Il profilo

Geo Mantegazza, l'ingegnere dell'hockey che costruì un sogno

Un tempo calciatore del Rapid Lugano, si avvicinò all'hockey assumendo la presidenza bianconera nel 1978 – Da John Slettvoll a Fausto Senni, seppe individuare le persone giuste per rivoluzionare il club e il panorama svizzero
© CdT/Archivio
Red. Online
10.10.2024 15:02

Il 12 novembre 1928 nasceva Geo Mantegazza, «senza aver fatto neppure un giro esplorativo per vedere se ci fosse ghiaccio da qualche parte» scrisse anni fa Alcide Bernasconi, aggiungendo che «in novembre la cosa era possibile nei posti più in ombra, dicevano i bene informati di allora». Appassionato di pallone, il giovane Mantegazza fece le fortune del Rapid Lugano tanto da meritarsi una chiamata del Chiasso. Ancora Bernasconi: «Il Geo rossoblù non ebbe però la fortuna di dimostrare, come avrebbe desiderato, le sue ottime qualità di attaccante. Infatti, purtroppo, egli si infortunò seriamente a una gamba. E addio calcio!».

Ingegnere di formazione, Geo fu chiamato a prestare le sue competenze per sistemare il circuito dei Mondiali di ciclismo del 1953. Mondiali vinti da un immenso Fausto Coppi. Nel 1978, invece, Mantegazza accettò di assumere la presidenza dell'Hockey Club Lugano dopo una riunione di crisi, in Piazza Riforma. Passando, di fatto, dal calcio all'hockey. Geo, in realtà, sarebbe stato in grado di dirigere con profitto anche la squadra cittadina di calcio, ma i posti dirigenziali di un ambizioso Football Club Lugano all'epoca erano tutti occupati. Sollecitato, forse, anche dall'amico «Cucio» Viglezio, già in forza alla squadra ai tempi di Loreto, Geo approdò quindi alla pista della Resega, probabilmente già con un progetto per fare del Lugano una squadra di rango e, chissà, di riportare la Nazionale svizzera fra le squadre europee più blasonate.

Il progetto prese forma con l’ingaggio dell’allenatore svedese John Slettvoll, aiutato a muoversi a Lugano dal direttore sportivo Fausto Senni, che divenne suo grande amico. Dalla Svezia, John si fece accompagnare da un autentico campione come l’attaccante Kenta Johansson e, l’anno successivo, dal difensore più ammirato della sua Nazionale, ossia Mats Waltin. Due assi però non bastavano per portare in alto il Lugano, ma il mercato offriva pochissimo, soprattutto fra i giovani. Mantegazza, abilissimo in questa fase (1978-1991) molto delicata ma decisiva come si vedrà in seguito, con la collaborazione di Fausto Senni (lui pure un tempo grande tifoso del pallone) riuscì a far confluire a Lugano parecchi giocatori anziani, ma di buon nome, che parevano rinati sotto la guida di Slettvoll.

Mentre i grandi club, come Berna e ZSC (e forse pure il Davos) si rodevano dentro di fronte ai risultati dei luganesi, i bianconeri vincevano il loro primo titolo di DNA battendo nella finale di brevissimi playoff proprio la squadra più blasonata, il Davos, tornando in Ticino con il primo trofeo (1985-86) a cui ne seguirono altri tre in quattro anni (1986-87, 1987-88, 1989-90). In tutto furono sette titoli, l’ultimo dei quali nella stagione 2005-06, con Mantegazza nel ruolo di presidente operativo o grande anima alle spalle della squadra.

Seguendo l’esempio di Geo, altri presidenti si rimboccarono le maniche. L’hockey svizzero riconquistò i posti e la stima perduti. Geo Mantegazza, accompagnato sempre dal suo maglione di lana verde – «Lo indosso spesso, quando ci sono momenti in cui le cose non vanno bene è il mio modo per cambiare le cose» amava ripetere – passerà alla storia come un esempio di stile, eleganza e passione. Un ingegnere dell'hockey capace di costruire un sogno. Un ingegnere che amava ripetere: «Ho sempre amato le grandi sfide». Al di là del risultato.

In questo articolo: