Ambrì, una mina vagante inesplosa: «Si poteva fare qualcosa in più»

Quattro giorni dopo l’eliminazione dell’Ambrì Piotta per mano del Kloten, questa mattina Paolo Duca e Luca Cereda hanno incontrato la stampa a Castione per un bilancio finale definito «agrodolce». «Prevale ancora la delusione», spiega il direttore sportivo. «Ci siamo presi un po’ di tempo per analizzare la stagione con distacco e per parlare individualmente con i giocatori. La delusione è condivisa. Nessuno si sente appagato dal raggiungimento dei play-in. Siamo convinti che i playoff, per quanto fatto da Natale in poi, fossero davvero alla nostra portata».
Gli obiettivi fissati ad inizio stagione, precisa il ds, sono stati raggiunti: «Abbiamo chiuso tra le prime 10 e coltivato lo spirito combattivo che contraddistingue il club». Come misurare quest’ultimo? Duca lo fa così: «Abbiamo giocato 23 overtime. Un record. Dieci di questi li abbiamo raggiunti recuperando il risultato, vincendone poi 7, per un totale di 17 punti guadagnati. In 13 occasioni, invece, il gol del pareggio lo hanno segnato gli altri, per un totale di 19 punti persi. Se però consideriamo solo i pareggi negli ultimi 10 minuti, 6 volte abbiamo recuperato, guadagnando 11 punti, e 6 volte ci siamo fatti acciuffare, perdendone 7. In sostanza, gli overtime ci hanno fatto conquistare più punti di quelli che abbiamo perso». Poi c’è l’altra faccia della medaglia. Quella delle poche vittorie piene: «Appena 12, un dato negativo. Il peggiore da quando io e il Cere siamo in carica. In 41 gare c’è però stato uno scarto massimo di 2 reti e questo ha incrementato la nostra consapevolezza di poter vincere ogni partita. La squadra non si è mai arresa. Un altro aspetto positivo è la crescita dei giovani: Landry, De Luca, Müller e poi Terraneo, si sono assunti più responsabilità». Cereda, dal canto suo, sottolinea i pochi infortuni: «Merito del lavoro comune sul ghiaccio e fuori, anche a livello medicale e fisioterapico.
Spartiacque natalizio
Per Paolo Duca, la stagione va divisa in due parti: «La prima, fino a Natale, è stata caratterizzata da instabilità e incostanza. Una seconda fase di crescita ci ha poi permesso di recuperare terreno e di centrare i play-in. Per spiegare l’instabilità iniziale, ribadisco la difficoltà, già fiutata in estate, nel sostituire tre figure emblematiche come Conz, Kneubühler e Fohrler. Anche l’ingaggio di Kubalik ad inizio settembre, con una clausola per la NHL fino al 15 dicembre, avrebbe potuto destabilizzarci, soprattutto nella gestione degli stranieri. Ma il rischio è stato pagante, così come lo scambio Lilja-DiDomenico. Dopo Natale, abbiamo trovato stabilità, sia nelle dinamiche di squadra, sia nel line-up. Questo ci ha portato a raccogliere 32 punti in 20 gare, con una media di 1,6».
«Con il trend avuto da gennaio, si poteva fare qualcosa in più», ammette Luca Cereda. «Potevamo magari diventare la mina vagante dei playoff. Da settembre a fine dicembre, però, abbiamo avuto poca identità di gioco. Non eravamo costanti. In generale, siamo stati una buona squadra da trasferta: con 30 punti, siamo sesti nella speciale classifica. Per contro, siamo stati una pessima squadra in casa: 43 punti e 12. posto. A livello di special team, il box-play è stato insufficiente. Non siamo riusciti a trovare una soluzione. Il power-play ha invece chiuso sopra il 20%: fino a novembre ha faticato, poi abbiamo sistemato alcune cose». Nel complesso, rispetto al 2023-24, l’Ambrì Piotta ha subito 7 gol in più e ne ha segnati 7 in meno. «Abbiamo però la sensazione – dice il Cere – di essere stati più solidi a livello tecnico e tattico e di aver concesso meno. Una sensazione confermata dai ‘‘gol attesi’’ degli avversari, passati da 2,72 a 2,46. Sicuramente un passo nella giusta direzione».
Un terzetto non basta
Tra le scommesse vinte, Cereda cita Gills Senn: «Ha confermato di poter essere un buon numero 1, giocando il doppio delle gare rispetto alle ultime stagioni e superando diversi test, soprattutto a livello mentale. Per contro, nella prima parte di campionato, soprattutto in trasferta, ci è mancato l’apporto di Juvonen. Da metà gennaio, però, Janne è tornato quello che conoscevamo. È significativo che nelle prime 26 partite stagionali, solo in 8 occasioni abbiamo avuto un portiere con il 91% o più di parate. Nelle seconde 26 partite siamo invece saliti a 15».
