HC Lugano

«Da vent’anni paga l’allenatore»: i numeri dietro le parole di Hnat Domenichelli

Confermando la sua fiducia a Luca Gianinazzi, il direttore sportivo ha criticato l’abitudine bianconera di cacciare i coach nei momenti difficili – Dall’ultimo titolo conquistato nel 2006 ne sono stati esonerati otto – In che situazione si trovava la squadra? E quali effetti hanno avuto quelle scosse?
Chris McSorley – qui in compagnia di Hnat Domenichelli – è stato l’ultimo allenatore esonerato dal Lugano. © CdT/Gabriele Putzu
Fernando Lavezzo
03.12.2024 06:00

«A Lugano si è abituati così da vent'anni: quando le cose vanno male, si manda via l’allenatore. Io sto cercando di cambiare questa cultura». Le parole di Hnat Domenichelli in difesa di Luca Gianinazzi hanno lasciato il segno. Il direttore sportivo bianconero ha avvertito tutti quei giocatori che attendono un cambiamento in panchina. «Non succederà». In passato, invece, è successo spesso. L’ultima volta l’8 ottobre 2022, quando lo stesso Domenichelli contribuì all’esonero di Chris McSorley per intronizzare il giovane Giana.

Campioni in corsa

A volte la mossa ha funzionato, altre no. Gli ultimi due titoli dell’HCL, lo ricordiamo, furono vinti da due coach saliti sul treno in corsa. Larry Huras, campione nel 2003, prese il posto di Jim Koleff il 14 novembre 2002. Lo stesso Huras fu rimpiazzato da Harold Kreis (spalleggiato da Ivano Zanatta) dopo due gare dei quarti di finale del 2006, quelli della storica rimonta sull’Ambrì Piotta, preambolo del settimo e ultimo trionfo. Da allora sono passate diciotto stagioni senza trofei. Una lunga traversata del deserto accompagnata da diciassette allenatori (brevi «interim» esclusi). Otto di loro sono stati esonerati, due si sono dimessi. In che situazione si trovava la squadra bianconera al momento dell’esonero? E quale effetto ebbe la scossa? Riavvolgiamo il nastro.

Zanetti è il capolinea di Zanatta

Dopo aver co-condotto il Lugano al titolo del 2006, Ivano Zanatta venne nominato head coach. Nella stagione 2006-07, i bianconeri uscirono ai quarti contro il Kloten. L’anno successivo, il tecnico italo-canadese venne esonerato dopo 29 giornate. Gli fu fatale il K.O. nel derby casalingo del 4 dicembre 2007, vinto 1-0 dall’Ambrì Piotta con un gol di Mauro Zanetti. Il Lugano era nono in classifica (su dodici) con 40 punti (1,38 a partita). Per risollevarlo, venne scelto Kent Ruhnke. Durò pochissimo. Un mese soltanto, nel quale racimolò la miseria di 7 punti in 8 gare. L’8 gennaio 2008 venne sostituito da una leggenda bianconera: John Slettvoll. Lo svedese mancò l’accesso ai playoff, assicurando la salvezza al primo turno dei playout contro il Basilea.

È sparito il «Mago»

Slettvoll venne confermato per la stagione 2008-09. Ma nella notte del 7 gennaio 2009, il «Mago» sparì, affidando le sue dimissioni a una mail. Non si trattò quindi di un esonero, anche perché la squadra era quinta in classifica con 66 punti (media 1,78). «La mancanza di trasparenza e fiducia nei miei riguardi mi impedisce di continuare», scrisse il tecnico di Umeå. Il riferimento era alla decisione, già presa dal club, di affidare il Lugano a Kent Johansson a partire dalla stagione seguente. A guidare la squadra fino ai playoff (eliminazione ai quarti con il Davos) fu il finlandese Hannu Virta, che in 19 partite non vinse nemmeno una volta nei sessanta minuti regolamentari.

Altri miti «bruciati»

Come previsto, nel 2009-10 la squadra fu affidata a Johansson, un altro mito bianconero degli anni Ottanta. L’ex attaccante svedese restò in carica 44 partite, ottenendo 59 punti (media 1,34). Il 25 gennaio 2010, dopo 5 sconfitte di fila e con la squadra ottava in classifica, venne rimosso. «Interverremo nei confronti dei giocatori se lo ritenessimo necessario, sono corresponsabili», disse il presidente Silvio Laurenti. Non successe. A sei giornate dalla fine della regular season, la squadra venne affidata a Philippe Bozon, un altro amato ex attaccante bianconero. Il Lugano conservò l’ottavo posto per poi essere spazzato via dal Berna nei quarti di finale (4-0). Il francese venne confermato per il campionato 2010-11, salvo poi essere cacciato il 29 novembre 2010, con la squadra penultima e un bottino di 27 punti in 27 partite (media 1,0). Dopo una lunga transizione garantita da Mike McNamara e Patrick Fischer (i due coach degli juniores élite), in vista dei playout il direttore sportivo Roland Habisreutinger chiamò Greg Ireland, che salvò la squadra nella serie contro il Rapperswil (4-0).

