Il compleanno del basket e dell’uomo che lo inventò

Centosessant’anni fa, il 6 novembre del 1861, nacque James Naismith. Esattamente trent’anni più tardi, il 6 novembre del 1891, lo stesso professore canadese venne incaricato di pensare un nuovo sport per gli studenti della YMCA Training School di Springfield: due squadre, una palla, due cesti appesi a 3,05 metri. Questa è la storia del basket e dell’uomo che lo inventò.
La mattina del suo trentesimo compleanno, il 6 novembre 1891, il professor James Naismith venne convocato dal decano del dipartimento sport dell’YMCA Training School di Springfield, Massachusetts, dove oltre ad insegnare psicologia e studio della Bibbia era anche istruttore atletico. «Per il prossimo trimestre – gli comunicò il decano Gulick – la sua classe sarà composta da ragazzi poco interessati all’agonismo, tutta gente destinata al segretariato, mammolette che congelerebbero se le portassimo fuori a giocare a football. Cionondimeno, devono per regolamento seguire un’ora al giorno di educazione fisica, che i venerabili fondatori della nostra istituzione ritenevano imprescindibile nella formazione di ogni buon cristiano. Serve qualcosa che tenga impegnati quei ragazzi: annoiarsi è poco virile e l’accidia è addirittura vizio capitale. Le affido un compito non facile, in cui hanno già fallito un paio di suoi colleghi: nel giro di due settimane dovrà inventarsi un gioco di squadra da svolgere in palestra e poco pericoloso, non vorrei troppo gravare sulle spese dell’infermeria».
«Ci proverò, signore». «Bene, buona fortuna. Ah, Naismith – lo bloccò il decano prima che infilasse la porta – mi hanno riferito di averla vista squarciare alcune palle da rugby con un coltello da caccia. Non posso negarlo. Come responsabile del dipartimento sport, è mio dovere chiederle una spiegazione». «A volte, signore, mi capita di giocare a football con gli alunni, dato che spesso sono in numero dispari. Mi sono accorto che tutte quelle botte in testa, oltre a rintronarmi, mi causano pure vuoti di memoria. E così ho pensato che un mezzo ovale da rugby imbottito di flanella potesse proteggere le orecchie e attutire i colpi al cervello». Gulick gli disse che il costo dei palloni sventrati gli sarebbe stato defalcato dallo stipendio e lo congedò.
I sassi dell’infanzia
Escluse le versioni indoor di football e rugby – troppo violente – e scartati pure lacrosse, baseball e soccer (calcio) per evitare danni a lampade e finestre, Naismith si ritrovò in ambasce. Ogni ipotesi gli pareva banale o di difficile realizzazione, i giorni passavano e lui si ritrovava lontanissimo dal traguardo. L’unica sua certezza era che il nuovo gioco comportasse l’uso di una palla. E che questa, possibilmente, dovesse colpire un bersaglio. Da ragazzo, nell’Ontario dov’era nato e nel Québec dove era cresciuto, nulla lo aveva divertito più di «Duck on the rock», sfida che consisteva nel cercare di centrare con un sasso – da una certa distanza e con traiettoria a palombella – una pietra posata su una roccia. Trasformarlo in uno sport – di squadra per giunta – pareva un’impresa impossibile, ma il tempo stringeva e, non avendo avuto alcuna idea migliore, gli toccò concentrarsi su quell’antico passatempo della sua infanzia.
Dopo vari esperimenti, il canadese decise che come proiettile avrebbe utilizzato un pallone da calcio, che venisse bandito ogni tipo di placcaggio e che al giocatore in possesso della sfera fosse proibito spostarsi. A suggerire forma e dimensioni del bersaglio avrebbe provveduto invece, inconsapevolmente, uno degli inservienti della scuola, che una mattina si fece vedere da Naismith mentre con un’ascia ricavava legna da ardere da vecchi cestoni per la raccolta delle pesche, ormai inutilizzabili. «Ne tenga da parte uno per me, anzi un paio», disse il professore a cui in testa si era accesa la classica lampadina. Per evitare che i difensori si schierassero compatti a difesa del goal, rendendo di fatto impossibile segnare dei punti, i cesti furono presto innalzati a 10 piedi di altezza (3,05 metri), agganciati al parapetto della balconata che correva lungo il perimetro della palestra. Ci volle invece più tempo per maturare l’idea di togliere il fondo ai cestoni per consentire alla palla di tornare a terra dopo un canestro realizzato: a recuperare la sfera e a rimetterla in gioco avrebbe per intanto pensato, con l’aiuto di una scala, lo stesso provvidenziale inserviente dell’YMCA. Lavoro ad ogni modo poco impegnativo: la prima partita di prova, disputata con nove giocatori per squadra, terminò col risultato di 1-0. Il più, pareva a Naismith, era fatto: altre regole sarebbero state introdotte più in là, e per ora il decano Gulick si sarebbe accontentato.
