Il giorno che Kubi, simbolo granata, abbracciò il Lugano
9 febbraio del 2001. Dopo sette giorni di trattative intense, il FC Lugano annuncia l’ingaggio di Kubilay Türkyilmaz. Il bomber della Nazionale arriva in prestito dal Brescia. Ma anche con l’etichetta di giocatore legato alla rivale di sempre: il Bellinzona. «Di quella firma, però, non mi pento» ci dice Kubi a vent’anni di distanza.
Il tifoso granata, d’altronde, sembra aver perdonato quel trasferimento per certi versi clamoroso. E quanto avvenuto lo scorso dicembre, in casa ACB, è lì a dimostrarlo. Sollecitato dalla società tramite un gioco a eliminazione su Instagram, il popolo bellinzonese ha incoronato Kubilay Türkyilmaz. Sì, preferendolo ad altre leggende quali Manuel Rivera, Mario Sergio, Paulo Cesar o ancora Mauro Lustrinelli. «Io, tuttavia, non ne ho mai fatto una questione di bandiera» precisa al proposito Kubi. «Non vorrei apparire menefreghista. Anzi. È ovvio che sono legato indissolubilmente al Bellinzona. Ho portato il nome di questa squadra in giro per il mondo. E oggi, probabilmente, mi viene anche riconosciuto l’impegno dimostrato dopo il fallimento. Semplicemente ritengo corretto che si conoscano tutte le sfumature della nostra storia». Già, perché la scintilla - tra l’attaccante e il club della capitale - non è scoccata subito. Tutt’altro. «Le giovanili le ho trascorse al Bellinzona, ma a 15-16 anni mi sono sentito tutto fuorché considerato. Per diverse ragioni. Tra cui, inutile negarlo, la mia nazionalità e il mio cognome». Per tre anni, quindi, ecco il Semine e la Quinta Lega. «E se non mi fossi rifatto vivo io, dopo quel periodo, non credo che i dirigenti e lo staff di allora mi sarebbero venuti a cercare». Poco male. Quel passo coraggioso, fatto da un giovane di origini turche, diede infatti il la alla carriera di uno degli attaccanti più forti e prolifici del nostro Paese. «Per questa ragione, dunque, non posso che essere grato al Bellinzona. Se ho potuto raggiungere determinati traguardi, lo devo senza dubbio all’esperienza maturata inizialmente al Comunale».
La telefonata risolutiva
Il penultimo capitolo dell’avventura nel calcio che conta, Türkyilmaz lo ha invece scritto a Cornaredo. In una primavera entusiasmante, che il Lugano trascorse flirtando con il titolo di campione svizzero. «E pensare che il mio passaggio allo Stoccarda era praticamente cosa fatta» rammenta Kubi. «Mancata l’ascesa in A con i granata, nell’estate del 2000 ero passato al Brescia. A volermi, a tutti i costi, era stato il presidente Luigi Corioni. Stravedeva per il sottoscritto. Purtroppo, però, lo stesso non valeva per Carletto Mazzone, ai tempi allenatore delle rondinelle. Non mi impiegava regolarmente e, con il passare dei mesi, ha spinto per farmi fuori. Corioni, di cui ero il pupillo, non voleva saperne di cedermi. La trattativa con lo Stoccarda saltò all’ultimo proprio a causa sua».
A cambiare le carte in tavola fu dunque una telefonata. «Dall’altra parte della cornetta c’era Roberto Morinini, tecnico dei bianconeri» spiega Türkyilmaz. «È stato lui a convincermi a tornare in Ticino. Cercava un attaccante che potesse dargli determinate garanzie. E, va da sé, sentiva che anche grazie al mio contributo il titolo sarebbe potuto arrivare per davvero». Cosa rispose, quindi, Kubilay Türkyilmaz: «Beh, a Morinini feci presente che in squadra militavano pur sempre tali Christian Gimenez e Julio Hernan Rossi. Ma, probabilmente, Roberto voleva aumentare la concorrenza sul fronte offensivo. E non solo. Considerata la mia caratura, credeva che avrei potuto anche togliere un po’ di pressione al resto dell’ambiente, facilitando la volata al primo posto».
