L'intervista

Janick Steinmann: «Ho chiesto piena indipendenza per costruire una nuova cultura»

Chiacchierata a 360 gradi con il nuovo general manager dell'Hockey Club Lugano
© CdT/Chiara Zocchetti
Flavio Viglezio
30.03.2025 18:15

Come si sente oggi Janick Steinmann e cosa ha imparato dalla serie di playout con l’Ajoie?
«Ho avuto la possibilità di osservare i giocatori all’opera in partite con tanta pressione. Vederli e parlare con loro ogni giorno mi ha permesso di raccogliere molte informazioni e di capire come strutturare la squadra in futuro. Ho visto il carattere e la leadership di alcuni di loro, mentre altri non sono stati in grado di esprimersi al meglio in un contesto così complicato. Sono riuscito a farmi un’idea più concreta su quali siano i reali bisogni del Lugano. Questa è stata l’esperienza più difficile da quando sono nel mondo dell’hockey, ma si è rivelata estremamente interessante e utile. Ho imparato parecchio in queste settimane».

Rapperswil e Lugano sono due realtà molto diverse. In Ticino la pressione di tifosi e media è enorme. Cosa l’ha convinta ad accettare questa nuova sfida professionale?
«Le ragioni sono molte. Devo ringraziare il Rapperswil per avermi dato la possibilità di diventare general manager a 33 anni. Ho deciso di venire a Lugano perché adoro le sfide. E al momento non c’è una sfida più grande del Lugano, nel mondo dell’hockey svizzero. Negli ultimi vent’anni questo club ha vissuto troppi alti e bassi: è andato un po’ a destra e un po’ a sinistra, cambiando troppo spesso strategia, allenatori, ambizioni. Nessuno può avere successo, così. Penso di essere una persona strutturata, con una visione chiara delle cose e una precisa filosofia: il mio obiettivo è dare finalmente una continuità a tutti i livelli al club e alla squadra. Solo un lavoro a lungo termine può portare al successo».

Che idea si è fatto della realtà bianconera, intesa come club?
«Quel che so è che per ritrovare una chiara identità abbiamo il bisogno del sostegno e della comprensione di tutti. Come club dovremo imparare dagli errori commessi nelle ultime stagioni. Nei dieci anni successivi all’ultimo titolo, le aspettative sono rimaste alte. E in un certo senso, l’aria del Grande Lugano aleggia ancora dalle parti della Cornèr Arena. È giusto essere ambiziosi, sia a livello individuale che di gruppo. Ma dobbiamo trovare il modo di avere ambizioni giuste. Quest’anno abbiamo toccato il fondo, siamo arrivati penultimi. Si tratta di capire in quale direzione vogliamo andare: mi auguro che tutti oggi – nel club e fuori – abbiano l’umiltà di affermare che al momento facciamo schifo. Abbiamo bisogno di nuove fondamenta, solide, per evitare di ritrovarci a vivere in futuro situazioni simili. Si tratta di costruire una nuova cultura».

Qual è la filosofia hockeistica di Janick Steinmann? Secondo quali criteri costruisce una squadra?
«Voglio costruire una squadra vera. Una squadra che giochi un hockey a quattro linee, in cui tutti abbiano un ruolo chiaro. Non servono solo elementi che totalizzano 50 punti a stagione: contesti simili producono solo vento. Mi piace essere partecipe del lavoro sul ghiaccio e fuori ed essere presente quotidianamente a fianco del gruppo e dello staff. Il nuovo allenatore non dovrà arrivare pensando di poter fare ciò che vuole fin dall’inizio. Il coach comporrà il line-up, ma desidero che la squadra giochi secondo la mia filosofia hockeistica».

Quali saranno i prossimi passi – quelli che ritiene più importanti – in vista della prossima stagione?
«Il prossimo passo sarà trovare il miglior staff tecnico possibile per questa squadra. E inserire nel gruppo i pezzi mancanti – intesi come giocatori – che possano permetterci di crescere. In seguito ci sarà modo di analizzare tutto ciò che ruota attorno alla prima squadra, costruendo una nuova cultura e fissando i nostri valori fondamentali. In questo momento il dito è puntato contro i giocatori e non lo trovo giusto: tutta l’organizzazione deve guardarsi allo specchio e capire perché il Lugano sia caduto così in basso. Ognuno deve essere pronto ad ammettere i propri errori: sarò il primo a farlo, quando sbaglierò».

