Grant Holloway, una stella a Bellinzona: «Ogni ostacolo è una nuova sfida, sulla pista e nella vita»
Mercoledì è iniziato il campionato di football americano della NFL. Se nel 2017 avesse accettato la proposta dell’Università della Georgia, che aveva individuato in lui uno dei più promettenti giovani ricevitori del Paese, forse oggi Grant Holloway sarebbe lì, su un campo di 100 yards, a caccia di «touchdown» e del Super Bowl. Invece scelse di proseguire con l’atletica, entrando all’Università della Florida. Oggi è il miglior interprete dei 110 m ostacoli, con tre titoli mondiali di fila e l’oro olimpico a Parigi. Lunedì sarà una delle principali attrazioni del Galà del Castelli. Oggi ha raggiunto Bellinzona, in treno da Zurigo, dove ieri ha stravinto alla Weltklasse. Lo abbiamo incontrato.
Grant, ieri sera al Letzigrund hai scritto un’altra pagina di storia della tua disciplina, diventando il primo uomo a scendere per dodici volte in carriera sotto i 13 secondi. Hai corso in 12’’99. Con la pioggia. Cosa significa, per te, questa costanza negli anni?
«È un traguardo che mi riempie di gioia e credo che quella di Zurigo resterà una delle mie gare più belle in assoluto. Ho lavorato tutta la vita per questo, per essere considerato uno dei migliori di sempre nei 110 m ostacoli. Ecco perché il record di gare sotto i 13 secondi significa così tanto per me. Guardavo Allen Johnson e Aries Merritt in televisione e volevo essere come loro. Quando ho iniziato questo viaggio non pensavo di poterci arrivare, ma con il duro lavoro e l’aiuto del team, ci sono riuscito».
Dopo l’oro di Parigi sei sicuramente diventato uno dei migliori di sempre nei 110 m ostacoli. O forse il migliore di tutti?
«Questo lo vedremo. Per me la cosa più importante è tagliare il traguardo prima degli altri. Quest’anno ho avuto un ottimo stato di forma durante tutta la stagione e voglio continuare a sentirmi così. Guardo avanti, al duro lavoro che mi aspetta e a ciò che posso migliorare in vista del 2025 e dei Mondiali di Tokyo. Adesso, però, penso soprattutto al Galà di Bellinzona. Mi concederò un po’ di riposo e sarò pronto per la gara di lunedì».
Cosa ti aspetti dal Galà?
«È la mia prima volta qui, il paesaggio mi lascia senza fiato e l’atmosfera è bellissima. In generale, adoro gareggiare in Europa. I tifosi amano l’atletica più di quanto facciano negli Stati Uniti. In Svizzera, poi, ci sono meeting straordinari e piste fantastiche per correre veloci. Mi hanno detto che il record del Galà nei 110 m ostacoli è 13’’10 e dunque darò il massimo per batterlo».
Cosa provi quando tagli il traguardo e sul cronometro vedi apparire «12 e qualcosa»?
«È una sensazione speciale, l’obiettivo di ogni ostacolista. L’altra sera a Zurigo non è stato immediato, perché all’inizio il tabellone segnava 13’’01, poi è stato corretto. Credo che la mia gioia fosse palese. Da qui alla fine della carriera, vorrei arrivare a venti gare sotto i 13 secondi. Ma ogni volta devi trovare la giornata giusta, con tutte le stelle allineate».
A Parigi hai conquistato quella medaglia d’oro olimpica che ti era sfuggita tre anni fa. Esserci riuscito ha addolcito anche il sapore dell’argento di Tokyo?
«Quel secondo posto era stato agrodolce, ma ne vado fiero. Per me la cosa più importante è il percorso. Negli anni sono maturato, Parigi è stata una tappa meravigliosa, ma il mio viaggio non è ancora finito. Altre sfide mi attendono».
Dopo il liceo hai dovuto scegliere tra l’atletica e il football americano. Cosa ti ha spinto a optare per la prima?
«Come sportivo, mi considero molto egoista e individualista. Non ho un’indole da giocatore di squadra. Ho bisogno di raggiungere i miei obiettivi e di farlo a modo mio».
Pensi mai a dove saresti oggi se avessi scelto il football? Alcuni osservatori sostengono che giocheresti in NFL...
«È un po’ come immaginare una vita parallela e sinceramente non saprei dire fin dove sarei arrivato. Sono felice di quello che ho raggiunto nei 110 m ostacoli, da solo, in uno sport meraviglioso».
Sport individuale significa anche tanta solitudine, tanti momento con te stesso. Ti piace?
«Anche se non ti piace, devi imparare a convincerci e a coglierne gli aspetti positivi. Fa parte del processo. Saper gestire quei momenti ti rende migliore. Ho accettato i sacrifici necessari per diventare un grande atleta».
Mercoledì al Letzigrund è andata in scena la sfida sui 100 m tra lo svedese Mondo Duplantis, primatista nel salto con l’asta, e il norvegese Karsten Warholm, recordman dei 400 m ostacoli. Cosa ne pensi? È stata solo un’operazione di marketing o un bel momento di atletica?
«Penso che sia stato un evento molto positivo per il nostro sport. Ce ne vorrebbero di più. Mondo è incredibile, non perde mai. Sarà ricordato come uno dei più grandi atleti di sempre e sono contento per lui. Anche se io ero convinto che vincesse Karsten».
Se potessi sfidare un altro atleta in campo neutro, chi sarebbe e che disciplina sceglieresti?
«Sfiderei il mio connazionale Rai Benjamin, oro a Parigi nei 400 m ostacoli. Potremmo trovare un punto d’incontro nei 200 m ostacoli. Sarebbe molto divertente».
Pensavo che avresti scelto di sfidare qualcuno nel salto in lungo, l’altra tua specialità ai tempi del college, in cui vanti un personale di 8,17 m.
«Non lo pratico da molto tempo, quella misura risale a 6 anni fa. Meglio gli ostacoli. Una specialità in cui ho la possibilità di scrivere la storia».
C’è qualcosa di metaforico nella corsa a ostacoli? Il fatto che tu abbia scelto questa disciplina, ci dice qualcosa del tuo carattere?
«Metaforicamente parlando, gli ostacoli sul tracciato potrebbero rappresentare le sfide che uno deve affrontare nella vita. E io adoro le sfide».