Basket

«Il selfie con Capela non l’ho fatto»

Il nazionale Yuri Solcà, diciottenne di Vacallo, si racconta tra passato, presente e futuro
Yuri Solcà si prepara a entrare in campo contro il Portogallo (Foto Lucie Gertsch/Swissbasketball).
Fernando Lavezzo
08.08.2019 06:00

Clint Capela è la star, l’alieno, l’attrazione. Yuri Solcà, invece, è l’invitato a sorpresa. Il futuro gli appartiene, ma chi immaginava di vederlo con la Nazionale maggiore nelle pre-qualificazioni ad Euro 2021? «Se me lo avessero detto in marzo, quando sono tornato in campo dopo due anni e mezzo di infortuni, non ci avrei creduto», confessa il giovane momò, 19 anni da compiere il prossimo 29 agosto. Mai protagonista in LNA, Yuri si è ritagliato minuti importanti nell’esordio di sabato a Friburgo, vinto contro il Portogallo. «Potevamo giocare meglio, io e la squadra, ma è stato bellissimo. Sin da bambino sognavo di indossare la maglia rossocrociata in un contesto simile. Lo considero un premio per il lavoro svolto e le sofferenze passate».

Un lungo calvario

Quello vissuto da Solcà negli ultimi tre anni è stato un vero e proprio calvario: «Tutto è cominciato nell’ottobre del 2016», racconta. «Mancavano forse 10 giorni all’inizio del mio primo campionato in LNA con Massagno. L’allenatore Renato Pasquali mi aveva voluto in prima squadra, impiegandomi spesso nelle amichevoli. In una delle ultime, contro il Lugano, mi sono infortunato all’anca in un contrasto. Un problema serio, che non mi ha dato tregua per un sacco di tempo. In seguito ho giocato un Europeo su una gamba sola, stringendo i denti per un guaio al ginocchio. Mi sono dovuto fermare ancora, fino allo scorso marzo. Nonostante tutto, non ho mai pensato di mollare. Ero convinto che sarei riuscito a superare quei momenti difficili. Ci sono voluti due anni e mezzo, è vero, ma ho fatto bene ad insistere. La chiamata di Gianluca Barilari in Nazionale lo dimostra. È un’emozione che non riesco neppure a descrivere».

Per un playmaker come me è fondamentale saper comunicare. Farsi sentire. Certo, per riuscirci in una palestra con 3.200 tifosi, come è successo sabato a Friburgo, bisogna urlare molto forte

«Fai sentire la tua voce»

Solcà e Barilari, del resto, si conoscono da tempo: «Un episodio che ricordo molto bene risale al mio primo Europeo Under 16. Eravamo 3 o 4 ticinesi e Barilari ci prese in disparte. A me disse che in futuro avrei dovuto parlare di più con la squadra. Voleva che diventassi un leader vocale e ho provato a seguire il suo consiglio. Per un playmaker come me, infatti, è fondamentale saper comunicare. Farsi sentire. Certo, per riuscirci in una palestra con 3.200 tifosi, come è successo sabato a Friburgo, bisogna urlare molto forte (ride, n.d.r.). Battute a parte, in un contesto giovanile è più facile motivare i propri compagni e dare indicazioni. Qui in Nazionale, in mezzo a tanti professionisti esperti, lascio ad altri certi compiti». L’esperienza è una delle poche cose che manca a Yuri: «A causa degli infortuni, non ho mai potuto giocare in un campionato di adulti. La differenza la sento, inutile negarlo. C’è un’altra intensità, c’è più pressione da parte dell’avversario. Me ne accorgo pure in allenamento, quando sono marcato da gente come Kazadi».

Un compagno chiamato Clint

L’«effetto Capela» si fa sentire, in campo e fuori. Lo stesso Solcà non è rimasto indifferente: «Non capita tutti i giorni di giocare con un asso della NBA. Di solito lo guardo in Tv, lo vedo giocare il pick’n’roll con Chris Paul e James Harden. Sembra tutto facile: gli danno la palla e lui segna 20 punti. Ma in campo non è scontato. Soprattutto per un playmaker: devo far contento Capela, ma anche gli altri. È tosta. Ma è tutta esperienza». Che rapporto ha instaurato, Yuri, con il centro degli Houston Rockets? «Clint si è aggregato al gruppo a fine luglio, dunque non abbiamo avuto molto tempo per chiacchierare. In campo parliamo, certo. Mi ha aiutato nella nostra prima partita insieme, contro la Costa d’Avorio. Ero un po’ insicuro, ma lui mi ha tranquillizzato e incoraggiato, dandomi anche dei consigli. L’ho apprezzato molto».

Yuri, per ora, non ha voluto farsi un selfie con il celebre compagno: «Sarebbe strano, no? Non vorrei fare la figura del ragazzino. Sono in Nazionale per giocare insieme a lui, non per idolatrarlo. Poi chissà, magari alla fine dell’estate, dopo l’ultima partita a Montreux, una foto gliela chiedo».

Per la prossima stagione andrò a giocare in una preparatory school in Carolina del Nord. Partirò il 18 settembre con Cristiano Iannitti, mio inseparabile coach e punto fermo

Da Vacallo alla Carolina del Nord

Gli idoli di Yuri, qualche annetto fa, si chiamavano Gibson, Schneidermann, Smiljanic: «Non mi perdevo una partita della SAV Vacallo. L’ambiente era incredibile». È nella società gialloverde che Solcà ha iniziato a giocare: «Prima abitavo a Balerna. Poi, quando mi sono trasferito a Vacallo, ho conosciuto Alex Medolago, mio grande amico ancora oggi. Suo padre Paolo allenava nella SAV e così mi hanno coinvolto. Si è subito creato un bel gruppo, mi piaceva, ho giocato lì per 9 anni. Cinque con Paolo come coach, poi altri 4 con Cristiano Iannitti, che in seguito mi ha allenato pure a Massagno. Tra il periodo alla SAV e quello alla SAM, ho vissuto anche una stagione nel Team Ticino U16. Potevo farne una seconda, ma a Massagno mi davano la possibilità di disputare sia il campionato U19, sia quello di Prima Lega. Per un ragazzo di 15 anni era un’opportunità unica».

Poi, nel 2016, ecco la già citata chiamata di Pasquali in prima squadra: «Con Renato ho lavorato solo un mese, per colpa dell’infortunio, ma ho imparato tantissimo. Ha creduto in me, mi dava fiducia. Non so cosa lo colpì, non me l’ha mai detto. Però ricordo le sue prime parole davanti a Robbi Gubitosa e ai miei compagni: ‘‘Dov’è il fenomeno che chiamate Yuri?’’. Alzai la mano, un po’ stupito. Mi voleva subito in A».

La campagna europea della Svizzera proseguirà sabato in Islanda. A fine estate, poi, Yuri attraverserà l’oceano: «Andrò a giocare in una preparatory school in Carolina del Nord. Parto il 18 settembre con Iannitti, mio inseparabile coach e punto fermo. Trascorrerò tre mesi lì, poi rientrerò in Ticino per un mese, quindi tornerò negli States per altri tre. Devo fare così per via del visto. Vedremo cosa mi riserverà il futuro dopo questa prima avventura americana».