Golf

Il sorriso di un bravo maestro con il grande Toro nel cuore

Giuseppe Parisi festeggia i cinquant’anni di insegnamento al Golf Club Lugano
Beppe Parisi, professionista al Golf Club Lugano.
Raffaele Soldati
15.07.2020 14:27

Il biglietto da visita è decisamente originale: «Play easy with Parisi». La traduzione italiana non renderebbe l’efficacia dell’assonanza: «Gioca facile con Parisi». Beppe, come lo chiamano gli amici, è stato il maestro di formazione di varie generazioni di golfisti ticinesi, compreso Paolo Quirici, tra i pochissimi svizzeri che sono stati capaci di guadagnarsi una carta per il circuito europeo.

Perché parlare di Parisi? Semplicemente per ricordare i suoi 50 anni di insegnamento al Golf Club Lugano. «Ricordo bene il mio arrivo a Magliaso. Era il 15 marzo del 1970. Ero stato contattato dall’allora segretario Ezio Scolari. Venivo dal golf La Mandria di Torino per iniziare un’esperienza che non avrei mai immaginato potesse durare così a lungo. Il prossimo 26 novembre festeggerò 77 anni. Pensa che io e la Swiss PGA abbiamo la stessa età».

L’inizio della passione

Il modo con il quale Parisi si avvicinò al golf fu quasi casuale. Ogni volta che racconta l’episodio Beppe ride di gusto: «Abitavo a Moncalieri. Andammo in scampagnata sul campo della Maddalena, vicino a Superga. Il picnic era pronto, e tutt’a un tratto, una pallina si infilò tra le nostre gambe. Il giocatore che l’aveva tirata ci rivolse lo sguardo e, osservando mio fratello maggiore, gli chiese di andare al club, che necessitava di caddy. Io, che ero più piccolino (ndr: aveva 9 anni) gli domandai se la proposta valesse anche per me. Fu proprio così che scoprii questo sport, che poi diventò la mia professione». Nel suo breve racconto c’è il nome di una località diventata famosa per una tragedia accaduta il 4 maggio 1949. «L’aereo con la squadra di calcio del mio cuore, il grande Torino, si era schiantato contro la basilica sulla collina di Superga. Un giorno terribile che noi del Toro non potremo mai scordare. D’altra parte guardiamo al passato per vivere con passione il presente. E, naturalmente, anche il futuro di chi ha l’onore di indossare una maglia granata».

La maglia granata

Non è un caso che Parisi si sia presentato alla nostra chiacchierata proprio con una maglia granata e con lo stemma del GC Lugano ben in vista. «Il Toro e il campo di Magliaso, che io avevo ancora visto a nove buche (ndr: le altre nove erano state aggiunte l’anno successivo al suo arrivo, nel 1971) sono sempre stati i miei punti di riferimento».

Quella di Beppe è stata una vita dedicata all’insegnamento. Però si è anche tolto diverse soddisfazioni in campo agonistico. «Sul campo di La Mandria ho avuto la fortuna di avere un grande maestro, Romolo Croce, zio del famoso Alberto Croce. Negli anni Sessanta, anche grazie all’impronta del maestro inglese John Jacobs (un guru dell’insegnamento) facevo parte di un bel gruppo di professionisti italiani, che si sono guadagnati una certa fama. C’erano i nostri tre moschettieri, Alfonso Angelini, Ugo Grappasonni e Aldo Casera, tutti vincitori all’Open di Crans Montana negli anni Cinquanta. C’erano anche Roberto Bernardini, Ovidio Bolognesi e Dino Canonica, tanto per citare altri ottimi giocatori. Alcuni di loro hanno consegnato l’eredità golfistica ai propri figli, che pure si sono distinti in Europa».

Nel 1969, l’anno prima del suo arrivo a Magliaso, Parisi si tolse anche la soddisfazione di partecipare alle qualificazioni del British Open. «Giocai al Royal Lytham & St. Annes, vicino a Blackpool. Ricordo bene quel torneo del Gande Slam in cui s’impose Tony Jacklin, un inglese che scrisse pagine storiche del grande golf». Amico di Costantino Rocca, il fenomeno bergamasco che superò Tiger Woods nei suoi anni fulgenti in una sfida di Ryder Cup, Parisi aveva visto crescere a Torino i fratelli Molinari. «Edoardo e soprattutto Francesco si sono distinti negli anni più recenti. Entrambi sono ragazzi d’oro, ma hanno un difetto, uno tifa per la Juve, l’altro per l’Inter».

Beppe Parisi ci mostra ancora una volta il colore della sua maglietta e chiude l’intervista con una battuta: «Da piccolo sognavo di diventare Bacigalupo (ndr: il portiere del grande Torino). In definitiva penso di aver fatto bene a scegliere il golf».