Ma non di soli portieri vive una squadra: «Nella prima fase – continua il tecnico di Sementina – abbiamo accusato la mancanza di un primo centro performante. Maillet ci ha aiutati con la sua crescita, ma nei primi mesi ha fatto fatica. Inoltre, su tutto l’arco della stagione, ci è mancata una seconda linea che portasse quantità, qualità e produttività. Abbiamo provato varie combinazioni, ma non siamo riusciti a trovare quella giusta». Cereda non nasconde altri problemi: «Su tutti, le basse percentuali agli ingaggi e le sconfitte subite dopo ogni pausa per le nazionali. Aspetti che terremo in considerazione». Inoltre, tanti giocatori svizzeri sono apparsi in difficoltà. «Abbiamo un gruppo di giovani in forte crescita e un gruppo di veterani entrati nell’ultima fase della carriera», spiega Cereda. «Soprattutto all’inizio, quando i giovani non erano ancora pronti per assumersi certi ruoli, abbiamo avvertito la mancanza di profili intermedi quali appunto Fohrler e Kneubühler». In compenso, ha brillato la super linea tutta straniera: «È nata un po’ per tentativi. Il fatto che Kubalik si sia sbloccato è stato decisivo per la nostra crescita. Fino a quando ha sperato di tornare in NHL era un giocatore diverso da quello ammirato dopo».
A proposito di stranieri
Il ceco e Maillet sono in scadenza. «È logico – dice Duca – che ci sia l’interesse di tenere un giocatore come Kubalik. Lui non sa ancora cosa vuole fare. Restare in Svizzera? Tentare un’altra volta in NHL? Abbiamo parlato, si prenderà il tempo per decidere». E Maillet? «Ha avuto un ottimo finale, ma un pessimo inizio», afferma «Duke». «Vedremo. Non è il momento di fare proiezioni sull’assetto degli stranieri». Resterà di DiDomenico, che ha fatto breccia nel cuore dei tifosi e dello staff: «Conoscevo il giocatore, non la persona», racconta Cereda. «Fuori dal ghiaccio è tranquillissimo. La sua passione per l’hockey, poi, è infinita. Arriva in pista alle 8.15, un’ora prima del meeting. E non salta mai gli allenamenti facoltativi. Tatticamente, ho dovuto richiamarlo all’ordine solo un paio di volte. Sa ascoltare, è rispettoso. Quando tende a esagerare, lo fa in buona fede, perché vuole aiutare la squadra a vincere».
Il dramma di Wüthrich
Lo spirito di gruppo, all’Ambrì, non è mai mancato. Ed è emerso in tutta la sua forza nel momento più drammatico, lo scorso 23 dicembre, quando Dario Wüthrich è stato colpito dalla morte della compagna Sophie Hediger, campionessa di snowboard travolta da una valanga. «Una tragedia che abbiamo affrontato come una grande famiglia», ricorda il direttore sportivo Paolo Duca. «Non avevamo alcuna esperienza nel gestire una situazione del genere, quindi ci siamo comportati nel modo più genuino e diretto possibile, cercando di non farlo mai sentire solo. Per tutti noi è ancora una ferita aperta e lo sarà per molto tempo. Probabilmente per sempre». «La notizia – prosegue Duca – ci è stata data dall’agente di Dario durante il terzo tempo del derby a Lugano. Il mio telefono continuava a squillare e dopo un po’, nonostante la partita fosse ancora in corso, ho capito di dover rispondere. Vista l’insistenza, doveva essere una cosa importante. Il desiderio del papà di Sophie era quello di non dire niente a Dario fino al termine del derby. Ci ha anche chiesto di dire al ragazzo di chiamarlo subito dopo la partita, così che fosse lui a dargli la notizia. Quando Dario è rientrato negli spogliatoi e gli ho detto di fare quella telefonata, ha subito mangiato la foglia. È stato un momento bruttissimo. Abbiamo cercato di stargli il più vicino possibile e abbiamo subito comunicato quanto successo alla squadra. In seguito, abbiamo lasciato tempo a Dario di capire come avrebbe voluto affrontare la cosa verso l’esterno. Essendo Sophie nei quadri della nazionale di Swiss-Ski, la federazione ha messo in campo un sostegno professionale di cui anche il nostro giocatore sta ancora beneficiando».
«Nelle settimane successive – ricorda Duca – ci sono stati tanti momenti intensi che, come squadra, abbiamo cercato di affrontare al meglio. Fortunatamente non ci siamo mai sentiti soli. Dario ha avuto il supporto dei suoi compagni, della società, del popolo biancoblù. Ma anche di tutta la comunità dell’hockey svizzero. Ha ricevuto tanto conforto dagli avversari, anche durante le partite. Il nostro sport è così: una grande famiglia».