«Il diavolo, i morsi e gli spari in quella folle notte a Las Vegas»

«Tyson, un vampiro impazzito». Fu questo il titolo scelto dalla «Gazzetta dello Sport» per raccontare uno degli incontri di boxe più famosi di tutti i tempi. Quello del 28 giugno 1997 all’MGM Grand di Las Vegas. Quello dei due morsi di Mike Tyson alle orecchie di Evander Holyfield. Esattamente 25 anni fa. Ne parliamo con Fausto Narducci, all’epoca inviato del quotidiano sportivo più popolare d’Italia.
«La cosa più incredibile che si sia mai vista nella storia del pugilato. Forse dello sport». Quella sera di 25 anni fa, Fausto Narducci era a bordo ring. Poi si rifugiò in un ristorante italiano. Quindi tornò in camera sua, ancora tremante. Sì, perché i morsi di Tyson alle orecchie di Holyfield furono solo l’inizio di una notte folle a Las Vegas.
La prima volta
Premessa non trascurabile: quella del 28 giugno 1997 fu una rivincita. «Il primo match andò in scena il 9 novembre 1996 e ci si arrivò all’apice di tanti problemi», ricorda Narducci. «Tyson aveva scontato tre anni di prigione per lo stupro di Desiree Washington. Uscito di galera, riconquistò il titolo mondiale e riuscì finalmente a coronare il sogno di metterlo in palio contro Evander Holyfield. Il diavolo contro l’angelo. Tyson rappresentava l’immagine cattiva della boxe. La sua fu una carriera folgorante, a 20 anni divenne il più giovane campione dei pesi massimi. Holyfield era meno conosciuto, ma rappresentava l’immagine positiva. Aveva scalato varie categorie, era stato bronzo olimpico nel 1984 a Los Angeles, dove tra l’altro Tyson era solo riserva. Evander era una persona apparentemente integerrima, nonostante avesse avuto i suoi problemi. Compresi quelli di salute, con un difetto al cuore».
Tyson era nettamente favorito. «Anche se nei giorni precedenti iniziammo ad avere dubbi, i pronostici erano ancora tutti per lui. Incredibilmente, però, vinse Holyfield, che lo mise al tappeto alla sesta ripresa e poi lo finì all’undicesima. Un match senza storia, una resa incondizionata».
L’urlo e la furia
Ed eccoci alla rivincita del 28 giugno 1997. Un match promosso come «The Sound and The Fury», «L’urlo e la furia». «A quel punto Tyson non era più il favorito - dice Narducci -, ma si pensava che in qualche modo avrebbe imposto la sua legge. Invece Holyfield cominciò vincendo le prime due riprese. Il tutto con un discreto aiuto dell’arbitro Mills Lane».
Il terzo round è storia. «In un primo momento non si percepì bene cosa fosse successo», ricorda Narducci. «Tyson si appoggiò alla spalla del rivale e con un morso gli staccò un pezzo dell’orecchio destro. Un gesto talmente incredibile che neppure l’arbitro se ne rese subito conto. Ci fu un’interruzione, durante la quale il maxischermo mostrò l’accaduto. La folla ammutolì, ma l’arbitro, anziché squalificare Tyson come sarebbe stato normale, decise di infliggergli due punti di penalità e di farlo proseguire. Una scelta incomprensibile. Così Tyson tornò immediatamente ad attaccare Holyfield e gli staccò subito un pezzo dell’altro orecchio, in un doppio atto di cannibalismo».
Panico all’MGM
A quel punto, la squalifica fu inevitabile. «Alla lettura del verdetto, Tyson impazzì e cercò di assalire Holyfield. Fu fermato dalle guardie del corpo, ma il peggio doveva ancora venire. All’incontro erano presenti numerosi teppisti, tifosi di Tyson, che invasero il ring. Furono fatti scendere a fatica, poi seminarono il panico nei corridoi dell’MGM. Ci furono degli spari. Io e il mio collega del «Corriere della Sera» scappammo, impauriti, e ci rifugiammo in un ristorante italiano. Purtroppo, questi energumeni entrarono proprio lì. Ci nascondemmo dietro a un tavolo ribaltato, poi il collega corse in cucina e io da un’altra parte, aspettando che passasse la buriana. Tornai in camera scioccato. Fortunatamente non dovetti scrivere subito l’articolo. Non c’era ancora il sito web da aggiornare e il fuso orario mi fece guadagnare tempo. Le gambe, però, mi tremarono per giorni».
