Hockey

«Sei anni dopo la leucemia ricordo ancora l’affetto dei ticinesi»

Viktor Östlund, portiere dell’Ambrì Piotta e dei Ticino Rockets, ci racconta la sua battaglia contro la malattia e un presente ricco di soddisfazioni
Viktor Östlund, classe 1994, svedese con licenza svizzera. © Keystone/Peter Klaunzer
Fernando Lavezzo
15.01.2021 06:00

Esattamente 6 anni fa, il 15 gennaio del 2015, l’hockey ticinese venne scosso da un comunicato stampa dell’HC Lugano: «Viktor Östlund soffre di leucemia». All’epoca il portiere svedese con licenza svizzera militava nell’IFK Arboga, ma era pronto a raggiungere i bianconeri in qualsiasi momento. Oggi è un giocatore dell’Ambrì e dei Rockets. La malattia, ci dice, è solo un ricordo.

I portieri di riserva hanno lo stesso motto dei boy scout: «Sempre pronti». Viktor Östlund lo sa bene. Negli ultimi tempi, complice l’infortunio di Conz, gli è già capitato tre volte di dover subentrare a Ciaccio nel bel mezzo di un match iniziato male. Una settimana fa, contro lo Zurigo, è invece partito titolare, contribuendo al successo dei leventinesi. «Una bella serata, molto divertente. So di poter giocare a questi livelli e quest’anno mi sento più pronto che mai. Ma forse il mio ricordo più bello è legato alla scorsa stagione, alla partita di Berna vinta ai rigori davanti a sedicimila spettatori. Un momento davvero speciale».

Presto i leventinesi recupereranno Conz, tornato ad allenarsi a pieno regime. Nonostante le belle prestazioni, per Viktor sarà difficile trovare spazio alla Valascia. «Saprò accettare qualsiasi decisione dello staff tecnico. Se dovessi tornare a Biasca, continuerò a lottare con l’obiettivo di giocare al più alto livello possibile».

Gli scherzi della vita
«Sempre pronti», dicevamo. Un motto sul ghiaccio e nella vita. A certe curve del destino, però, non ci si può preparare. Come quando a vent’anni ti dicono che hai la leucemia. «Sono trascorsi sei anni dalla diagnosi e non ci penso spesso. È stato un periodo difficile, ma ho ripreso la mia vita in mano. Quell’esperienza mi ha certamente cambiato e ha toccato profondamente le persone a me vicine. Ricordo bene i loro sguardi, spaventati e stressati. Quando impari a combattere per la tua sopravvivenza, perdendo chili e capelli, una partita di hockey diventa molto più semplice da affrontare. Oggi continuo a prendere lo sport con tanta serietà e grande impegno, ma so che ci sono cose più importanti».

La partita più dura
Östlund ha affrontato la leucemia con tenacia, uscendone vincitore nell’estate del 2015, 6 mesi dopo l’inizio dell’incubo: «Il fatto di essere un atleta e di avere un carattere competitivo, mi ha aiutato a confrontarmi con la malattia. Dopo la diagnosi, ho immediatamente iniziato le terapie necessarie, sapendo di avere davanti a me un percorso lungo e complicato. L’ho affrontato con umiltà, ma consapevole di dover reagire e di dover fare la mia parte, curando tutti quei dettagli che avrebbero potuto fare la differenza. Come ad esempio l’alimentazione e il riposo tra una seduta di chemioterapia e l’altra. È stata proprio dura. Così dura che non saprei neppure come spiegarlo. Io l’ho capito soltanto quando mi ci sono trovato dentro. Sentirselo raccontare dagli altri non rende affatto l’idea».

Un’ondata di positività
Nel 2015 la vicenda di Viktor commosse molti appassionati ticinesi. I tifosi del Lugano avevano imparato a conoscerlo l’estate precedente, quando disputò alcune amichevoli con la maglia bianconera. Al momento della diagnosi, Östlund stava disputando il campionato di 1. Division svedese con l’IFK Arboga, ma l’HCL avrebbe potuto chiamarlo in caso d’infortunio di Manzato o Merzlikins. Ricevuta la brutta notizia, il club bianconero e i suoi tifosi si strinsero subito attorno al giovane portiere: «Quell’ondata di affetto mi raggiunse fino in Svezia. Ricordo i messaggi, i pensieri positivi. I miei compagni del Lugano e dell’Arboga appiccicarono sul casco un adesivo con il mio soprannome, Osten, accompagnato da una frase di speranza in svedese e in italiano. Può sembrare un piccolo gesto, ma per me fu una cosa enorme. Mi aiutò tantissimo, soprattutto all’inizio della mia battaglia. Fu una grande iniezione di ottimismo e di energia, una spinta poderosa. In quei giorni si è creato un legame speciale con il Ticino, una regione che negli ultimi anni è diventata la mia seconda casa. Adoro questi paesaggi, così belli e variati. L’altro giorno ad Ambrì nevicava di brutto, mentre a Bellinzona c’era un bel sole caldo. In Svezia abbiamo inverni più rigidi: fa freddo e basta».

Le stranezze di papà
Viktor deve la sua preziosa licenza svizzera al padre Thomas, portiere del Friburgo tra il 1996 e il 2001. All’epoca Östlund senior portò una ventata di novità nel nostro campionato. Tanto per cominciare, non era usuale vedere un portiere straniero. E non erano in molti quelli alti 194 cm. Thomas, poi, era un tipo particolare: «Oggi, in ogni pista svizzera in cui vado a giocare, trovo qualcuno che si ricorda di mio padre e delle sue stranezze», spiega Viktor. «Ne ho sentite tante di storie su di lui, sul suo stile, sul suo carattere focoso. Io, da bambino, non percepivo nulla di speciale. Quello, per me, era semplicemente il suo lavoro. Ora, quando guardo i suoi vecchi video, mi rendo conto delle sue peculiarità. La sua stazza era davvero fuori dal comune rispetto ai portieri dell’epoca. Inoltre aveva l’abitudine di pattinare sulla linea di fondo durante tutte le interruzioni. Mi fa ridere ogni volta che lo rivedo».

Quasi inevitabilmente, Viktor ha scelto lo stesso ruolo di papà: «Che ci crediate o no, diventare portiere è stato il mio primo vero gesto di ribellione nei suoi confronti. Mio padre, infatti, non voleva che anch’io giocassi in porta. Quando andavamo a giocare insieme, lui faceva apposta a tirare fortissimo per farmi capire quanto fosse brutto fare il portiere. Io, però, mi divertivo. E poi ero troppo attratto dal suo equipaggiamento: il guantone, la griglia sul casco, i gambali...».

L’amico Linus Klasen
A 26 anni e mezzo, Viktor non ha smesso di inseguire i suoi sogni: «Mi sento come un ventenne agli albori della carriera. Negli ultimi due anni mi sono successe tante cose belle, tra Ambrì e Rockets ho avuto la possibilità di progredire e sento che qualcosa si sta muovendo. Ho ancora tanto da dimostrare, ma sono felice».

A fare il tifo per lui in questo processo di crescita ci sono anche alcuni vecchi amici bianconeri: «Sono sempre in contatto con gli svedesi di allora. Con Pettersson ci siamo appena affrontati, mentre Klasen lo sento spesso. Ci siamo parlati proprio l’altro ieri. In Svezia sta bene, ma anche lui rimpiange i miti inverni ticinesi».