Ambrì Piotta

Paolo Duca: «DiDo ha portato agonismo, per Kubalik aspettiamo lunedì»

Con quattro vittorie nelle ultime sei partite, conquistate contro le migliori della classifica e al culmine di un «tour de force», l’Ambrì Piotta si è rilanciato. Ne discutiamo con il direttore sportivo.
© Keystone/Pablo Gianinazzi
Fernando Lavezzo
11.12.2024 06:00

Con quattro vittorie nelle ultime sei partite, conquistate contro le migliori della classifica e al culmine di un «tour de force», l’Ambrì Piotta si è rilanciato. Ne discutiamo con il direttore sportivo.

Paolo Duca, possiamo parlare di «effetto DiDomenico»?

«Non è mai un solo giocatore a far funzionare le cose. Conta il gruppo, la prestazione della squadra. Poi, in certi momenti, è possibile che alcune individualità particolarmente in forma abbiano un’influenza maggiore e offrano un contributo più tangibile. DiDo ha sicuramente portato energia, agonismo e competitività».

Ha anche avuto un impatto positivo su Dominik Kubalik?

«I due si sono trovati e spronati a vicenda, ma Kuba era già in crescita. Come capita spesso agli scorer, gli sono bastati un paio di gol per sbloccarsi».

Manca pochissimo al 15 dicembre, termine ultimo per Kubalik di far valere la sua clausola per la NHL. Che sensazioni avete? Lo immaginate già vostro fino a fine stagione o al contrario, con l’avvicinarsi della fatidica data, potrebbe accelerarsi qualche trattativa in Nordamerica?

«La verità è che non lo so. Non ci resta che aspettare fino a lunedì. Io lo vedo sereno e concentrato, da noi si trova bene. Rispetto ad inizio stagione ha fatto dei passi avanti. Sabato sera, contro il Davos, ha anche salvato un gol davanti alla porta. Un gesto inconsueto per un attaccante con le sue caratteristiche, ma che ci dimostra il suo pieno coinvolgimento».

Parliamo del «tour de force» che vi ha visti giocare 9 gare in 16 giorni tra il 22 novembre e il 7 dicembre. Qual è stata la chiave per superare al meglio questa fase?

«L’abbiamo affrontata col coltello tra i denti. Già prima della pausa di novembre avevamo offerto diverse buone prestazioni, ma mancava sempre qualcosa per ottenere anche i risultati. Tra il 2 e il 16 novembre, abbiamo sfruttato la sosta per migliorare il nostro gioco difensivo. Poi, dopo la sconfitta di Porrentruy, abbiamo avuto un’altra settimana senza gare, nella quale abbiamo lavorato sul livello di tensione e sulla consapevolezza di dover fare qualcosa in più. Anche dal punto di vista fisico, ci siamo preparati bene. Come capita nel post season, in cui si gioca ogni due giorni, abbiamo gestito le forze concedendo un giorno libero tra un impegno e l’altro. Dobbiamo poi ringraziare il preparatore atletico, il fisioterapista, il massaggiatore e l’osteopata, che hanno avuto il loro bel daffare. Fortunatamente non abbiamo registrato infortuni seri. Solo qualche acciacco. Ma il rischio di farsi male seriamente, con questo calendario così fitto, è aumentato notevolmente».

Un calendario difficile da comprendere...

«Già in maggio avevamo fatto notare alcune criticità. Non è normale disputare solo due gare nelle prime due settimane di novembre per poi averne una decina tra fine novembre e inizio dicembre. È assurdo a livello sportivo e fisiologico e non ha senso per i tifosi. Abbiamo provato a spostare almeno un match, ma non è stato possibile. Non c’erano alternative. Gli impegni della Nazionale e la Champions riducono il margine di manovra. Ad esempio, non tutti sanno che ogni Paese ancora rappresentato da una squadra in Champions, non può far giocare partite di campionato il martedì della settimana europea. L’unica cosa giusta, in tutto questo, è che la situazione è uguale per tutti».

Torniamo all’Ambrì e alla sua rinnovata efficacia. L’impressione, ogni anno, è che abbiate bisogno di trovarvi con le spalle al muro per dare il meglio. Vi piace poter dire: «Non ci credeva nessuno tranne noi». Il prossimo passo sarà imparare a vincere anche quando se lo aspettano gli altri?

«Questa è una cosa che io cerco sempre di spiegare a tutti, anche all’interno del club: le aspettative hanno un ruolo fondamentale. Ed è un fattore su cui continuiamo a lavorare. Dover vincere o dover imporre il proprio gioco, è più complicato di poterlo o volerlo fare. Se non hai niente da perdere, ti senti mentalmente leggero».

E quindi, come si può imparare a gestire le aspettative?

