Ghiaccio Bollente

Una notte da Valascia

Il sogno è lì, da prendere. Come se bastasse allungare una mano per afferrarlo e non mollarlo più. È un sogno che di nome fa playoff
Flavio Viglezio
13.03.2024 06:00

Il sogno è lì, da prendere. Come se bastasse allungare una mano per afferrarlo e non mollarlo più. È un sogno che di nome fa playoff: manca da cinque anni, in Leventina. Mai come quest’anno i biancoblù meriterebbero di trasformarlo in realtà. Ottavo nella regular season, ad un niente dall’impresa con il Lugano, più costante del Bienne su tutto l’arco della stagione. E il pareggio ottenuto alla Tissot Arena – fatti i debiti scongiuri – lascia ben sperare.

Adesso ci vuole una notte da Ambrì Piotta. Una di quelle notti in cui, la differenza, la fa lo «spirito della Valle». Come nella vecchia Valascia che oggi non cè più. Con il freddo pungente che spingeva il popolo biancoblù a cantare a squarciagola per intimorire gli avversari e galvanizzare i propri beniamini. Avversari che si chiedevano dove fossero mai finiti, in quella pista aperta sui due lati, con le mani e il cervello bloccati dal gelo.

Per battere il Bienne ci vuole una notte da Ambrì Piotta. Di quelle in cui la comunione tra la squadra e il pubblico è totale. Una di quelle notti magiche da raccontare un giorno ai nipotini, ai quali dire con orgoglio «io c’ero». Come quando gli incitamenti provenienti dalla Valascia si sentivano in tutta la Valle.

Ci vuole una notte in cui Inti Pestoni – il figlio della Valle – si ricordi di essere cresciuto a due passi dalla Valascia. Una notte in cui lo zoccolo duro ticinese dell’Ambrì Piotta tiri fuori il carattere della gente di montagna. Una notte in cui gli stranieri si travestano da Dave Gardner, da Dale McCourt, da Mike Bullard, da Piotr Malkov, da Oleg Petrov: tremavano, con loro, i vecchi muri di una Valascia che sembrava sull’orlo di crollare. Ma resisteva.

Sì, ci vuole una notte da Valascia.

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