Ghiaccio Bollente

Hockey Club Lugano, dal giorno alla notte

Guerrieri in trincea domenica a Berna, scolaretti in gita ieri a Rapperswil: i bianconeri continuano a giocare con il fuoco dell’incostanza
Fernando Lavezzo
22.02.2023 21:00

Secondo Luca Gianinazzi il Lugano «deve imparare che a questi livelli certi errori individuali si pagano a caro prezzo». Ohibò. A quattro giornate dalla fine della regular season, con una situazione di classifica preoccupante, una squadra di professionisti deve ancora imparare l’ABC e capire che in pista non può fare quello che le pare, a seconda dell’umore. Uno dei problemi è proprio questo: i bianconeri non giocano quasi mai due partite di fila allo stesso modo, con la stessa qualità, intensità, concentrazione. Ieri compatti, rigorosi e cinici; oggi svogliati, fragili e indisciplinati; domani dominanti ma spreconi; dopodomani chissà. Non hanno un’identità precisa, fondamenta solide, appigli a cui aggrapparsi sempre e comunque. Prendete le ultime due gare. Domenica a Berna è scesa in trincea un’armata di combattenti pronta a tutto pur di difendere il suo territorio. Ieri a Rapperswil, invece, il Lugano ha giocato con l’attitudine di una classe delle elementari in visita a un allevamento di pony.

Dopo oltre quattro mesi, ancora non si sa cosa sia esattamente il Lugano del «Giana». Conosciamo i principi di gioco del giovane coach ticinese, i suoi ideali, ma li vediamo applicati solo a sprazzi. Un po’ per colpa sua, della sua inesperienza, ma soprattutto per colpa dei giocatori, incapaci di dare continuità alle loro prestazioni individuali, prima ancora che collettive. Venerdì contro il Ginevra assisteremo a una veemente reazione? Probabile. È già successo dopo altre figuracce. Ma sabato a Davos sarà lo stesso? Impossibile prevederlo. È un Lugano senza certezze.

A preoccupare, più del gioco, è l’atteggiamento dei singoli. Due giorni dopo essere stati applauditi per il carattere mostrato nella capitale, i bianconeri si sono ripresentati in pista rammolliti. Superficiali. Al limite del menefreghismo. Per la serie: «Eravamo messi bene in pista, poi l’arbitro ha effettuato l’ingaggio d’inizio». Troppe volte in stagione il Lugano si è fatto trovare impreparato, buttando via le partite già nei primissimi minuti. «Inspiegabile», dice l’allenatore davanti ai microfoni. Ma Gianinazzi, ragazzo intelligente e sicuro di sé, una risposta se l’è certamente data. Già da molto tempo. Noi ne ipotizziamo una: in questa squadra i trascinatori si contano sulle falangi di un pollice. E quando manca il giocatore più carismatico (ci riferiamo a Marco Müller, non a Mark Arcobello), la problematica emerge con tutta la sua forza dirompente.

La speranza è che «Mullo» possa tornare a disposizione già nel weekend. Lui, conoscendolo, giocherebbe anche in stampelle. Arcobello, invece, non si vedrà fino a un’eventuale semifinale dei playoff, a fine marzo. Intanto si è fatto male pure Brett Connolly, di cui ancora non si conoscono i tempi di recupero. Sfortuna nera, certo. Assenze pesanti, eccome. Ma se i bianconeri dovessero affrontare la fase più importante della stagione con solo cinque stranieri (escluso Koskinen, compreso Bennett) le responsabilità sarebbero ben suddivise tra la Dea Bendata e una società che non ha voluto tutelarsi con un nuovo «import» entro il termine del 15 febbraio.

L’infermeria affollata riporta alla mente uno dei periodi più esaltanti nella storia recente dell’HCL. Il 3 marzo 2018, ospiti del Davos alla penultima giornata di regular season, i bianconeri di Greg Ireland persero tre giocatori di primo piano: il capitano Alessandro Chiesa, Dario Bürgler e Damien Brunner. Stagione finita per tutti. Dalle difficoltà emerse un gruppo di guerrieri (Vauclair, Sannitz, Reuille, Walker, Lajunen...), compattatosi attorno all’asse Merzlikins-Furrer-Lapierre-Hofmann. Al Lugano del «Giana» non si chiede di arrivare a giocarsi il titolo a gara-7 della finale. Basterebbe mostrare un po’ di fame. E di orgoglio.

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