La stagione della marmotta di un Lugano in caduta libera
Il popolo bianconero si interroga. Si chiede preoccupato - senza ottenere risposte - come faccia questo Lugano in crisi nera a cacciarsi sempre nei guai. Anno dopo anno, stagione dopo stagione, la musica non cambia. Mai. Come nel film cult del 1993, «Ricomincio da capo», più consociuto - erroneamente peraltro - con il titolo de «Il giorno della marmotta». Il protagonista si trova a dover rivivere la medesima giornata all’infinito. Esilarante, il film. Alla Cornèr Arena c’è invece poco da stare allegri. A Kloten è arrivata un’altra umiliazione: la squadra di Luca Gianinazzi ha perso sette delle ultime nove partite, è sprofondata al decimo rango e i primi sei posti della classifica - sinonimo di playoff e obiettivo dichiarato del club - sembrano già un miraggio. L’aria si sta facendo pesante, i tifosi - una parte dei tifosi - già non ne possono più. Un’altra volta, l’ennesima.
Poca personalità
Tutto nasce dagli infortuni. Le assenze di Thürkauf e van Pottelbeghe prima, di Dahlström e Zohorna dopo, hanno riportato clamorosamente a galla limiti e lacune a tutti livelli di una squadra - giocatori e staff tecnico - e di una direzione sportiva ancora una volta incapaci di gestire con una precisa strategia le situazioni complicate. Il Lugano si è riscoperto corto, in termini quantitativi e qualitativi. Poca personalità, stranieri che non rendono, giovani non all’altezza sono il grigio biglietto da visita autunnale dei bianconeri.
Non possiamo sbagliare
In momenti come questi ci si chiede - sempre senza risposte concrete - come vengano operate certe scelte a livello di direzione sportiva. «Non possiamo sbagliare i prossimi stranieri», aveva detto nella scorsa primavera la presidente Vicky Mantegazza. Invece Hnat Domenichelli li ha sbagliati. Calle Dahlström è semplicemente improponibile, Jiri Sekac conferma il calo già evidenziato nella passata stagione regolare con il Losanna, Radim Zohorna ad oggi non è né carne né pesce. E basta con la scusa del periodo di adattamento: i vari Vozenilek, Zadina, Czarnik, Merelä, Kinnunen, Strömwall e Tambellini stanno già facendo faville. Loro. Un giorno o l’altro anche il lavoro del ds dovrà essere analizzato in profondità.
La foto perfetta
Calle Dahlström è la fotografia perfetta - si fa per dire - di questo Lugano. Lo svedese è totalmente nel pallone. Altro che leader. Il disco spedito in maniera tragicomica in tribuna contro il Ginevra e l’assurdo passaggio a mezza altezza che ha permesso a Aaltonen di realizzare la rete del sorpasso del Kloten sono da Lega amatoriale. Intanto Justin Schultz - a questo punto atteso come nemmeno il Messia alle nozze di Cana - passerà alla storia come lo straniero più lento a scendere in pista dopo il suo annuncio ufficiale. «Non potevamo più permetterci di aspettare», aveva spiegato al CdT Domenichelli il 23 ottobre scorso. Esordirà il 15 novembre. Strategie improvvisate, scelte avventate, situazioni sottovalutate: è questo insomma l’inquietante scenario del primo scorcio di stagione del Lugano.
Lo smarrimento del Giana
In un passato nemmeno troppo lontano, a farne le spese sarebbe già stato l’allenatore. Anche il Giana appare spaesato: «Ad un certo punto si è spenta la lampadina», ha dichiarato a Kloten. Una frase che la dice lunga sul senso di smarrimento che avvolge lo spogliatoio bianconero. A cosa serve un tecnico se non a garantire che la luce del suo gruppo sia nel limite del possibile sempre accesa? Un sistema di gioco troppo ambizioso nei momenti di difficoltà, la gestione del caso Andersson, i continui cambiamenti nelle linee, l’idiosincrasia nei confronti dei time-out: anche il 31.enne coach ticinese dovrà approfittare della pausa per rivalutare alcune delle sue apparentemente inscalfibili certezze. Il club bianconero ha puntato tutto o quasi su di lui, a partire dall’infausa dichiarazione di Domenichelli: «Gianinazzi sarà il mio ultimo allenatore». Nessuno deve però sentirsi intoccabile: nemmeno il Giana, nemmeno Domenichelli.
Aspettando, aspettando
Sarà il CdA bianconero, come è giusto che sia, a fare le sue valutazioni. In un mondo perfetto, il club approfitterebbe della sosta per cercare di risolvere al più presto e con il minore dei mali il caso Dahlström e darebbe al direttore sportivo la missione di portare in Ticino un centro straniero di spessore. Quel centro che serviva come il pane fin dal giorno dell’infortunio di Thürkauf e che invece non è mai arrivato. Negli ultimi anni il Lugano ha però sempre tentennato: preferisce reagire alle situazioni estreme, invece di prendere il toro per le corna. Ed allora, con ogni probabilità, si aspetterà che gli stranieri si risveglino dal loro torpore, che qualche giovane trovi di colpo la maturità, che Schultz prenda per mano la squadra, che Thürkauf torni sul ghiaccio. Prima o poi, fisiologicamente, la situazione migliorerà. Anche perché peggio di così è difficile. Ci si accontenterà magari di una qualificazione ai play-in e si esalterà il carattere del gruppo dopo l’ennesima eliminazione nei quarti di finale dei playoff. Dicendo pure di essere sulla strada giusta, in attesa di un’altra stagione della marmotta.