Partenza falsa
Tutto molto bello e nobile, insomma. «Abbiamo preso il numero uno in Svizzera» dichiarava a sua volta il presidente dell’epoca Helios Jermini. Peccato che a quelle parole, il 9 febbraio del 2001, si aggiunsero quelle dell’allenatore. «E prima ancora d’iniziare, le cose si complicarono maledettamente» riconosce Türkyilmaz a vent’anni di distanza. Cosa accadde, dunque, nella conferenza stampa di presentazione del bomber dei sogni? «Sul piano umano, nutro una grande stima per Roberto Morinini. In quell’occasione, però, pronunciò una frase infelice. “Kubi giocherà subito titolare. Vedremo chi sarà il secondo attaccante”. Così, da un lato tagliò le gambe a me e dall’altro creò una comprensibile indignazione in seno al gruppo. Un gruppo che, va riconosciuto, stava facendo grandi cose».
Türkyilmaz, al tramonto dei 33 anni, non tardò ad accorgersi del patatrac. «Quando misi piede in spogliatoio compresi subito che aria tirava. Mi ripromisi che avrei conquistato la fiducia dei compagni a suon di reti. Qualcuna, per altro, arrivò. Ma, complici altresì dei problemi alla schiena, non fu abbastanza. Peccato, davvero. Se Morinini mi avesse messo in condizione di integrarmi in punta di piedi, sono sicuro che avremmo vinto il titolo. In fondo, giunto a quel punto della carriera, ero disposto anche a fungere da jolly. Ma ripeto: quell’uscita incrinò la serenità del collettivo».
«Le rivalità vere sono altre»
Sin qui lo scetticismo dello spogliatoio. Nei dintorni di Cornaredo, per contro, come venne accolto Kubi? «Onestamente molto bene. Ed è un ricordo felice, che porto con me ancora oggi poiché non scontato. No, i tifosi bianconeri non hanno mai fatto pesare il mio passato granata». Diverso, almeno in parte, il discorso all’ombra dei castelli. «In realtà rammento solo uno striscione. Recitava: “Kubi ci hai tradito”. Non ne faccio un dramma». Le prime dichiarazioni da giocatore del Lugano, ad ogni modo, non aiutarono: «Se il riferimento è alla festa a Bellinzona in caso di titolo, effettivamente avrei potuto limitarmi al Ceneri (ride, ndr.)».
E a proposito di attaccamento a una o l’altra maglia. Türkyilmaz, 64 gol con il Bellinzona e 3 a Lugano, tiene a sottolineare un altro aspetto: «Non ho mai cavalcato il tema della fedeltà sportiva. Ed è possibile che questo mio atteggiamento, votato innanzitutto alla professionalità, sia stato riconosciuto all’esterno. Inoltre, non dimentichiamo che a Bellinzona ho messo insieme quattro stagioni. Non ho, insomma, firmato per i bianconeri dopo 15 anni filati in granata. A scandire la mia carriera sono state tante tappe, in Svizzera e all’estero». Riferendosi a questo peregrinare, e alle rispettive esperienza, Kubi allarga il discorso: «Nessuno mette in discussione la rivalità tra Lugano e Bellinzona. Che, anche da giovane, ho provato più volte in prima persona. Detto ciò, è al Galatasaray che ho compreso appieno il significato della parola “derby”. Quello col Fenerbahce. Qualcosa che va ben oltre allo sport, alimentando contrasti sociali e politici». Kubilay Türkyilmaz, invece, resta il «preferito» dalla tifoseria granata. Malgrado tutto. Malgrado il Lugano. «Una scelta, quella, che rifarei ancora».