Atletica

Josefa Idem: «Non oso immaginare cosa stia provando la Semenya»

La canoista, otto volte ai Giochi e già ministro italiano per le pari opportunità, si esprime sul caso della sudafricana: «Penso a tutte le discriminazioni che ha dovuto subire sin da bambina...»
Josefa Idem. (foto da web)
Paolo Galli
08.05.2019 06:00

Josefa Idem lo aveva detto senza giri di parole: «Se sei sexy e vinci, non hai problemi». I problemi semmai nascono quando sexy non sei considerata. E nonostante questo - già, nonostante questo - vinci. L’ex canoista italiana, e prima ancora tedesca, si è sentita discriminata, da ragazza. A Gianni Mura raccontava: «Fino ai 14 anni avevo pochi capelli, le gambe lunghe, piattissima davanti. Sembri una cicogna nell’insalata, mi dicevano». Una cicogna nell’insalata, già. Josefa poi, dopo aver vissuto otto edizioni dei Giochi olimpici, dopo aver vinto tante medaglie, ha studiato psicologia. Può capire Caster Semenya, quindi, in vari modi. «Anche la canoa ha una ragazza che vince sempre. Si tratta di Lisa Carrington, duecentista, imbattuta dal 2011. Cosa facciamo con lei? Se Caster Semenya non assume ormoni estrogeni, se la sua è una questione naturale, allora le misure suggerite equivalgono a una repressione della sua forza, del suo essere donna. Una situazione assurda. Da un lato non riusciamo a contrastare il doping, dall’altro invece abbiamo una ragazza che naturalmente produce una quantità di ormoni che le permettono di essere molto più forte delle concorrenti; e noi le imponiamo un controdoping? Se è una donna e produce tanti ormoni, be’, beata lei. Poi posso comunque capire le titubanze delle avversarie. Ma non capisco il cambiamento delle regole solo per evitare che continui a essere dominante. Nello sport dovrebbe vincere la persona che, con ciò che le ha dato madre natura, riesce a essere più forte delle altre. Punto».

Vede anche un problema di genere?

«Quando una donna fa qualcosa che normalmente fa un uomo, be’, rischia di nascere un problema. Il suo essere dominante può rientrare in questo discorso. Lei non corrisponde al modello femminile accettato, poi. Io stessa, quando ero giovane, mi sentivo giudicata perché facevo uno sport di forza. Mi facevano sentire diversa. Poi, con il tempo, ho capito che ero una ragazza normalissima. Il problema era degli uomini, non mio, non delle donne. Le donne moderne magari si fanno meno problemi, ma il problema nella testa degli uomini persiste. Il problema, in merito a Caster Semenya, nasce anche dalla sua grazia, differente rispetto a quella appunto di certi modelli».

Lei, Josefa, era stata accusata di doping. Anche lei additata contro logica.

«Sì, cercarono di cucirmi addosso una storia di doping. Era il 2000 e io arrivavo dall’oro olimpico di Sydney. Fecero delle indagini, dei controlli contro ogni protocollo, per misurare gli ormoni della crescita. Be’, tutto si risolse come una bolla di sapone. Ma in tutti i casi mi sentii vittima di una strumentalizzazione. È terribile essere accusati di doping e trovarsi per questo in prima pagina, quando invece si fa di tutto, tra lavoro e sacrifici, per esprimere e migliorare il proprio potenziale in modo naturale. Fu come morire. Mi sentii privata del mio passato, della mia storia. È fondamentale, per ognuno, avere e abitare la propria storia, essere ancorati alle proprie narrazioni, a ciò che vogliamo raccontare. La Idem dopata? Un’accusa del genere mette in discussione il passato, la storia. Terribile. In merito alle discriminazioni di genere, a volte una donna neppure si accorge di esserne vittima, per una sorta di abitudine, perché tutto diventa normale, anche perché a volte ci sta che si riconosca che l’uomo è più forte della donna. Quando ci sono donne forti quanto gli uomini, be’, si torna al caso della Semenya».

Proviamo a metterci nei suoi panni.

«Penso a tutte le discriminazioni che ha dovuto subire, sin da bambina, per via del suo aspetto. Ne ha parlato spesso. Penso alla sua capacità di accettarlo e tramutarlo in vantaggio. Lei è riuscita a risolvere il suo problema, trasformandolo nella chiave del suo successo. E ora viene privata della possibilità di fare sport per ciò che lei è davvero, per ciò che è riuscita a essere. Cosa le farebbero quelle cure, se accettasse di sottoporsi a esse? Non oso immaginare come si senta, dopo aver trovato la forza per utilizzare come vantaggio quelle discriminazioni. Ora le dicono di trasformarsi con la chimica. Brutale».

Una storia simile non le fa tornare la voglia di ritrovare un ruolo politico?

«Ciò che mi è accaduto, nel breve trascorso in politica, quale ministro per le pari opportunità, è una delle tipiche cose che succedono alle donne». Dopo un paio di mesi di mandato, circolarono voci su presunte irregolarità nella gestione del suo patrimonio immobiliare. La vicenda venne mediatizzata in maniera esagerata e si arrivò alle sue dimissioni. «Mi ritrovai con la stampa sotto casa. Mio figlio maggiore, allora adolescente, venne avvicinato da un giornalista, che gli chiese cosa provasse nell’avere una mamma ladra. Io fui insomma perseguitata per una cosa da niente. Fu una caccia alle streghe, e ne pagai le conseguenze. Io sola. Quel mondo, plasmato da adulti male educati, le donne, le tratta così. Non voglio tornare a vivere certe cose, mi è troppo cara la vita, mi sono troppo cari i miei affetti. La politica si può fare in tanti modi. Io per esempio mi impegno, nel mio rapporto con la federazione italiana di calcio, all’interno di un progetto innovativo che si propone di creare nuove consapevolezze nell’educazione nello sport e attraverso lo sport».