Elvis Merzlikins: «Non è facile realizzare tutto ciò che sta accadendo»

L’appuntamento telefonico è fissato per le 20 ora svizzera, le 14 a Columbus, ma il telefono a sorpresa squilla già a metà pomeriggio. Nell’Ohio sono solo le 8.30 di mattina. «Ciao, sono Elvis, ti va se parliamo adesso? Sono arrivato in pista per l’allenamento con un’ora di anticipo, mi sono sbagliato. Abito a cinque minuti, ma non ho voglia di tornare a casa. Oramai aspetterò qui. Che rottura di scatole, avrei potuto dormire un’ora di più». Non cambierà mai, Merzlikins: simpatico, divertente, un po’ guascone e con la testa nel suo mondo. È sempre lo stesso, anche ora che la NHL ha scoperto il suo talento e che le luci dei riflettori nordamericani hanno cominciato ad illuminare di luce intensa la sua carriera. Potrebbe essere l’inizio di un cammino importante, ma è meglio dirlo ancora sottovoce. No, non cambierà mai, Elvis. «Certo, possiamo parlare adesso. Con immenso piacere».
Allora Elvis, come stai vivendo questo grande momento personale e di squadra?
«Cerco di rimanere il più tranquillo e calmo possibile. È la cosa più sensata da fare. Non posso lasciarmi andare e perdere il mio tempo a festeggiare le vittorie: devo rimanere concentrato, sempre. È quello che sto cercando di fare e devo continuare a lavorare duro ogni giorno. Perché qui nessuno ti regala niente. E solo così potrò ancora crescere. In NHL devi essere perennemente sul pezzo, anche quando hai un giorno libero puoi concederti solo pochissime distrazioni. Non è sempre evidente, è un lavoro mentale da svolgere quotidianamente. Poco tempo fa mi sono concesso qualche giorno di vacanza in Messico con la mia compagna quando il campionato si è fermato per l’All Star Game e lì ho potuto evacuare un po’ di pressione. Sì, mi sono lasciato andare mentalmente. Ma riprendere, lo confesso, è stato difficile. Per fortuna che Fausto Donadelli, il mio mental coach, sta svolgendo un ottimo lavoro: mi aiuta soprattutto a tenere i piedi ben piantati per terra».
Ti rendi conto che stai realizzando il tuo sogno, quello di cui parlavi già dai tuoi esordi con il Lugano? Elvis Merzlikins si sta affermando come portiere titolare in NHL..
«Sinceramente non è facile realizzare ciò che mi sta accadendo, tutto qui va a velocità supersonica e si ha poco tempo per pensare. Mi rendo conto dei buoni risultati che stiamo ottenendo, certo, ma di sicuro non è mica tutto merito mio. Tutta la squadra sta facendo tantissimo per aiutarmi e spesso mi salva il... non posso dirlo vero? (ride, Ndr). A volte invece tocca a me fermare i dischi, ma d’altra parte è il mio lavoro. No, non è evidente realizzare quello che mi sta succedendo e allora cerco di estraniarmi il più possibile: non leggo le pagine sportive dei giornali e non guardo la televisione. Per un certo periodo ho anche preferito non parlare con la stampa. Provo semplicemente ad andare avanti per la mia strada: a fine stagione vedremo dove sarò arrivato».
Sei reduce da quattro incredibili «shutout» nelle ultime sette uscite. I tifosi di Columbus stanno ammirando il miglior Elvis di sempre?
«C’è da dire che qui il gioco è davvero diverso rispetto a quello che si pratica in Europa e in Svizzera in particolare. Sinceramente non so se riuscirei ad esprimermi su questi livelli se oggi venissi di colpo ricatapultato nel campionato elvetico. La velocità è differente, le angolazioni sono diverse: mi sto adattando, ecco, ho dovuto modificare il mio stile. Non so se questo sia il miglior Elvis di sempre, non credo. Commetto ancora degli errori tecnici e in fondo non so quale sia il mio limite. Ciò che conta maggiormente è che oggi mi sento bene, sono tranquillo e questo è fondamentale».
Hai trovato una tua precisa dimensione quando si è infortunato il tuo collega finlandese Joonas Korpisalo. È solo un caso?
«In quei giorni Fausto Donadelli mi ha aiutato parecchio. Io mi sono detto che doveva essere il mio momento, che dovevo assolutamente sfruttare l’occasione che mi si presentava. Ho pensato: se la colgo va bene, se non ci riesco la mia avventura in NHL è finita qui. Un ragionamento forse un po’ estremo, ma io sono fatto così. Mi carico in questo modo. Ho chiesto ai media di lasciarmi tranquillo per un po’ per premettermi di prendere l’onda giusta. La squadra aveva iniziato a girare bene e non è mai facile salire al volo su una barca che sta andando a mille. Non volevo sprecare questa chance e grazie al cielo le cose sono andate per il verso giusto. Ma qui non si è mai arrivati, bisogna sempre essere al massimo. Ma questo già lo sapevo».
