Il Lugano campione d'inferno è in attesa di decisioni concrete
Penultimo in classifica. Sconfitto in sette delle ultime otto partite e in otto delle ultime dieci. Peggior power-play del campionato. Penultima difesa, terzultimo attacco. Incapace di vincere due incontri di fila addirittura da fine settembre. Si potrebbe andare avanti, ma può bastare così. Non è mai bello sparare sulla Croce Rossa. Anche la seconda pausa consacrata agli impegni della nazionale - dopo la prima di novembre – non ha portato consiglio al Lugano. Il Titanic bianconero non sta affondando: in realtà è già colato a picco e riportarlo a galla sembra al momento un’impresa impossibile. Sulla deleteria campagna acquisti è già stato detto tutto, infierire sarebbe inutile. Così come tutto o quasi è stato detto sul panico che avvolge sistematicamente a tutti i suoi livelli il club nelle situazioni difficili, anno dopo anno. Il Lugano si trova ad un niente dal punto di non ritorno, a meno che non lo abbia già raggiunto. A pochi metri dalla pista luganese il FC Lugano si è appena laureato campione d’inverno. I cugini dell’hockey oggi possono rivendicare solo il triste titolo di campioni di inferno.
Il solito nascondino
Resta ormai solo da capire se sia ancora possibile dare una parvenza di senso a questa disastrata e disastrosa stagione, a tutti i livelli. In altre parole, alla Cornèr Arena c’è da decidere se – in nome di un progetto di fatto già fallito – si è disposti ad accettare senza batter ciglio di gettare alle ortiche un’intera annata agonistica. Se così fosse, il CdA bianconero dovrebbe avere almeno l’onestà intellettuale di comunicarlo apertamente. Con tutte le possibili conseguenze del caso. Senza per una volta giocare a nascondino, come è solito fare, cercando fantasiose soluzioni comunicative che non fanno che rendere ancor più angosciante la situazione. La storia purtroppo si ripete. Lo imporrebbero senso delle responsabilità e rispetto, valori sui quali una società sportiva dovrebbe costruire le sue fondamenta: verso i tifosi – che, è bene ricordarlo, sono pure azionisti del club –, verso gli sponsor e in un certo senso anche verso la Città stessa.
Sull’orlo del baratro
Già, le responsabilità. La dirigenza di una società sportiva non può muoversi e operare in una sorta di oligarchia. Una forma di regime – recita la Treccani – in cui il potere è nelle mani di pochi e viene esercitato per lo più a proprio vantaggio e contro gli interessi della maggioranza. Un regime in cui il bene comune viene insomma sacrificato sull’altare di convinzioni personali che stanno portando l’HC Lugano sull’orlo del baratro. Alla Cornèr Arena sta ormai andando in scena un rapporto di forza tra i vertici societari e una fetta importante dell’universo bianconero: una parte del club, della squadra e dei tifosi ha ormai capito che solo una decisione forte – seppur difficile anche e soprattutto a livello emotivo – potrebbe ancora provocare una scossa e ridare un po’ di vita ad un paziente con l’encefalogramma piatto. Da fine settembre, non da ieri. L’orgoglio è però una brutta bestia e le ammissioni di colpa non stanno di casa, a Lugano. In attesa di una profonda analisi interna promessa da anni ma di fatto mai arrivata, si potrebbe almeno provare a salvare il salvabile. Già, il senso delle responsabilità. Forse lo può ancora avere solo Vicky Mantegazza: ci vorrebbe un sussulto di rabbia mista a delusione della presidente, non fosse che per la sua smisurata passione per i colori bianconeri. Sì, ci vorrebbe.
Un peso troppo grande
I messaggi inviati non troppo tempo fa da capitan Thürkauf sono già stati archiviati nel dimenticatoio. Ed è inutile girarci intorno: con l’attuale guida tecnica il Lugano sta andando a sbattere violentemente contro un muro. Che senso ha? In questo contesto a danneggiare maggiormente l’immagine di Luca Gianinazzi non sono i tifosi che lo mettono in discussione o i media che si interrogano sulle reali capacità del coach di risollevare la squadra. No, in questo momento il principale “nemico” del Giana è paradossalmente il suo club, che sta mettendo sulle spalle di un giovante tecnico un peso sempre più difficile da sopportare. Il rischio che non si rialzi più, in caso di caduta, è concreto. Compiere un passo indietro sarebbe insomma nell’interesse di tutti. Non si tratta di mettere in dubbio le competenze di un allenatore, ancorché tutte da dimostrare. Gianinazzi è una persona seria, a modo, con l’hockey e il Lugano nel sangue: ma come accaduto in passato a suoi illustri e più esperti colleghi, arriva un momento in cui gli impulsi non vengono più recepiti. Qualcosa, anche inconsciamente, si rompe. E non bastano di certo i consigli “ibridi” di un Antti Törmänen, a migliorare la situazione. È la durissima legge dello sport.
Sulle orme di Kapanen
Spiace osservare che gli sforzi profusi dal Giana rimangono vani. Ma su quali basi e con quale legittimità il Lugano e Gianinazzi potrebbero affrontare la prossima stagione, se quella in corso dovesse proseguire sui binari attuali? Da troppe settimane ormai questo Lugano appare sfiduciato e fragile. Mancano mordente e cattiveria agonistica, mancano le emozioni. E le mosse tecnico- tattiche dello staff tecnico – come mercoledì a Kloten – assumono contorni sempre più surreali. Sul ghiaccio sembra di rivedere il Lugano di Sami Kapanen, un gruppo di giocatori che si muoveva in pista senza la minima idea di cosa dovesse fare per tornare al successo. Il finlandese venne esonerato il 18 dicembre del 2019, all’indomani di una disfatta per 7-2 in un derby alla Valascia. Umanamente, il Giana non meriterebbe di doversene andare in questo modo. Alla vigilia di Natale, oltretutto.