HC Lugano, orgoglio e strategie
Si fa presto a dire che il campionato è equilibrato. Lo è stato nella sua prima fase, ma basta dare un’occhiata per rendersi conto di come la classifica abbia già assunto una sua ben precisa fisionomia. A far discutere – non solo in Ticino – è soprattutto la situazione di un disastrato Lugano. Non c’è pista, in Svizzera, in cui non ci si interroghi sulle ragioni di una crisi così profonda. La squadra bianconera – a braccetto con un Ginevra che si consola però con la Champions League – è la grande delusione di questa prima metà di regular season. Già in chiara difficoltà alla prima pausa di inizio novembre, il Lugano nell’ultimo mese è riuscito a fare ancora peggio. Com’era prevedibile, non è bastato l’innesto di Justin Schultz per invertire la tendenza. In questo grigio autunno, il club della Cornèr Arena ha provato a tamponare le falle con due cerotti: ha confermato la sua piena fiducia in Luca Gianinazzi, a cui ha però affiancato Antti Törmänen in qualità di Senior Advisor. Un ruolo ibrido, a memoria mai visto prima nel panorama dell’hockey elvetico. Una soluzione da “taja e medega”, si direbbe in dialetto: Giana, sei bravo e crediamo in te, ma non abbastanza per uscire con le tue sole forze dal buco nero in cui vi siete cacciati.
La netta sensazione è che ci vorrebbe ben altro – nessuno mette in dubbio le competenze del finlandese – per dare una sterzata alla stagione. Una società che non si è mai fatta troppi problemi, in passato, a cambiare la guida tecnica, oggi è passata all’estremo opposto. Difende con le unghie e con i denti la scelta di puntare sul giovanissimo coach ticinese. Dall’esterno sembra ormai più una questione di orgoglio che una vera strategia sportiva. È inutile girarci attorno: un altro allenatore avrebbe già dovuto fare le valigie. È la dura legge dello sport. Negli ultimi vent’anni solo due club hanno costruito i loro successi – o la loro crescita – attorno alla figura di un coach: il Davos con Arno De Curto e il Ginevra con Chris McSorley. Oggi ci sta provando anche l’Ambrì Piotta con Luca Cereda. Un progetto a lungo termine presuppone però una definizione chiara dei ruoli, un’identità, una cultura aziendale e del successo nonché una limpida strategia a livello di obiettivi e di comunicazione. Non si torna a vincere per caso, insomma.
Paradossalmente la dirigenza del Lugano rischia di bruciare Gianinazzi, difendendolo a spada tratta. È pronto, il CdA bianconero, al rischio di gettare all’aria una stagione, con tutto ciò che ne conseguirebbe, anche per il futuro del Giana? Di certo il coach non sta ricevendo il necessario supporto da parte di un gruppo di giocatori che evidenzia preoccupanti lacune mentali, tecniche e tattiche. Il sostegno al coach non può allora limitarsi all’esperienza di Törmänen. Il finnico non ha la bacchetta magica per trasformare Dahlström in un difensore straniero degno della NL, per permettere a Sekac di ritrovare la rete dopo 18 partite di astinenza, per infondere un minimo di cattiveria agonistica e di concretezza a Zohorna, per permettere a un irriconoscibile Carr di ritrovarsi. Appaiono già lontanissime le parole di Thürkauf e di Domenichelli: la presa di coscienza della mancanza di implicazione alla causa da parte di una frangia dello spogliatoio è probabilmente già finita nel dimenticatoio. Quando invece bisognava intervenire subito. Il peggior nemico di una squadra sportiva non è la sconfitta: è l’abitudine alla sconfitta, con il suo vasto corollario di alibi e giustificazioni.