Il segreto di Michael Jordan
I 60 anni di Michael Jordan non sono quelli di una persona normale e nemmeno quelli di un fuoriclasse del passato. Perché Jordan è percepito dai giovani come personaggio della pallacanestro di oggi, ed infatti comprano il suo merchandising recente. Senza contare il fatto che MJ, nonostante il carattere duro da sopportare per compagni, avversari e spettatori, è tutt’altro che divisivo: piace ai bianchi e agli afroamericani, ai democratici e ai repubblicani, ai fanatici di NBA come a chi non ne ha mai visto un minuto.
Entrate milionarie
Inutile ricordare la carriera di Jordan, nel mondo di Google: in ogni caso i 6 titoli NBA con i Chicago Bulls anni Novanta di Phil Jackson, Scottie Pippen e gregari più o meno di lusso, i 2 ori olimpici con gli Stati Uniti ed i mille record non la spiegano totalmente. Perché essere Jordan non significa soltanto essere il più forte ma esserlo con la consapevolezza che lui ha sempre sbattuto in faccia a tutti, anche in The Last Dance, il documentario di Netflix sull’ultima stagione dei suoi Bulls. L’onda lunga del jordanismo è arrivata fino ai giorni nostri: nel solo 2022 MJ ha guadagnato, fra le varie fonti di entrata, il triplo di tutti i i suoi guadagni nell’intera carriera NBA, 15 stagioni, per un incasso totale di 93,7 milioni di dollari.
Air Jordan
Non c’è dubbio che l’entrata di Jordan nella cultura popolare sia legata alla Nike. Quando nel 1984, dopo tre stagioni di college a North Carolina, un titolo NCAA e l’oro olimpico di Los Angeles, entrò nella NBA, Jordan diventò subito il volto di punta dell’azienda dell’Oregon, che gli ha liquidato nel corso del tempo circa 1,5 miliardi di dollari. Ed il marchio Air Jordan, nome ideato dall’agente David Falk, è diventato quasi più importante di quello Nike, che infatti lo gestisce con una divisione a parte. Nel 2022 il Jordan Brand ha portato alla Nike fatturato per 5,1 miliardi e siccome per contratto a Jordan spetta il 5% si può dire che soltanto dalla Nike e soltanto nel 2022 abbia ricevuto 256 milioni, andati ad aggiungersi ad un patrimonio già sopra i due miliardi. Ma al di là dei soldi, incredibile è la capacità di Jordan di essere culto sia per i benestanti, sia per i ragazzi di strada, che delle sue costose scarpe hanno fatto il vero oggetto del desiderio.
Amato anche dai bianchi
In una lega come la NBA, in cui il 75% dei giocatori è afroamericano, il problema del marketing è raggiungere la classe media bianca. Jordan ci è riuscito come nessun altro, per naturale carisma ma anche per le origini. Ragazzo nato a Brooklyn ma cresciuto in North Carolina, in una famiglia medio-piccolo borghese e soprattutto unita, che mai ha fatto mancare qualcosa ai cinque figli: quel 17 febbraio 1963 Michael fu il quarto. Mai con problemi di razzismo anche quando era nessuno, sempre con la testa al successo che papà James aveva previsto nel baseball. E proprio la morte del padre, ucciso nel 1993 da due balordi, portò al primo dei tre ritiri di Jordan, che di lì a poco avrebbe cercato di riconvertirsi in giocatore di baseball. Certo è che MJ non è mai stato un personaggio divisivo dal punto di vista razziale e politico: la famosa frase «anche i repubblicani comprano le mie scarpe» l’aveva pronunciata come battuta (in ogni caso mai ripetuta), mentre invece è sempre stato serio nel non farsi coinvolgere in campagne elettorali. Famoso il rifiuto nel sostenere nel 1990 il candidato al Senato Harvey Gantt, democratico e afroamericano, contro il repubblicano bianco Jesse Helms. Come donatore ha quasi sempre dato i suoi soldi ai democratici, Obama compreso, ma questo ai grandi media non è bastato: Jordan ha il marchio di cripto-repubblicano, nella NBA di oggi quasi un’infamia. Piuttosto tiepido nel sostenere la varie battaglie del politicamente corretto, la realtà è che Jordan detesta spendersi in qualsiasi contesto in cui il protagonista non sia lui.
L’investimento negli Hornets
Un falso mito è che Jordan sia un cattivo imprenditore. In realtà sbaglia pochissimi colpi ed il migliore di tutti è stato l’acquisto degli Charlotte Hornets: ne diventò azionista di maggioranza nel 2010, spendendo 175 milioni di dollari ed oggi Forbes valuta la franchigia NBA (dal 2014 tornata con il nome Hornets) 1,7 miliardi. Il paradosso? Jordan è meglio come imprenditore che come esperto di basket: in 12 stagioni la squadra si è qualificata per i playoff due volte, perdendo sempre al primo turno. Insomma, il Jordan proprietario perde in campo ma guadagna fuori. Il Jordan giocatore d’azzardo perde invece sempre, anche 5 milioni in una sera a Las Vegas. Certo il Jordan di oggi, che dopo il sanguinoso divorzio dalla prima moglie Juanita (meno 168 milioni) ha avuto due figlie dalla seconda, Yvette (in totale gli eredi sono 5), sembra meno preso dal gioco di quello di ieri. Meno costoso il golf, ossessione anche di quando giocava con i Bulls.
Meglio di LBJ
Michael Jordan o LeBron James? La domanda sul più grande di tutti i tempi ha una risposta facile: Jordan. Perché è stato lui a rendere la NBA e la pallacanestro un fenomeno mondiale, grazie all’immagine personale ed al suo essere leader del Dream Team che alle Olimpiadi del 1992 a Barcellona conquistò il mondo, squadra di passaggio fra la NBA dei miti solo intravisti (Bird e Magic) e quella televista ovunque. E del resto lo stesso LeBron ha sempre avuto Jordan come idolo. Facile anche la risposta rimanendo sul campo, perché LBJ entrava nella NBA nel 2003, quando il Jordan giocatore ne usciva dopo i due anni ai Wizards. Jordan è stato grande in un’epoca in cui a quelli forti si potevano mettere le mani addosso: il cosiddetto hand-checking, che sarebbe diventato illegale dal 2004. James è stato grande in un’epoca in cui le stelle non possono nemmeno essere sfiorate: mai ha conosciuto una pallacanestro intimidatoria come quella dei Detroit Pistons versione Bad Boys, e mai è stato leader come Jordan.