HC Lugano, c'è modo e modo di perdere
Il bubbone è scoppiato ed è un bene. Il Lugano non poteva più andare avanti con alibi e giustificazioni che non avevano più alcuna valenza, fingendo che tutto fosse sotto controllo. Tutti avevano capito che i problemi dei bianconeri non si limitano a semplici questioni tecnico-tattiche. In maniera diplomatica, come si conviene ad un vero capitano, con le sue parole Calvin Thürkauf ha lanciato un messaggio forte e chiaro, richiamando la squadra all’ordine. Come è giusto che sia non ha fatto nomi, ma non è difficile immaginare a chi si riferisse. Basta osservare le prestazioni di chi è stato chiamato in Ticino anche e soprattutto per portare stabilità, emozioni e presenza fisica. Ora, almeno, si sa ufficialmente dove sta il problema. O perlomeno una parte del problema. La netta impressione – per dirla un po’ diversamente da Thürkauf – è che certo numero di giocatori non si senta sufficientemente implicato (per utilizzare un eufemismo…) sul ghiaccio.
Ed è questa la cosa più grave. È una questione di dignità sportiva, di rispetto anche verso se stessi. Perché il problema non è la sconfitta: nella vita e nello sport non sempre si vince. E proprio nessuno pretende dal Lugano il titolo svizzero. Ma c’è modo e modo di perdere. Grinta, emozioni e cattiveria agonistica non dovrebbero mai mancare: troppe volte invece i bianconeri – come contro il Langnau – hanno totalmente fallito l’approccio mentale alla partita. E hanno subito gli eventi con preoccupante e inaccettabile passività. Sembra di rivivere i periodi che hanno preceduto esoneri più o meno illustri, quando un Lugano senz’anima aveva portato agli allontanamenti dei vari Patrick Fischer, Doug Shedden o Chris McSorley, tanto per citare alcuni nomi. Bisogna frenare prima che l’uscita di strada diventi ineluttabile. A proposito di McSorley – per tracciare un parallelismo con Thürkauf – era stata una frase apparentemente anodina di Mark Arcobello a sganciare la bomba. «Vorremmo giocare in maniera più creativa, dovete chiedere al coach se possiamo farlo», aveva affermato il capitano dell’epoca.
Il contesto oggi è diverso e l’auspicio – dopo un incontro chiarificatore tra i giocatori – è che le frasi di capitan Calvin abbiano prodotto l’effetto sperato all’interno dello spogliatoio. Luca Gianinazzi – che non è di certo esente da responsabilità – sta cercando di fungere da parafulmine, verso l’esterno. Ma vien da dire che – in attesa di riflessioni più profonde sulle strategie da adottare – il weekend alle porte dovrà soprattutto servire da prima pietra per dare una svolta al campionato. Contro Ajoie e Friburgo il gruppo dovrà dimostrare di avere ancora un minimo di orgoglio e di carattere. Se non dovesse essere il caso, si rischierebbe fisiologicamente di arrivare a uno scontro tra giocatori da una parte e staff tecnico e dirigenza dall’altro. Ed allora le decisioni forti – in un senso o nell’altro – diventerebbero pressoché inevitabili.
Ritrovare un minimo di serenità o entrare totalmente nella bufera, con conseguenze difficilmente immaginabili: sì, dopo quanto accaduto con il Langnau e con la presa di posizione di Thürkauf, quello alle porte rischia davvero di diventare il weekend della verità, per la squadra e per tutto il club bianconero. Perché si può anche perdere, ma c’è modo e modo.