«Focalizzandosi sul processo e non sul risultato. L’attenzione va rivolta alla prestazione e a ciò che bisogna fare per migliorare. Le nostre performance erano in gran parte buone anche prima, ma troppo spesso ci è mancato qualcosa: cattiveria, power-play, box-play. Nelle ultime due settimane, ci sono state più cose che sono andate bene contemporaneamente. Poi, per vincere, si passa anche dalle prestazioni dei singoli: occorre che il portiere faccia una parata spettacolare in un momento decisivo, o che un attaccante firmi una doppietta, o che qualcuno si inventi un bellissimo gol».

Quattordici overtime in 28 partite sono tanti. Avete individuato dei denominatori comuni che vi hanno portato così spesso oltre il 60’? Nel bene e nel male, si intende, perché a volte avete rimontato voi, altre volte gli altri...

«È difficile dare una risposta esaustiva. Di buono c’è che non ci diamo mai per vinti. Non ci manca mai l’energia per continuare a lottare e – spesso – per recuperare. Tutto questo è sinonimo di combattività, di risorse. Poi c’è il fattore mentale che subentra quando si tratta di gestire un vantaggio. E qui dobbiamo migliorare. In fondo, si torna un po’ al discorso di prima sulle aspettative».

Passiamo ai quattro rinnovi annunciati lunedì, cominciando da Bürgler. In un’intervista al nostro giornale, Dario aveva confidato di non volersi sentire un peso. Evidentemente non lo è...

«In questi mesi abbiamo discusso a lungo e lui mi ha sempre detto di non voler smettere al momento sbagliato. Ha cercato delle buone ragioni per ritirarsi, ma non le ha trovate. E noi siamo dello stesso avviso. Dario ha doti particolari, difficili da trovare. È ancora in forma, si allena bene, è un professionista serio ed è un elemento positivo per lo spogliatoio. Non si è costruito la sua bella carriera grazie alla potenza fisica, ma con la tecnica, il tiro, la capacità di leggere il gioco, l’esperienza. Le sue prestazioni non hanno accusato cali dovuti all’età».

Dario Wüthrich è una scommessa che state vincendo?

«Credo di sì. È del 1999, non è più un ragazzino, ma nei suoi primi tre anni in NL ha subìto degli infortuni che lo hanno frenato. Per certi versi, dunque, è ancora un giovane giocatore. A Zugo non aveva spazio e con lui abbiamo fatto ciò che aveva già funzionato con Fohrler, i fratelli Dotti o Pezzullo. Lo abbiamo preso per farlo crescere e ottenere un difensore completo. Fisicamente è molto forte, quest’anno ha iniziato a stabilizzarsi. Ha ancora margini di crescita e la sua serietà mi lascia ben sperare».

Hedlund, invece, è la scommessa che dovete ancora vincere?

«Su William abbiamo investito quando ancora non poteva giocare da svizzero e vogliamo continuare a lavorarci. Lo considero un gran giocatore, con visione, tecnica e tiro non comuni. Deve però fare un salto a livello fisico. La sua sfida è quella e ne è consapevole».

Terraneo è stato prestato al Visp. Il suo sviluppo si è arenato?

«In Simone crediamo molto e infatti in estate ha rinnovato fino al 2028. Diventerà un pilastro della difesa dell’Ambrì. È fisicamente forte e ha qualità con il disco. A vent’anni è già un atleta costruito, solido. Purtroppo, in certe situazioni, tende a forzare le decisioni e a mettersi in difficoltà da solo. Deve imparare a non strafare, a semplificare il suo gioco, ad essere più efficace. Una volta stabilizzatosi, potrà aggiungere tutto il resto. Lo abbiamo girato al Visp perché in questo momento è importante che giochi con continuità».

La prossima stagione, con Senn e Philip Wüthrich, tornerete ad avere due portieri svizzeri. Una scelta maturata nel tempo o un’occasione da cogliere?

«Per ogni strategia servono i giocatori giusti. Con il portiere del Berna sul mercato, si è presentata un’opportunità. Da quando io e Cereda siamo in carica, abbiamo sempre voluto due portieri forti: Conz e Manzato; Conz e Ciaccio; Conz e Juvonen; Senn e Juvonen. Il passaporto non è mai stato il punto di partenza. Quando abbiamo ingaggiato il finlandese, non lo abbiamo fatto per il desiderio di avere un portiere straniero. Anche in quel caso, si è trattato di un’opportunità, purtroppo dovuta alla guerra in Ucraina. Janne è arrivato nel febbraio del 2022 e in otto partite ci ha trascinati alla qualificazione ai pre-playoff. L’anno seguente si è confermato e da lì è arrivato l’accordo biennale che scadrà in primavera. Quello che sicuramente abbiamo visto, è che il portiere straniero – pur garantendo tanta flessibilità – porta a maggiore instabilità nel line-up».

Cosa chiede Paolo Duca all’Ambrì in vista della ripresa, il 18 dicembre?

«Ancora più efficacia, più cattiveria nel voler vincere ogni duello e maggiore capacità di tenere alta la tensione».