Voglio un allenatore che abbia alte conoscenze hockeistiche, che sappia portare i giocatori al loro migliore livello, che sia in grado di sfruttare tutto il loro potenziale. E non dovrà mettere da parte – come è successo qui in passato – giocatori ai quali io ho deciso di dare fiducia quale general manager

Qual è, un po’ più concretamente, l’identikit del prossimo coach bianconero?
«Come ho detto, dovrà sposare la mia filosofia. Voglio un allenatore che abbia alte conoscenze hockeistiche, che sappia portare i giocatori al loro migliore livello, che sia in grado di sfruttare tutto il loro potenziale. E non dovrà mettere da parte – come è successo qui in passato – giocatori ai quali io ho deciso di dare fiducia quale general manager. Desidero che la squadra giochi con il disco, non mi piace un hockey che pensa solo alla fase difensiva. Apprezzo un mix fatto di tanto pattinaggio, gioco offensivo e fiducia nei propri mezzi».

A corto termine Janick Steinmann ha pochi margini di manovra sul mercato svizzero...
«Questa sarà una delle nostre sfide nella prossima stagione e non sarà facile. Sono però convinto che anche il nostro roster svizzero avrà qualità, perché ci sono elementi in questa squadra che sposeranno al cento percento la nostra filosofia. Proverò comunque a portare a Lugano uno o due elementi che possano fare il lavoro sporco. Dei collanti tra lo staff tecnico e il resto del gruppo. Sono inoltre molto felice dell’arrivo di Dario Simion e di Brian Zanetti».

Cosa può dire a proposito degli stranieri? Dahlström, Sekac e in un certo senso anche Joly hanno vissuto una stagione estremamente complicata...
«La cosa più importante è che io trovi tre stranieri che facciano al caso nostro nelle posizioni per ora scoperte. Il mercato europeo in questo senso è già piuttosto arido, ma ci sono buoni margini di manovra su quello nordamericano. Per quanto riguarda gli import ancora sotto contratto con noi, avremo altre discussioni. Anche loro hanno delle aspettative: dovremo vedere se corrispondono alle nostre. Ma sarebbe sbagliato affermare che non abbiano delle qualità. Come ho già detto, non tutti gli stranieri devono diventare il topscorer della squadra. Basta vedere l’esempio del Langnau. È meglio fare i playoff che avere i tre migliori marcatori del campionato e disputare i playout».

Ha posto delle condizioni riguardo alla sua indipendenza decisionale sulle questioni prettamente sportiva?
«L’indipendenza è il punto centrale del mio essere, non solo nella mia professione. È stata la richiesta principale che ho fatto al club: se non avessi avuto delle garanzie in questo senso, non sarei qui. E se le cose dovessero cambiare, me ne andrei immediatamente. È il modo in cui ho lavorato a Rapperswil. Non voglio sapere cosa sia successo a Lugano in passato, ma voglio essere io a prendere le decisioni sportive. Mi hanno promesso che sarà così. E ci credo: Vicky Mantegazza e Marco Werder sono persone con un grande cuore. Senza la presidente, questo club non esisterebbe probabilmente più. La dirigenza non sapeva nulla delle decisioni che ho preso nelle ultime settimane. Sono ovviamente pronto a condividere tutte le informazioni di cui il club avrà bisogno, ma nel pieno rispetto dei rispettivi ruoli. Ci sono stati dei malintesi e delle mancanze a livello di comunicazione, ma ho piena fiducia in questo club. Sono convinto che ogni società abbia bisogno di un general manager forte, con gli attributi. Se sbaglierò, voglio che gli errori siano solo miei. Mi piacerebbe solo che chi ha a cuore questa squadra continui a supportarla: sono qui per fare dei cambiamenti e prometto che ci metterò l’anima».

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