L’HC Lugano e il punto di non ritorno
«A volte, per risalire, bisogna toccare il fondo». Lo ha detto Hnat Domenichelli, direttore sportivo dell’HC Lugano. Beh, dovremmo esserci. E non da ieri. Quella di sabato contro il Friburgo non è stata una partita di hockey. È stata la fotografia di un disastro sportivo venuto alla luce un mese e mezzo fa, ma con radici più profonde. Una sintesi perfetta di tutti i mali bianconeri. Squadra allo sbando, mentalmente fragile, priva di idee, di un’identità condivisa, di leader, di alternative in ogni ruolo. Allenatore in balia degli eventi, forse troppo giovane e mal assistito per maneggiare una crisi di tale portata, iperattivo nel suo voler cambiare continuamente formazione nella speranza di uscire dalle sabbie mobili. Dirigenza incapace di comprendere i problemi, figurarsi di risolverli. Tifoseria divisa tra rabbia e rassegnazione. Meglio la prima. La seconda è l’anticamera del disinteresse, un guaio serio per un club che negli ultimi anni ha già perso un migliaio di abbonati.
E adesso? Succederà qualcosa? Verranno prese decisioni forti? No. O forse sì. Il problema – uno dei tanti – è che non si è capito nemmeno quello. L’unica certezza è che Domenichelli ha rinnovato la sua fiducia a Luca Gianinazzi, dicendo di voler cambiare la cultura di un club in cui da vent’anni, a pagare, è sempre e soltanto l’allenatore. Però ha anche detto che i giocatori devono smetterla di aspettare l’arrivo di un salvatore, ammettendo che sì, anche lo spogliatoio ha ormai assorbito quella cultura che lui vorrebbe combattere. Insomma, un cambio in panchina – stando a Hnat – sarebbe già nei pensieri dei giocatori. Se fosse vero, sarebbe un punto di non ritorno.
Riprendendo un argomento già sollevato dal capitano Calvin Thürkauf dopo la sconfitta di martedì scorso contro il Langnau, il direttore sportivo ha pure evocato la possibilità che alcuni giocatori non stiano più seguendo il coach, salvo poi specificare di non averne la certezza, di voler approfondire la questione (alla buonora...), di voler capire chi siano gli eventuali indiziati. Ma a precisa domanda, ha escluso che si tratti di Jiri Sekac e Radim Zohorna, i due attaccanti cechi da lui ingaggiati la scorsa estate per dare più peso e leadership al Lugano, ma entrambi finiti in tribuna nella delicatissima sfida di sabato. Più che una scelta tecnica, un’altra nitida fotografia di un altro disastro: quello dell’ultima campagna acquisti.
E qui entra in gioco lo stesso Hnat Domenichelli. «Se deve saltare una testa, forse deve essere la mia», ha affermato sabato. In ottica futura, la sua posizione è certamente traballante. Ma a breve termine, quale impatto potrebbe mai avere la rimozione del direttore sportivo dal suo incarico? Nessuno, a meno che con lui non se ne vadano anche le sue scelte peggiori, nell’illusione che un ipotetico nuovo manager possa fare magie a campionato inoltrato. Il margine per rimediare è minimo. Il Lugano ha già otto stranieri sotto contratto (compresi un portiere inaffidabile e un difensore non all’altezza) e dispone ancora di due sole licenze. Trovare un paio di «import» in grado di far svoltare subito la stagione non è affatto facile e tanto meno economico.
E quindi? Se davvero si crede nel Giana, si faccia pulizia dei ribelli e lo si metta in condizione di lavorare serenamente. La sensazione è che il club voglia guadagnare tempo, tirando a campare per un’altra settimana, fino alla prossima pausa. Si spera in una rinascita improvvisa, si confida in una classifica non ancora compromessa. La responsabilità è tutta sui giocatori. Fragili, storditi e in attesa di un salvatore che non c’è.