Successo immediato
L’idea ad ogni modo piacque, gli alunni subito si appassionarono e presto la palestra si riempì di gente curiosa di assistere alle lezioni di educazione fisica tenute da Naismith. Fedelissime erano le docenti di ginnastica delle vicine scuole femminili, consce che quel gioco per nulla rude sarebbe stato perfetto per le ragazze. E infatti lo adottarono immediatamente. La prima partita ufficiale, seguita dalla stampa locale, ebbe luogo poco prima di Natale e vide la squadra degli insegnanti di sport imporsi 5-1 sulla selezione dei migliori allievi. A far testo furono le prime tredici regole buttate giù da Naismith in quelle prime settimane, alcune delle quali assai bizzarre. Ad esempio, non era previsto un numero definito di giocatori, purché fosse lo stesso per entrambe le squadre. Curiosa anche la norma secondo cui, se tre falli consecutivi erano commessi dalla stessa squadra, veniva assegnato un punto agli avversari.
Gli uomini in campo divennero cinque solo nel 1897, e dovettero passare alcuni anni prima che al giocatore in possesso della palla fosse consentito di spostarsi, a patto che facesse rimbalzare la sfera per terra: fu anche l’occasione per abbandonare il pallone da soccer e adottarne uno appositamente concepito per soddisfare le nuove esigenze.
Il successo, come detto, fu immediato. Nessuna disciplina sportiva, prima di allora, si era diffusa così rapidamente: entrò presto in ogni scuola degli States, diventò lo sport da palestra per antonomasia e rese immortale il suo inventore. Per catturare un pubblico pagante, però, la pallacanestro dovette scendere a compromessi: all’epoca infatti nessuno sarebbe stato disposto a scucire un soldo per assistere a uno sport che non fosse sanguinario, fatta eccezione per il baseball, che però più che uno spettacolo è sempre stato considerato alla stregua di una religione. Del resto, erano tempi in cui gli incontri di pugilato, ad esempio, si combattevano spesso sulle 50 (cinquanta!) riprese, e la gente faticava a concepire battaglie prive di contatto fisico come nel caso del basket primigenio. E dunque, per i primi campionati professionistici, fu permesso di menare botte da orbi, specie lontano dal pallone, dove l’arbitro non poteva vedere, con buona pace del decano Gulick. Gomitate alla mascella e ginocchiate nei genitali costrinsero i protagonisti a munirsi dunque delle più basilari protezioni, mentre i campi, in certe leghe, vennero chiusi da gabbie per evitare che gli atleti venissero colpiti dalle bottiglie che piovevano dagli spalti, ma soprattutto per impedire che i giocatori le rispedissero al mittente, come era accaduto più volte agli albori.
Alla conquista dei Giochi
Naismith, rimasto orfano di entrambi i genitori quando aveva solo 9 anni, aveva dunque realizzato il classico sogno americano, poco importa che fosse canadese. Allevato coi fratelli da uno zio agricoltore, fu più volte costretto a interrompere gli studi per via delle difficoltà finanziarie, ma senza che ciò gli impedisse di conseguire un paio di lauree all’Università McGill di Montréal e, come abbiamo visto, di acquisire in seguito gloria e agiatezza grazie alla sua invenzione. Conseguita una terza laurea – in medicina – lasciò il Massachusetts per il Kansas dove, oltre ad insegnare, diventò il primo allenatore di basket della storia. Il suo record dice 55 vinte e 60 perse: nemmeno l’inventore del gioco, dunque, poteva dirsi infallibile. Nel frattempo la pallacanestro, grazie soprattutto alla presenza di soldati e missionari statunitensi in ogni angolo del pianeta, era andata diffondendosi ovunque. E quando nel 1936 a Berlino fu inserita nel programma olimpico, ad alzare la prima palla a due e poi a consegnare agli americani la medaglia d’oro c’era proprio il Dottor Naismith, ormai presidente onorario delle Federazione internazionale.
È stato pure un pioniere dei caschi da football
Sportivo a tutto tondo (praticò ginnastica, lacrosse, rugby e atletica leggera), James Naismith oltre ad essere passato alla storia come padre del basket, viene ricordato pure fra i possibili inventori del casco da football, titolo che contende ad altri due pionieri dello sport moderno. Si tratta di Joseph Mason Reeves e George Oliver Barclay, giocatori a livello universitario nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Come Naismith, entrambi avevano ideato rudimentali protezioni per testa e orecchie di un certo successo qualche anno prima che la Spalding, nel 1900, mettesse sul mercato il primo casco prodotto su scala industriale.