Un arbitraggio frustrante
Nel frattempo, Tyson fornì la sua spiegazione. «Non si scusò, ma si giustificò», ricorda Narducci. «Parlò soprattutto di frustrazione. Secondo lui, infatti, l’arbitro aveva favorito Holyfield in tutti i modi. Io non difendo il suo gesto, però su questo ha ragione. Per quanto deprecabile fu la sua reazione, l’arbitro non lo lasciò combattere. Basta andare a rivedersi il match per rendersi conto di quanto Holyfield fosse scorretto. Continuava a spingere, a colpire con la testa. E Mills non interveniva mai. Con il suo pugno leggendario, Tyson avrebbe potuto mettere k.o. Holyfield. Quest’ultimo, però, era furbo, oltre che muscolarmente potente. Adottò la tattica migliore, impedendo a Mike di liberare quel pugno devastante. Lo bloccava sempre. L’arbitro, che avrebbe dovuto in qualche modo tutelare Tyson, non lo fece. Forse proprio perché Mike Tyson era il cattivo e nessuno gli dava mai una mano sul ring».
L’inizio della fine
Holyfield insistette per avere delle scuse. «Ma il suo unico obiettivo era organizzare il terzo match», afferma Narducci. «Evander viveva di luce riflessa, il fenomeno era Tyson. Finalmente ottenne delle presunte scuse da Mike, ma la terza sfida non si fece mai. Per due ragioni. Perché Tyson fu squalificato e impiegò un anno e mezzo a tornare sul ring, ma anche perché dopo quell’incontro le carriere di entrambi cominciarono la discesa, fino ad essere fermate da Lennox Lewis. Tyson tornò in maniera maldestra, vinse qualche incontro e poi perse con Lewis. Lo stesso successe a Holyfield, che contro il britannico perse il titolo. Tyson ebbe una breve e disastrosa fine di carriera, Holyfield mantenne una certa attività fino a 48 anni. Ma di fatto non si sono mai ripresi dall’incontro di 25 anni fa. Holyfield, a corto di soldi, cercò in tutti i modi di sfidare nuovamente Tyson. Non ci è mai riuscito. Oggi i due sono amici. Hanno fatto delle apparizioni televisive, cinematografiche e pubblicitarie, scherzando sui morsi. Paradossalmente, Holyfield ha sempre avuto bisogno di Tyson per mantenersi a galla. A livello mediatico, uno ha fatto il bene dell’altro. Ma qui siamo oltre la boxe. Siamo alla ricerca più disperata di visibilità».
Un marchio indelebile
Tyson rimarrà per sempre il masticatore di orecchi, il cannibale. «La sua immagine collettiva è questa. Oggi è una persona un po’ più tranquilla, anche se coltiva marijuana. Ha una famiglia, cerca di essere un uomo migliore. Ma quel marchio non lo cancellerà».
Se potesse tornare al 28 giugno 1997, probabilmente Fausto Narducci scriverebbe un articolo diverso: «Lì per lì, non riuscii a rendere bene tutto quello che era successo. Ci misi un po’ a capire i vari passaggi, i vari significati. Compresa la frustrazione espressa da Tyson, un concetto che lui ha approfondito molto anche in seguito. C’è un aspetto psicologico in quella sfida che portò Tyson a fare quello che ha fatto e all’epoca non lo sottolineai abbastanza. Lui era il cattivo e andava dipinto così. Ma a distanza di 25 anni, penso che le colpe vadano suddivise. Poi, è chiaro, arrivare a dare due morsi all’avversario è una follia che solo Tyson poteva fare. Perché era una belva».