Barry ti presento Larry

Nella stagione 2011-12 fu il turno di Barry Smith. Tanta NHL come assistente, poi tre anni da head coach a San Pietroburgo. Dopo un umiliante 9-0 a Kloten (la peggior disfatta dell'HCL nell’era playoff), lo statunitense diede le dimissioni. Il suo Lugano era ottavo con 20 punti in 16 partite (media 1,25). Come nel caso di Slettvoll, non si trattò dunque di un esonero. «Sono ambizioso e non posso accettare un’involuzione così evidente nel gioco e nelle prestazioni. E non posso accettare la mediocrità che ho visto sul ghiaccio», spiegò il tecnico di Buffalo. Al suo posto arrivò (anzi, tornò) Larry Huras, fresco di licenziamento a Berna. Con lui in panchina, il Lugano risalì fino al sesto posto, ma venne eliminato nei quarti di finale dal Friburgo (4-2). Huras rimase alla guida dei bianconeri per la stagione 2012-13 (altra eliminazione ai quarti, 4-3 con lo Zugo), al termine della quale non venne confermato.

Un giovane al comando

Stagione 2013-14, l’alba della «Fischer Revolution». Il giovane tecnico – in precedenza assistente di Huras – iniziò male, ma per una volta a pagare furono alcuni giocatori. A cominciare proprio da Hnat Domenichelli, che a metà ottobre finì a Berna (vedi riquadro sotto). Patrick Fischer chiuse il suo primo anno al quinto posto e il secondo anno al terzo, ma in entrambi i casi venne liquidato dal Ginevra nei quarti di finale. Il terzo anno partì malissimo e il 22 ottobre 2015, con il Lugano ultimo in classifica (16 punti in 15 partite, media 1,06), «Fischi» venne cacciato. «È una mia sconfitta personale», disse Vicky Mantegazza. A Patrick Fischer subentrò Doug Shedden, che fece risalire la squadra al quinto posto e poi la condusse fino alla finale, persa con il Berna in cinque partite.

Scosse che funzionano

Nel 2016-17 si ripartì ovviamente con Shedden, ma l’idillio non durò. Dopo 40 giornate, con i bianconeri ottavi (53 punti, media 1,32), il canadese venne esonerato. Dopo l’ultima sconfitta (il 14 gennaio 2017 a Zugo) aveva attaccato i giocatori: «Non lavorano abbastanza». Al suo posto venne (ri)chiamato Greg Ireland. Settimo al termine della regular season, il Lugano fece clamore eliminando gli ZSC Lions nei quarti, per poi perdere in semifinale contro il Berna. L’anno dopo, Ireland portò i bianconeri a una sola partita dal titolo. Visse un’altra stagione in chiaroscuro alla Cornèr Arena e non venne confermato al termine del campionato 2018-19.

Accecati dalla Spengler

Il direttore sportivo Habisreutinger si invaghì di Sami Kapanen, tecnico finlandese di quel KalPa Kuopio che vinse la Coppa Spengler nel 2018. L’ex attaccante di NHL restò in sella 29 gare, racimolando 34 punti (media 1,17). Gli fu fatale l’umiliazione nel derby del 17 dicembre 2019 alla Valascia: un 7-2 che fece piangere capitan Chiesa: «La sconfitta più imbarazzante della mia carriera». Per risollevare la squadra dal penultimo posto, il club puntò sul sempre affidabile Serge Pelletier. Con lui, il Lugano agguantò l’ottavo rango, ma la pandemia cancellò i playoff.

Carissimo nemico

Serge restò in carica per tutto il campionato seguente (secondo posto, ma bruciante eliminazione ai quarti con il Rapperswil). Per il 2021-22, la dirigenza bianconera puntò su un vecchio nemico: Chris McSorley, alla prima esperienza elvetica lontano da Ginevra. Il primo anno eliminò il «suo» Servette nei pre-playoff, poi uscì ai quarti contro lo Zugo (4-0). La seconda stagione, con lo spogliatoio in rivolta, durò 8 partite (10. posto con 9 punti, media 1,12). L’8 ottobre 2022, a poche ore dalla sfida casalinga con il Davos, il canadese fu rimosso. La squadra venne affidata a Luca Gianinazzi, tecnico della U20. «Sarà il mio ultimo allenatore», disse Hnat Domenichelli.

È la mattina del 10 ottobre 2013. Alla Resega, il Lugano si sta allenando in vista del doppio impegno contro il Friburgo. Hnat Domenichelli, però, non c’è. L’attaccante canadese con passaporto svizzero è ammalato? Infortunato? Niente di tutto ciò. Il club lo ha di fatto scaricato. Quella di due giorni prima contro il Bienne è stata la sua ultima partita in maglia bianconera. Proprio così. Domenichelli è stata la prima vittima della «Fischer Revolution». Al suo primo anno da head coach, l’allora 38.enne Patrick Fischer iniziò il campionato a suon di sconfitte (era penultimo con 10 punti in 10 partite), ma incassò il sostegno del club per prendere decisioni forti e liberarsi dei giocatori che non riteneva utili al suo progetto tecnico. «Hnat è un ottimo giocatore, ma non può più garantire quella grinta e quella velocità di cui ho bisogno. Non è un capro espiatorio. Forse, però, negli ultimi anni il Lugano non ha più avuto successo perché non sono state prese decisioni forti. E magari quella riguardante Hnat non sarà l’unica». Due giorni più tardi, infatti, Fischer rincarò la dose dopo la sconfitta di Friburgo: «Chi, a una certa età, è stanco o stufo di giocare, deve decidere di smettere: io, quando non ho più avvertito la giusta motivazione, ho appeso i pattini al chiodo. Qui c’è gente senza orgoglio, che ruba lo stipendio. E a me non piace la gente che ruba». Boom. Senza fare nomi, il chiaro riferimento fu a Glen Metropolit, che raggiungerà Hnat a Berna alla fine della regular season. «Il club è dalla parte dell’allenatore», disse Vicky Mantegazza. Perché a volte, a pagare, sono i giocatori. Anche a Lugano.