L'intervista

David Aebischer: «L'ambizione nella testa, l'Argentina e Messi nel cuore»

Lunga chiacchierata con il nuovo difensore dell'HC Lugano
David Aebischer era stato accolto così a Lugano dalla presidente Vicky Mantegazza ©CdT/Chiara Zocchetti
Flavio Viglezio
30.08.2024 19:10

Tra un allenamento e l’altro, al fresco di Lenzerheide, David Aebischer si racconta. Dalla passione per l’hockey, alla scelta di trasferirsi in Ticino.Il 23.enne terzino ha tanta voglia di crescere e di approfittare appieno delle opportunità che la vita gli offre: «Da mio papà ho preso la disciplina e la precisione svizzere, da mia mamma la gioia di vivere tipica dei latini».

David Aebischer, come ci si sente in bianconero?
«Sono molto eccitato, non vedo l’ora che il campionato abbia inizio: sono una persona a cui piace affrontare nuove sfide, nella vita. Non solo nello sport. Sento che questa squadra ha un grosso potenziale: certo, non basta per avere successo ma le premesse sono buone. Personalmente ho tanta voglia di tirare fuori il meglio di me e di aiutare il gruppo a rendere al massimo delle sue possibilità. Sono felice, abbiamo trascorso alcuni giorni davvero proficui a Lenzerheide, in un quadro idilliaco e con condizioni di lavoro davvero ottime».

È stato facile dire di sì al club bianconero?
«Cambiare contesto, imparare una nuova lingua e conoscere una nuova cultura: sono tutti fattori che mi hanno spinto a trasferirmi a Lugano. Ovviamente il progetto sportivo del club rimane fondamentale, ma sono stati tanti gli aspetti che mi hanno spinto ad accettare l’offerta della società bianconera. Adoro scoprire nuovi posti, conoscere persone nuove, imparare una lingua che ancora non conosco. Le trasferte saranno un po’ più lunghe, ma non è un problema: sto studiando psicologia e ne approfitterò per ripassare i corsi, sul bus (sorride, ndr)».

A 18 anni Aebischer ha deciso di partire per il Canada, dove ha trascorso due stagioni a Gatineau nella QMJHL. Con quali obiettivi?
«Sì, a 18 anni sono partito per il Canada con la stessa mentalità. Sono nato in una famiglia multiculturale e ho avuto un’educazione che ha sempre favorito la mia curiosità e il mio desiderio di conoscenza. Quando si è presentata l’opportunità di andare a Gatineau, i miei genitori mi hanno detto di coglierla al volo e non solo per gli aspetti legati all’hockey. Mi hanno detto che avrei imparato molto sotto tutti i punti di vista e così è stato. La mia fortuna è che papà e mamma hanno pure vissuto esperienze di questo tipo e sanno per esperienza quanto sia importante viaggiare ed aprirsi a nuovi mondi, ad altri orizzonti. Credo che senza i due anni in Canada non sarei arrivato a questo livello nell’hockey anche se non è sempre stato facile vivere da solo a 18 anni. E con ogni probabilità oggi non sarei qui, a Lugano».

A Gatineau la squadra era allenata da Eric Landry e tra i compagni di squadra di Aebischer c’era Manix, il figlio del coach. Ora li ritroverai nei derby con l’Ambrì Piotta...
«A dire il vero non ho mantenuto tanti contatti con Manix ed Eric. Abbiamo discusso due o tre volte nella passata stagione, quando li ho affrontati con la maglia del Rapperswil. È sempre bello ritrovare persone con le quali hai condiviso emozioni forti, ma allo stesso tempo non è nemmeno evidente mantenere delle relazioni con tutti. Adesso li ritroverò nel derby (ride, ndr). Certo, mi hanno già parlato in tanti delle sfide con l’Ambrì Piotta. Seguo l’hockey fin da bambino e ho già vissuto le emozioni del derby tra Friburgo e Berna e so quindi cosa sia una grande rivalità. Non vedo ovviamente di giocare partite così ricche di significato per tutto il Ticino».

In Svizzera l’ancor giovane carriera di Aebischer fa rima con Friburgo e Rapperswil. Con una breve parentesi a Porrentruy...
«Quando sono rientrato dal Canada, nella mia mente c’era solo il Gottéron. Pensavo di fare tutta la mia carriera a Friburgo. Poi, ad un certo momento, il club ed io abbiamo avuto delle visioni un po’ diverse: capita, nella vita e nello sport. Prima di passare al Rapperswil ho vissuto un’esperienza corta ma bellissima con l’Ajoie, culminata con la promozione in NL. A Porrentruy mi sono trovato molto bene, anche sul piano umano. Ho capito che nella vita non c’era solo il Friburgo, e l’esperienza a Rapperswil mi ha permesso di uscire dalla mia comfort zone. Credo nel destino: ritengo che senza le stagioni a Rappi non sarei arrivato in nazionale e magari oggi non sarei qui a fare questa intervista. Lasciare Friburgo, gli affetti familiari e gli amici non è stato evidente, ma mi ha permesso di crescere. E a Rapperswil ho imparato molto».

