Lutto

Geo Mantegazza, le lacrime di oggi e la generosa azione di una vita

Ingegnere e imprenditore, ma anche presidente dell'Hockey Club Lugano e figura rivoluzionaria dello sport a livello nazionale
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Gianni Righinetti
10.10.2024 23:00

Ingegnere, presidente e presidentissimo. E aggiungiamoci pure, un vero signore. Con questi termini possiamo riassumere la figura di Geo Mantegazza, spentosi oggi prossimo al traguardo dei 96 anni che avrebbe compiuto tra poche settimane. La sua figura è indelebilmente legata al mondo dello sport, alla Storia (con la S maiuscola) dell’Hockey Club Lugano, che ha salvato nel 1978 dall’insidia del disinteresse dell’epoca, rilanciando la società bianconera e facendone poi man mano un modello di visione, professionalità, gestione, con una dose aggiunta in prima persona di autentica passione.

Da Antonio a Sergio e Geo

Ma lasciamo da parte per un momento lo sport e ripercorriamo la vita dell’uomo. Figlio di Antonio, che negli anni Venti da barcaiolo sul lago Ceresio, iniziò con una barchetta a traghettare merci. Poi arrivarono i tour in pullman nei dintorni di Lugano, lungo l’Italia e in Costa Azzurra. Papà Antonio ebbe l’abilità di dare il primo colpo di remi a quello che divenne l’impero della famiglia Mantegazza. Dopo il ramo dei viaggi arrivò quello immobiliare grazie soprattutto all’ingegnere Geo e all’ingegno dell’altro fratello Mantegazza, Sergio, deceduto lo scorso febbraio a 97 anni. Se Sergio era un po’ il «ministro degli esteri» della famiglia, lungamente residente tra Londra e Figino, Geo è stato sempre molto legato al nostro territorio. A Sergio e Geo la rivista economica «Bilanz» ha sempre dedicato attenzione per il patrimonio crescente che i fratelli hanno saputo costruire, come detto partendo dal business dei viaggi, in un’epoca nella quale muoversi tra un continente e l’altro non era una passeggiata, grazie anche a una compagnia aerea, la Monarch Airlines, con sede nel Regno Unito. Fratelli uniti sì dal business, ma soprattutto da un legame che si è spezzato solo con la morte. Se Sergio a Lugano e dintorni si vedeva pochissimo, Geo è sempre stato una presenza fisica nella sua città del cuore, quel battito profondo che ha poi declinato in una fede sportiva senza eguali, che ha legato la famiglia Mantegazza in maniera fino ad oggi indissolubile con l’Hockey Club Lugano. E da anni a dare continuità alla tradizione familiare, seppur in un contesto di sport/azienda mutato negli anni, è la figlia Vicky, che presiede la società bianconera.

Popolarità e umanità

Geo è stato un protagonista schivo della vita sportiva luganese e ticinese. La sua popolarità è andata crescendo con i successi del suo Lugano, ma Geo è rimasto sempre Geo, presente negli anni Ottanta a bordo pista con i più fedeli colleghi di comitato e poi seduto in tribuna fino allo scorso anno con i suoi cari, a partire dalla moglie Liliana. Il classico pullover verde, quel cimelio portafortuna che indossava quando il Lugano sotto la sua presidenza aveva inanellato un poker di titoli di Campione svizzero, non lo metteva più, ma la passione era rimasta intatta e la voglia di vedere il suo Lugano laurearsi ancora campione con alla guida la figlia, purtroppo, non è riuscito a soddisfarla. Ma ora resta come obiettivo a chi gli è succeduto, in sua memoria.

«La politica non fa per me»

Non amava ergersi a personaggio pubblico e la politica l’ha solo sfiorato, con l’elezione a consigliere comunale di Lugano per il PLR negli anni Ottanta, «ma unicamente perché mi era stato chiesto, non perché ambissi a una carriera politica. Caratterialmente non è proprio il mio mondo. La mia personalità e la mia indipendenza mi permettono di valutare, decidere e agire. La ricerca del consenso a tutti i costi non fa per me». Sono le sue parole rilasciate al sottoscritto e a Luca Righetti in un’intervista esclusiva a tutto campo nel febbraio del 2016 in occasione dei 75 anni dell’HC Lugano. Non amava chiacchierare con i giornalisti, ma fece un’eccezione per la testata «Lugano hockey», rivista in carta patinata che lui stesso aveva fatto nascere per tenere un legame stretto con il popolo bianconero. Tra gli altri citò anche un giornalista che godeva della sua profonda stima, Alcide Bernasconi, storica firma dell’hockey per la nostra testata. In quell’occasione si sbilanciò anche citando due suoi pupilli dell’hockey, lo svedese Kent Johansson e il rossocrociato Joerg Eberle, leggende dell’hockey e del primo titolo di campione il 1. marzo 1986 a Davos. E del «dopo Geo» disse: «Anche senza di me alla guida, lo sviluppo non si è fermato e questa è stata la forza dell’HCL».

