Taca la bala

HCAP: ci vuole più ambizione

La stagione appena conclusa dell'Ambrì Piotta, nonostante le parole di Filippo Lombardi, è stata deludente? Avrebbe dovuto avere un finale differente?
Tarcisio Bullo
Tarcisio Bullo
14.03.2025 06:00

Tutti assolti, tutti bravi, impegnati, meritevoli di complimenti per aver raggiunto l’obiettivo minimo, ma, soprattutto, perché al di là di «quel che affermano gli osservatori», l’obiettivo non è vincere, bensì «dimostrare identità, compattezza, crederci sempre, combattere per la maglia, avere una squadra che si impegna e che lotta e creare un’atmosfera fantastica alla Gottardo Arena».

Nella prima analisi della stagione appena conclusa, le parole del presidente dell’Ambrì Piotta, Filippo Lombardi, sono una carezza alla squadra e allo staff e mi regalano una certezza: quella biancoblù è una società che davvero rappresenta un unicum a livello mondiale nel panorama dello sport d’élite, dove oggi il conseguimento di un risultato eccellente è il detonatore capace di far esplodere la cifra d’affari, di assicurare sponsor e sostegno popolare, in un mondo sportivo sempre più orientato al business e dunque sempre più bisognoso di soldi e investitori.

Ad Ambrì non è così: ci si accontenta di dimostrare identità (non sarebbe male spiegare cosa sia questa «identità», che ognuno declina un po’ alla propria maniera) e di vedere in pista una squadra che lotta e onora la maglia, come se non fosse scontato - sapendo quale parte di budget è destinata ai salari dei giocatori - che impegnarsi a fondo nel proprio lavoro sia un obbligo morale e contrattuale. «Siamo contenti di quello che siamo e di quello che esprimiamo nell’hockey svizzero di oggi» - sono sempre parole di Lombardi.

Diciamolo: il presidente dell’Ambrì Piotta è l’ultimo rappresentante di una dinastia dirigenziale ormai sulla lista rossa del WWF perché sull’orlo dell’estinzione; un inguaribile nostalgico che, nonostante qualche evidente arrabbiatura patita ed espressa nelle lounges della Gottardo Arena durante la stagione, è felice di poter constatare che nel teatro di gara della sua squadra regna - sono parole sue - un’atmosfera fantastica. Ognuno è evidentemente libero di fare le proprie scelte, a maggior ragione se mantiene in vita un club mettendoci soldi suoi o facendo valere rapporti interpersonali di alto livello, ma vista da una prospettiva differente, questa filosofia che mette al bando la tanto temuta «pressione», potrebbe essere catalogata nella migliore delle ipotesi come «buonista» e nella peggiore come «perdente». E comunque poco ambiziosa. Da frequentatore pagante della Gottardo Arena lo posso dire: c’è una larga fetta di tifosi delusa dalla stagione disputata dalla squadra, che qualitativamente rispetto al passato campionato appariva migliore (sulla carta: poi la conferma deve sempre arrivare dal ghiaccio), ma alla resa dei conti, in un’annata che ha visto «fallire» alcuni club blasonati, ha ottenuto risultati inferiori alle attese (da 8° a 10° posto nella regular season, 73 punti contro i 79 dell’anno prima, solo 12 vittorie nei 60’ contro 20) e ha mancato l’aggancio ai playoff - il sogno dei tifosi biancoblù - nonostante nei play-in abbia affrontato due club tutto sommato alla sua portata. L’Ambrì durante la stagione (fino a Natale) ha faticato a produrre bel gioco, è stato bravo a cambiare le carte in tavola a livello di organico (Kubalik per Ang; Di Domenico per Lilja) ma non nascondiamoci che i cambiamenti avvenuti lasciano planare qualche dubbio sulle scelte strategiche estive. L’effetto catalizzatore del luna park Gottardo Arena, senza il supporto di prestazioni sportive di rilievo, alla lunga potrebbe anche affievolirsi. Doveva essere, il trasloco alla Gottardo Arena, il grimaldello capace di aprire porte dietro le quali si nascondevano nuove e più ambiziose prospettive. Per intanto però, sul piano dei risultati si marcia sul posto. Non sarà anche per colpa della mentalità sportivamente poco ambiziosa della dirigenza?