L’inizio dell’avventura era stato piuttosto difficile: tanta panchina, un esordio da dimenticare e due partite in AHL con i Cleveland Monsters...
«In realtà sono andato piuttosto serenamente in AHL, perché già sapevo che sarei presto tornato a Columbus. I dirigenti della franchigia erano stati molto chiari a proposito. Da un lato questa esperienza mi ha aiutato a crescere, ma dall’altro non volevo comunque accettarla. La prima volta mi sono alzato alle 5 di mattina a Columbus, ho fatto un volo di tre ore per Charlotte e poi 40 minuti di taxi per arrivare alla pista. Ho giocato, ho rifatto la mia borsa e la mattina presto ero di nuovo all’aeroporto. Il mio volo è stato cancellato e sono rimasto sei ore ad attendere quello successivo. La sera ero nuovamente in pista a fare la riserva a Columbus. Queste, per come sono fatto, sono situazioni che mi fanno girare le scatole. Comunque, lo ripeto, andare in AHL è stato utile: mi ha permesso di ritrovare il ritmo visto che in NHL non giocavo. E ho capito quanto fosse importante per me ritagliarmi uno spazio nella massima Lega. Non volevo rimanere in AHL».
Intanto Elvis è già diventato un beniamino dei tifosi dei Columbus Blue Jackets: c’è una t-shirt in tuo onore, i cartelloni con il tuo nome sono sempre più numerosi e l’abbraccio dopo una vittoria con capitan Nick Foligno scatena l’entusiasmo del pubblico della Nationwide Arena...
«È bello, mi fa molto piacere, ma non guardo troppo a questi aspetti della mia esperienza. Anche se giocare e vincere a Las Vegas, per esempio, è stato parecchio emozionante. Non voglio mettermi addosso un’inutile pressione, devo cercare di stare il più tranquillo possibile. Per quanto riguarda l’abbraccio a Foligno, beh, dopo la mia prima vittoria ero così felice che sono saltato in braccio al nostro capitano. E il gesto si è ripetuto dopo ogni successo. Adesso però Nick è un po’ stufo, perché dice che ogni volta gli tocca ricevere in faccia tutto il mio sudore e altre schifezze (ride, Ndr): dobbiamo inventarci qualcosa d’altro, ne stiamo parlando tra di noi».
Come va la vita in America fuori dal ghiaccio?
«Adesso va meglio, mi sto integrando sempre di più. Non dico che sento la città come se fosse la mia casa, ma mi è già più familiare rispetto alle prime settimane. Ad ogni modo siamo sempre in giro e non passo tanto tempo a casa. Di contatti tra giocatori al di fuori dall’hockey non ce ne sono tanti: più o meno tutti quando hanno un giorno libero cercano di rilassarsi e di riposarsi. E di restare in famiglia. E a me piace passare del tempo con la mia compagna – che si è ormai trasferita negli Stati Uniti – e con il mio cane Koby. È tremendo: ieri si è divorato un paio di mie scarpe nuove. Durante i giorni di riposo ci piace andare a passeggiare tutti e tre insieme o a fare un po’ di shopping. Per uno sportivo forse è meglio una città come Columbus che per esempio New York, con tutta la sua confusione: è più tranquilla, più a misura d’uomo. Quando ero venuto qui per la prima volta mi ero un po’ spaventato: trovavo che non ci fosse davvero niente da fare. Adesso ho iniziato ad apprezzare la calma di Columbus. E poi qualcosa da fare lo si trova sempre».
Elvis Merzlikins ha tempo di seguire la stagione del «suo» Lugano?
«Sono rimasto in contatto con alcuni miei ex compagnibianconeri: mi capita di sentire Linus Klasen, Julian Walker e Alessio Bertaggia, per esempio. Qualche giorno fa ho parlato con Ale: so che sta giocando bene e che sta facendo un sacco di punti. Mi ha detto che gioca sia in power-play che in box-play e che ha tanto tempo di ghiaccio. Sono davvero felice per lui, se lo merita. Lo seguo su Instagram e vedo che posta spesso fotografie con la faccia da duro: è un buon segno, significa che sta bene (ride, Ndr). La stessa cosa vale per Walker: ha segnato delle reti importanti ultimamente, vero? E poi lavora sempre come un matto. Onestamente non è facile per me seguire il Lugano: abbiamo tanti impegni e il fuso orario non aiuta. So che i bianconeri hanno attraversato un momento difficile nella prima parte della stagione, ma che ora per fortuna le cose stanno andando decisamente meglio. E spero con tutto il mio cuore che il Lugano possa qualificarsi ai playoff. Contro chi giocano la prossima partita? Ah caspita, c’è il derby? Quanti bei ricordi... Ma lo sanno tutti: Lugano e il Lugano sono e saranno sempre nel mio cuore».