Flavien Conne: «Adoro ciò che sto facendo, ma vivo solo nel presente»
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La chiamata è arrivata subito dopo l’esonero di Luca Gianinazzi. Flavien Conne, cuore bianconero, non poteva rifiutarla dopo 25 anni trascorsi a Lugano. E così, di punto in bianco, l’ex attaccante numero 40 si è trovato a ricoprire il ruolo di assistente di Uwe Krupp: «Non sono rimasto sorpreso più di quel tanto – ci confida – anche perché è qualcosa che avevo già fatto in passato, con Serge Pelletier e Hnat Domenichelli. Non ci ho pensato più di quel tanto: il club ha deciso di utilizzare le risorse all’interno del club per accompagnare Uwe Krupp. Lavoravo già con i giocatori, nel mio ruolo di skills coach, conosco il campionato svizzero e il club. Credo che questi fattori abbiano influenzato la decisione della società».
Da skills coach a assistente allenatore, il passo è stato insomma breve: «Il lavoro è però molto diverso. Entrare a fare parte dello staff tecnico, assumendo anche un certo ruolo decisionale, è tutta un’altra cosa rispetto a ciò che facevo con la sezione giovanile, o due volte a settimana con la prima squadra. Krupp e Antti Törmänen coinvolgono anche me e Paolo Morini nelle scelte quotidiane, negli allenamenti e per le partite. Ma non è un problema: conosco bene questo spogliatoio, ho un’esperienza da giocatore in NL e quindi non mi sono lasciato prendere dall’agitazione».
Amore e passione
Per il club era importante che gli assistenti potessero facilitare al massimo l’integrazione di Krupp: «All’inizio si trattava di imparare a conoscere Uwe. Quando c’è un cambio di allenatore, anche lo staff – e non solo i giocatori – deve abituarsi alla personalità e ai metodi di lavoro del nuovo coach. Non tutti i tecnici lavorano allo stesso modo. Alcuni sono molto tattici, estremamente precisi, altri sono magari più portati all’ascolto. Nei primi giorni si trattava di capire quale fosse la filosofia di Krupp, cosa voleva correggere: sì, Paolo ed io abbiamo cercato di facilitare il più possibile la sua integrazione. In seguito abbiamo potuto cominciare a dare qualche input, coscienti che – a differenza di quando si comincia un rapporto professionale in agosto – non c’era il tempo per costruire, piano piano, dalle basi. Sul ghiaccio ci siamo allora concentrati soprattutto sulla fase difensiva, su principi semplici. Abbiamo cercato di fare lo stesso con il power-play, che faticava a portare frutti concreti. Abbiamo insomma provato a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle».
Una sfida che Conne sta vivendo con entusiasmo, nonostante la situazione di classifica: «Prima, con i ragazzi del settore giovanile, ero impegnato soprattutto il mattino e nel weekend. La mia vita è cambiata in queste ultime settimane: ho riscoperto i lunghi viaggi in bus, per esempio, una cosa che già da giocatore non mi faceva impazzire (sorride, NdR). Mi piace molto però ciò che sto facendo, amo stare in panchina, frequentare lo spogliatoio e trascorrere del tempo sul ghiaccio con i giocatori. Ma non sto assolutamente pensando al futuro. Mi limito a ricoprire questo ruolo con passione, cercando di dare il mio contributo. Se non mi trovassi a mio agio, avrei declinato la proposta di Marco Werder».
Anche i giocatori soffrono
I ruoli, tra Conne e Morini, sono ben definiti: «A Uwe piace lavorare in gruppo. Porta avanti le sue idee, ma vuole che le decisioni vengano condivise. Si informa molto. Paolo è molto attivo nella preparazione delle partite, con il video, e in pista si occupa del box-play. Io lavoro maggiormente sul power-play e sulle situazioni speciali. In panchina, durante le partite, Uwe e Paolo gestiscono le rotazioni delle linee. Per quel che mi concerne, non dovendo concentrarmi su questo aspetto, gestisco le varie situazioni che osservo in pista, parlandone direttamente con i giocatori. Ho pure un filo diretto con Antti Törmänen, che osserva gli incontri dalle tribune.
Cerca insomma di portare in panchina la sua quasi ventennale esperienza da professionista, Conne: «Un assistente ha anche dei compiti importanti a livello relazionale, con i giocatori. Mi è capitato di frequentare spogliatoi durante stagioni deludenti, segnate magari da un cambio di allenatore. I giocatori sentono le critiche e avvertono la pressione e non bisogna pensare che non ne soffrano. Non sono tutti dei mercenari a cui non importa nulla del club in cui giocano. Bisogna allora infondere fiducia e mantenere la necessaria positività. Nessuno è felice quando le cose vanno male: soffrono i tifosi, gli sponsor, ma anche il club e la squadra».
Pressione e adrenalina
I giocatori soffrono, lo staff tecnico avverte una pressione non indifferente: «Da ex giocatore ho ritrovato l’adrenalina delle partite. Non nego che mi mancava, dopo tanti anni. Lo stress che può avvertire lo staff tecnico è un po’ diverso, ma ci si abitua velocemente. A me è sempre piaciuto vincere, lo spirito di competizione fa parte di me e quindi riesco a gestire bene la pressione, a livello personale».
Da qualche mese il Lugano può contare anche sui consigli di Antti Törmänen: «Non lo conoscevo personalmente, prima. Antti conosce perfettamente l’hockey e ha delle idee molto chiare, che esprime senza filtri. Ha una forte personalità, ma questo non ha sorpreso nessuno: non si vince un titolo a Berna e non si arriva in finale con il Bienne senza carattere. Al tempo stesso vuole divertirsi al lavoro, gli piace sempre stare sul ghiaccio con i giocatori, ridere e scherzare un po’ con loro».
Concorrenza aumentata
Conne ha appeso i pattini al chiodo dieci anni fa: «Il gioco in questi anni è diventato sempre più rapido e chi va in pista è sempre più grande e grosso. I sei stranieri hanno permesso di aumentare la qualità e c’è molta più concorrenza rispetto ai miei tempi. È più difficile oggi arrivare in NL, sia per un import che per un giovane svizzero. Non c’è più spazio per le primedonne, nell’hockey elvetico: il mercato è più chiuso, anche per gli allenatori. Ce ne sono tanti, sul mercato, che aspettano un’occasione per rientrare nel giro».