«Il successo in Brasile non è un vanto, ma un monito che mi incita a fare bene»
Wayde van Niekerk è nato e cresciuto in Sudafrica, mai immaginando di avere nelle corde una straordinaria carriera nel mondo dell’atletica. Ma certamente era il suo sogno. Ora, guardandosi alle spalle e ammirando i suoi successi - tra cui una medaglia d’oro nei 400 m alle Olimpiadi di Rio con tanto di record del mondo -, non prova vanto, ma è grato alla vita.
Lei era già stato a Bellinzona un paio di anni fa. Ha deciso di tornare anche questa stagione, possiamo interpretare questa decisione come un apprezzamento nei confronti del meeting della Capitale?
«Direi proprio di sì. Ero già stato qui nel 2020 e mi ero trovato molto bene. Prima di venire a Bellinzona gareggio a Lucerna e Zurigo. Tre tappe che mi piacciono parecchio, considero questo periodo come un mini giro della Svizzera (ride, ndr). Anche il Paese è molto carino ed è comodo viaggiare. Sono contento di chiudere la mia stagione a Bellinzona. Purtroppo l’anno non era iniziato splendidamente, per colpa di un infortunio. Di conseguenza anche i Mondiali di Eugene sono stati piuttosto in salita. Ecco perché spero davvero di poter chiudere in bellezza la stagione con questo meeting».
Qual è il successo più bello della sua carriera? Ipotizziamo, la medaglia d’oro di Rio nei 400 m?
«Sicuramente il successo in Brasile è stato un importante exploit: medaglia d’oro e record del mondo, un bel bottino. Ma è un risultato che ora, più che come motivo di vanto, utilizzo per spronarmi a fare meglio, ricordandomi di cosa sono capace».
Una vittoria nata dalla corsia numero otto. È partito in esterno ed è volato verso l’oro. Una finale con dei nomi molto importanti, a cui è riuscito a tenere testa.
«Credo di essere arrivato a quella gara con la motivazione giusta. Sapevo di essere capace di una buona prestazione. In gara ho cercato di non pensare troppo da quale corsia partivo o chi avevo di fianco. Questo, naturalmente, nulla toglie al fatto che ho profondo e sentito rispetto per i grandi campioni con cui ho gareggiato quel giorno. Ma, allo stesso tempo, sono molto fiero di aver dimostrato che ciò che conta è concentrarsi sulla propria prestazione. Anzi, paradossalmente penso sia stata una benedizione scattare dai blocchetti esterni. Questo aspetto mi ha obbligato a correre con me stesso, portandomi alla vittoria».
Un’ultima gara e poi meritate vacanze. Come si sente adesso, dopo un inizio di stagione un po’ tribolato?
«Molto bene. A Zurigo ho corso bene, ritrovando coraggio e fiducia nei miei mezzi. Spero di chiudere col botto lunedì, così da andare in vacanza con una mentalità vincente che mi permetterebbe di cominciare la preparazione alla prossima stagione nel migliore dei modi».
Il Wayde van Niekerk bambino ci avrebbe creduto se qualcuno gli avesse raccontato dei livelli che avrebbe raggiunto?
«Assolutamente no (ride, ndr). Sono nato e cresciuto in Sud Africa, dove vorrò tornare a carriera conclusa. Diventare un atleta e rappresentare il mio Paese a livello internazionale è sempre stato il mio sogno, ma da qui a immaginarmi tutto ciò che ho raggiunto… no, non me l’aspettavo. Ed è incredibile. Sono estremamente grato per la possibilità che la vita mi ha dato, poter fare ciò che amo e avere successo. Non è un privilegio che tutti possono vantare. E io non lo do per scontato».
Dovesse scegliere un campione o una campionessa sudafricana che l’ha ispirata in modo particolare?
«Domanda difficile. Ci sono talmente tanti talenti nati nel nostro Paese che non saprei dire. Forse, per restare nel mio ambito, citerei Caster Semenya. È stata un’atleta fenomenale. Ma ammiro tanto anche i miei coetanei, come Akani Simbine. Varcando il confine del mio mondo, direi Benni McCarthy, un grande uomo, riuscito ad approdare al Manchester United».
Cosa prova quando pensa al fatto che qualche anno fa ambivi a diventare come i suoi idoli, mentre adesso ci sono dei bambini che sognano in grande guardando lei?
«È pazzesco. Stare lontano dalle competizioni per via degli infortuni mi aveva fatto dimenticare quanto questo aspetto conti per me. Si tratta di una grande motivazione, che mi sprona a fare bene per dare il buon esempio. Vorrei insegnare alle persone che mi ammirano l’arte di non mollare mai, di dare sempre il meglio di sé. Inoltre, ora come ora, so di avere un importante fan, ovvero mio figlio. Voglio dunque impegnarmi per essere un buon esempio in primis per lui».
Sta già pensando a Parigi 2024?
«Mentirei se dicessi di no. Ci penso spesso, soprattutto perché c’è una buona probabilità che io possa condividere l’esperienza a cinque cerchi con la mia sorella minore, che dovrebbe venire selezionata nella squadra di hockey su prato. Sarebbe davvero bello e speciale se potessimo vivere l’Olimpiade insieme. Chiusa la manifestazione parigina, valuterò con calma come proseguire la mia carriera».
Cosa dobbiamo aspettarci dai 400 m di lunedì? In pista con lei ci sarà anche il ticinese Ricky Petrucciani.
«I miei avversari sono molto agguerriti, a partire da Kirani James, un altro nome che farei rientrare nella mia lista di idoli. Ma anche gli altri sudafricani saranno molto agguerriti. Per non dimenticare proprio Ricky Petrucciani. L’ho incontrato per la prima volta qui a Bellinzona due anni fa, è un ragazzo molto simpatico e umile. Sono molto contento per lui e per i successi che ha ottenuto, compresa la splendida medaglia agli Europei di Monaco. L’atletica svizzera sta molto bene e sta collezionando davvero tanti successi. Seguo volentieri i progressi rossocrociati, e non solo in quest’ambito. Ritengo che la Svizzera stia facendo bene anche nel calcio».