Il presente fa invece rima con Lugano. Un club che negli ultimi tempi si sta sempre più guadagnando il rispetto degli avversari. Vero?
«Fino a qualche tempo fa non si capiva bene in che direzione volesse andare il club bianconero. Quando ho iniziato a discutere con il Lugano, la mia idea iniziale era quella di firmare un contratto di due stagioni. Avevo offerte da parte di altri club, ma discutendo con Hnat Domenichelli e Luca Gianinazzi ho capito che hanno le idee chiare. Questo gruppo ha un grande potenziale, che va ora portato sul ghiaccio. Ci vuole però del tempo e questo challenge a medio-lungo termine mi ha stuzzicato parecchio. Avrei potuto firmare per un club che è già al top, ma forse non avrei avuto le stese motivazioni. Il Lugano ha di sicuro più ambizioni del Rapperswil, ma al tempo stesso non è ancora al livello che vuole raggiungere. Tutto ciò mi ha convinto ad impegnarmi con il club bianconero per i prossimi cinque anni».

A 23 anni Aebischer sarà chiamato ad assumersi responsabilità importanti. Forse troppo, per un giocatore così giovane?
«Mi piace assumermi responsabilità importanti: ho solo 23 anni, ma ho già maturato una certa esperienza. E sono una persona ambiziosa: credo che sia una delle mie qualità principali, anche se a volte l’ambizione può trasformarsi in un difetto se non viene gestita nel modo giusto. Le responsabilità aiutano a crescere, a migliorare, a convivere con la pressione e con le emozioni. Era quello che volevo. Non credo che l’età conti qualcosa. L’ho vissuto a Rapperswil, dove per un posto nel power-play, per esempio, ero in concorrenza con due difensori stranieri: a volte lo giocavo, a volte no. A Lugano porto la stessa mentalità: desidero approfittare al massimo di tutte le opportunità che il coach vorrà concedermi».

La mamma di Aebischer è argentina. Quanto contano, per il difensore, le sue origini sudamericane?
«Sono fiero delle mie origini sudamericane, ereditate da mia mamma che è appunto argentina. Ho sempre avuto una relazione stupenda con mio nonno e spero di aver preso molto da lui. Ho un lato del carattere molto svizzero: come mio padre, mi piacciono la precisione, la puntualità, l’organizzazione, la disciplina. Grazie a mia mamma sono però anche un ragazzo con un lato più latino, da “viva la vida” (ride, ndr). La mia personalità è insomma un mix di queste due culture. Mi sento fortunato».

Chi dice Argentina, nello sport, di solito dice calcio. Che rapporto ha David Aebischer con il pallone?
«Grazie al nonno ho sviluppato una grande passione anche per il calcio. Da piccolo, quando andavo a trovarlo in Argentina, trascorrevamo ore e ore a parlare di pallone. Ripercorrevamo le gesta di Maradona, di Messi, di Batistuta. Sinceramente non ho idoli di gioventù legati al mondo dell’hockey, ma se mi chiedi il nome di uno sportivo che ha rappresentato e rappresenta ancora molto ai miei occhi non ho dubbi: Leo Messi. Lo confesso: ai Mondiali di calcio il mio cuore batte per l’Argentina».

Tornando all’hockey, a 23 anni ogni giocatore sogna la NHL e la maglia della nazionale. È così anche per Aebischer?
«Come ho detto, sono una persona ambiziosa. Non considero però la NHL come un obiettivo: penso solo a migliorarmi giorno dopo giorno e in seguito vedremo cosa mi regalerà il futuro. Poi è chiaro, ognuno di noi spera di giocare ai massimi livelli. Per quanto riguarda la nazionale, sono entrato nel giro tre stagioni fa e ho l’impressione che anno dopo anno mi sono sempre più avvicinato alla partecipazione ad un grande torneo. Quest’anno non è mancato molto. Mi auguro di riuscirci presto, senza abbattermi se ci volesse ancora un po’ di tempo. Sono giovane ma al tempo stesso credo di essere già piuttosto maturo e riesco a gestire bene le mie emozioni».

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