«Milionarios? Mi fa sorridere»

È risaputo che la forza di Geo fu anche quella di generare astio e gelosia tra «i padroni» dell’hockey oltre San Gottardo che, in particolare tramite le sferzanti penne del Blick, non mancavano, con monomaniacale insistenza, occasione per attribuire alla società di Geo l’appellativo di milionarios. La faceva sorridere o arrabbiare? «Rabbia? Mai. Un sorrisino» fu la sarcastica risposta ad anni di distanza: «Anche perché - proseguì - oltre San Gottardo di “multimilionarios” ce ne sono più che in Ticino. Ma questa logica di picche e ripicche non è nel mio DNA». Qualche parola l’aveva spesa anche per i cugini dell’Ambrì Piotta, che amava battere sul ghiaccio, ma nello stesso tempo rispettava. E, oggi che il senso del rispetto e della lealtà è andato piuttosto scemando, fatto salvo qualche episodio spiacevole nella vecchia Valascia in qualche momento di massima tensione sportiva, Geo era persona stimata, per la sua classe e il suo modo di porsi da presidente tifoso, ma non fanatico. Sempre nell’intervista citata ci fu una dichiarazione clamorosa che riportiamo. Quali sono stati i rapporti con i cugini? «Rapporti cordiali e positivi. Riferendomi ai due club non nascondo che, a un certo punto, avevo provato a riunire le due società». Prego? Abbiamo capito bene? «Occorre tornare alla realtà degli anni Ottanta, con l’esplosione dei costi e le difficoltà per dotarci di una pista e una struttura. Una premessa d’obbligo per comprendere lo scenario della proposta. Io pensavo anche a un grande polo sportivo unico al Monte Ceneri. Ma l’idea ebbe breve durata. Oggi non è più pensabile, ognuno ha la sua autonomia». Come mai ebbe breve durata? «In una telefonata tutto sfumò. Da Ambrì risposero picche». Si mormorava anche che lui fosse un finanziatore dei cugini dell’Ambrì: «Ma no, nulla di vero. Mi ero limitato per un periodo a pagare una tessera da sostenitore alla Valascia. Qualche migliaio di franchi. Poi non ho più neppure ricevuto sollecitazioni per il versamento». Parole che ci restituiscono la genuinità di un personaggio della realtà luganese, che a Lugano, al Lugano e al Ticino mancherà.

I suoi figli

Mancherà sicuramente anche alla figlia presidente, Vicky, che ne ha calcato le orme e poi è succeduta alla stirpe dei Mantegazza in quello che è il ruolo più pubblico, mentre gli altri figli, Claudio e Anna non hanno ruoli nell’hockey a differenza di Mario che è membro di direzione dell’Associazione Hockey Club Lugano.

Lo shock del sequestro lampo

La vita di Geo Mantegazza è stata contraddistinta anche da una parentesi scioccante. Era il 18 dicembre 1995 quando fu vittima di un rapimento risoltosi, fortunatamente, il giorno successivo. Si presume, ma nessuno ha mai confermato, con il pagamento di un riscatto prossimo ai 6 milioni di franchi. Prelevato nel garage dei suoi uffici presso il complesso Lidorama a Paradiso, venne rilasciato all’indomani vicino a Vaduz, nel Liechtenstein. Una parentesi che poi ne aveva segnato, comprensibilmente, la vita pubblica.

Domani l’ultimo saluto

Con la morte di Geo si chiude una pagina di storia dei Mantegazza e della loro Lugano. Non ci sono più i fratelli ma restano vive le loro creazioni, i simboli che hanno segnato l’esistenza. L’estremo saluto a Mantegazza verrà dato sabato 12 ottobre con una messa nel Famedio del cimitero di Lugano alle ore 15.