Hockey

Inti Pestoni tra maturità e allegria: «Vorrei giocare i playoff ancora qualche volta»

Intervista all'attaccante ticinese dell'Ambrì Piotta: il rinnovo fino al 2027, l'erede De Luca, l'arrivo di Kubalik, le ambizioni e il silenzio stampa della scorsa stagione
© Ti-Press/Mattia Martegani
Fernando Lavezzo
11.09.2024 19:00

A 33 anni, fresco di rinnovo fino al 2027, Inti Pestoni è pronto a vivere la sua quarta stagione in Leventina dopo il ritorno nel 2021. Lo abbiamo incontrato.

Inti, un mese fa ti sei legato all’Ambrì fino al 2027. Conoscendoti, la tu voglia di giocare non si fermerà lì. Ci hai già pensato?
«Innanzitutto sono contento di aver rinnovato. A fine contratto avrò 36 anni, ma non mi sono stampato in testa una data di scadenza. Non penso ai prossimi tre campionati come agli ultimi della mia carriera. Sarà il ghiaccio a parlare. Se da qui al 2027 andrà tutto bene e sarò ancora all’altezza, continuerò a giocare il più possibile. La voglia non passerà mai».

Si può però dire che la tua ultima maglia sarà quella biancoblù?
«Mi piacerebbe moltissimo. Lo avevo già immaginato tre anni fa, rientrando in Ticino».

Il tuo rinnovo è stato annunciato insieme a quelli di De Luca e Terraneo, che da piccoli ti chiedevano fotografie e autografi. Tommaso, per caratteristiche, sembra il tuo erede designato.
«Già in tanti mi hanno detto che De Luca assomiglia a me quando avevo 20 anni. Anche lui è un ragazzo che vuole divertirsi e che ama portare sul ghiaccio fantasia e imprevedibilità. Onestamente, credo che a livello hockeistico sia più maturo di quanto fossi io alla sua età. Con le sue qualità, Tommy ha davanti a sé una carriera incredibile. Da parte mia, cercherò di aiutarlo il più possibile. Soprattutto nella gestione di alcune situazioni. Ricordo bene cosa significa avere 20 anni e giocare in prima squadra, sentendosi addosso gli occhi – ma anche le aspettative – di tutti. Cercherò di tenerlo con i piedi per terra e di mostrargli la strada giusta. Anche per evitargli di commettere i miei stessi errori (ride, ndr.)».

L’HCAP, inteso come club e non solo come squadra, sta vivendo una fase di sviluppo. Una bella differenza rispetto alla tua prima parte di carriera in biancoblù...
«Sono tornato in Leventina nel 2021, in una società completamente diversa da quella che avevo lasciato nel 2016 per andare a Zurigo. Non mi riferisco solo alla pista, ma anche alla continuità tecnica garantita da Cereda e Duca. Da quando sono rientrato, ogni anno ha rappresentato un ulteriore passo avanti, complice l’entusiasmo e le opportunità generate dalla Gottardo Arena. È uno sviluppo interessante da osservare per chi, come me, ha vissuto questa realtà sin da bambino. Sul piano sportivo, nelle ultime tre stagioni abbiamo posto delle basi molto solide, che ci hanno sempre permesso di lottare per un posto nei play-in o nei playoff. Nella mia precedente esperienza in biancoblù era più difficile. Dovevamo pensare alla salvezza».

Ho ammirato Kubalik soltanto da avversario, averlo in squadra è rassicurante e ci dà forza

Finalmente anche tu potrai giocare con Dominik Kubalik.
«Non ci speravo più. Ho saputo del suo ritorno un paio d’ore prima che venisse ufficializzato. Me lo ha detto Zwerger, che è un grande amico di Kuba. Io, cinque anni fa, ho potuto soltanto ammirarlo da avversario. Averlo dalla propria parte è decisamente più piacevole. È una presenza importante e rassicurante. Ci dà forza. Allo stesso tempo, bisogna rendersi conto che Kubalik non è tornato ad Ambrì per giocare da solo. Non possiamo aspettarci che faccia tutto lui, ognuno dovrà contribuire. Le aspettative sul ceco sono elevate e lui farà tutto ciò a cui è abituato. Ma gli altri dovranno essere in grado di metterlo nelle condizioni migliori per fare la differenza. Questo ci porterà di sicuro qualche punto in più».

