivo Toma mi ha proposto di tornare una terza volta, mi ha fatto molto piacere. Stavo già ventilando l’ipotesi di ritirarmi e poter chiudere questo cerchio proprio a Lugano mi sembra il finale perfetto. Dal 2014 ad oggi, ho visto il club crescere di anno in anno, fino a raggiungere gli standard richiesti per essere tra i migliori del Paese. Per la seconda stagione di fila la società si è qualificata per le semifinali dei playoff e per la finale di Coppa Svizzera. Sono grandi soddisfazioni».
L’ultimo ballo
A fine stagione, dunque, Giulia lascerà la pallavolo professionistica: «Non nascondo che l’aspetto economico ha avuto un certo peso in questa decisione. Vivo da sola e non è evidente coprire le spese. Ho dedicato la mia vita a questo sport e non trovo le parole per descrivere quello che ho ricevuto in cambio. Adesso, però, vorrei fare altro. Ho un diploma in massoterapia che mi permetterà di restare nell’ambiente sportivo, dal quale non potrei mai staccarmi completamente. Spero inoltre di poter continuare a giocare con la sabbia sotto i piedi, dedicando più tempo al beach volley, un’altra mia passione».
La forza della leggerezza
Prima di guardare al futuro, Giulia Rigon e le rosanero devono pensare al NUC Neuchâtel: «È inutile girarci intorno: affrontiamo un colosso. Hanno giocatrici di valore, risorse, esperienza. La loro allenatrice, Lauren Bertolacci, sta svolgendo un grande lavoro, sia con il NUC, arrivato addirittura in una finale europea, sia con la Nazionale rossocrociata. Noi abbiamo il vantaggio di vivere questa semifinale come un’opportunità, senza quelle pressioni che invece avevamo nel turno precedente contro lo Sciaffusa, che era comunque favorito. Ora nessuno ci chiede di vincere. Sfruttando questa leggerezza, sarà più facile esprimere la nostra pallavolo migliore. E quando ci riusciamo, possiamo mettere in difficoltà anche il NUC. Lo abbiamo già dimostrato in gara-1, andando a vincere un set in casa loro. Stanchezza e acciacchi si fanno sentire, ma siamo pronte a vivere il finale di stagione con grande entusiasmo e a vendere cara la pelle».
Se potesse scegliere un’unica partita in cui battere il Neuchâtel, il Volley Lugano punterebbe certamente sulla finale di Coppa Svizzera del 6 aprile. Quel giorno, con una serie di playoff alle spalle, tra le due squadre non ci saranno più segreti: «Val sempre la pena provare qualche mossa a sorpresa - spiega Giulia -, ma oggi, con tutte le tecnologie a disposizione, si analizza nel dettaglio ogni avversario. Nel quarto di finale contro lo Sciaffusa, ad esempio, ho studiato ogni singolo movimento della loro palleggiatrice. Praticamente era diventata la mia gemella».
In quanto centrale, a Giulia spetta tanto lavoro «sporco»: «Sarebbe divertente attaccare qualche pallone in più (ride, ndr.), ma posso cercare le mie soddisfazioni altrove, a muro e in battuta. È un ruolo di sacrificio». Di quelli che piacciono a nonno Damiano.