L’obiettivo fissato dalla società sono i play-in. Sbaglio se dico che il decimo posto deve essere soltanto un traguardo minimo?
«Non arrivare nei primi dieci sarebbe deludente. Sulla carta siamo messi bene, abbiamo sicuramente la qualità per raggiungere i play-in. Poi, però, non sai mai come andrà la stagione. L’impressione è che tutte le squadre escano rinforzate dal mercato estivo. Anche l’Ajoie si è mosso bene. Sarà una lotta e nessuno otterrà nulla giocando sul velluto».

Paolo Duca ha sottolineato la partenza di tre pilastri come Conz, Fohrler e Kneubuehler. Si avverte la loro mancanza?
«Erano tre punti di riferimento in uno spogliatoio che li ha accolti per tanti anni. Io, all’inizio, ero un po’ triste, ho percepito il vuoto lasciato soprattutto da Benji e Johnny, con i quali andavo molto d’accordo. Sono ragazzi come me, sempre pronti alla battuta, allo scherzo, al divertimento. Tobi era un po’ più serio, quadrato. Sono comunque contento per tutti loro. Conz e Fohrler sono tornati a casa, Kneubuehler vivrà una nuova esperienza a Bienne. Al loro posto sono arrivati giovani ambiziosi e di talento, con i quali avremo anche occasione di fare un po’ di festa».

In una squadra il duro lavoro è fondamentale, ma sapersi anche divertire può fare la differenza

Torni spesso sul concetto di divertimento. Quanto è importante per te proteggere questo lato più leggero del tuo carattere?
«Il lavoro duro è fondamentale, ma non esclude l’allegria. È una questione di equilibri. Durante una lunga stagione, bisogna trovare i momenti giusti per fare gruppo. Non solo quando va tutto bene, ma anche quando le cose vanno male. Se non si riesce a ridere con i propri compagni, non si uscirà mai dalle brutte situazioni».

Nella scorsa stagione, a un certo punto, hai deciso di non parlare più con i media. Come mai?
«In un’intervista, dopo un periodo senza gol, mi è stato chiesto – per l’ennesima volta – come mai non riuscissi a segnare. Sono anni che sento le stesse domande. E ogni volta mi chiedo cosa ci si aspetta che io risponda. Devo dichiarare che non segno perché non ne ho voglia? Nessuno va sul ghiaccio per perdere. E se realizzo una tripletta, sono il primo a tornare a casa più contento. Insomma, in quel momento, con la squadra in difficoltà, quella domanda mi aveva infastidito. Ero stufo. C’era un po’ di tensione e mi sono lasciato trasportare dalle emozioni. Ho detto al nostro addetto stampa che per un po’ non avrei parlato con la stampa. Dopo un po' non mi sono più arrivate richieste, il filtro ha funzionato, anche se nel frattempo il malumore era passato. Diciamo che il silenzio stampa è andato avanti in automatico. Ma non ho problemi con i media».

Quanta voglia c’è di trasformare in rabbia la frustrazione vissuta nei play-in dello scorso marzo?
«La rimonta subita dal Lugano nella prima sfida dei play-in è il rimpianto più grande. Se vinci 4-0 in casa, i primi 3 punti della mini-serie devono essere tuoi. Se invece finisce 4-4, devi pagarne le conseguenze. Dopo un derby così, mentalmente non eravamo più abbastanza lucidi per eliminare il Bienne, un avversario con cui fatichiamo sempre. Ora inizia una nuova stagione e ci riproveremo. È giusto puntare innanzitutto ai primi dieci posti, ma personalmente, essendo ormai nella fase finale della mia carriera, vorrei giocare i playoff ancora qualche volta. Penso che tutti, ad Ambrì, stiano sognando la stessa cosa».